libera nos a malo
21 Marzo 2010 Share

libera nos a malo

 

Vorrei questa volta soffermarmi sul dilagare della visione razzistica e selettiva dei rapporti interpersonali e intersociali, facendo riferimento ad alcuni testi che le giovani generazioni dovrebbero conoscere e quindi apprezzare, in quanto sono un po’ come quegli strumenti teorici che ci aiutano a capire meglio le dinamiche spesso assurde della società attuale, oggi più di ieri percorsa dalle fobie per i diversi, per i non abbienti, per gli ultimi delle gerarchie sociali, indicati o come “scarti umani”, da gettare via come facciamo con la “munnezza”, o come “schiavi”. Il primo, “Libera nos a malo” di Luigi Meneghello, ci dovrebbe spingere, partendo dalla bellezza delle tradizioni e del passato, a costruire rapporti fondati sui principi schietti della condivisione e del rispetto assoluto per gli altri; il secondo, “Zingari. Sulla strada con i rom bovara” di Jan Yoors – recentemente tradotto in italiano ma stampato in America nella metà degli anni sessanta – può consigliarci una visione diversa e sicuramente solidale con i rom, che sono sotto l’occhio del ciclone iconoclasta e persecutorio, oggi…

“Libera nos a malo” è un’affet- tuosa rievocazione dell’infanzia dello scrittore e delle vicende del suo paese, Malo, la cui storia e i cui fatti vengono ricostruiti attraverso gli occhi del ragazzo che le ha vissute in prima persona. Malo è il paese perduto, il luogo fiabesco dell’infanzia dove l’autore fa ritorno, ormai adulto, ed il ritorno nella casa dei genitori, con la chiara percezione ed il ritrovamento degli odori, dei suoni, delle voci note, è l’occasione per passare in rassegna la propria infanzia trascorsa e per ricordare luoghi e persone del tempo ormai “perduto”, recuperando la realtà delle radici e riassaporando il gusto del passato: l’asilo, il maestro Tarcisio, i primi amori, le partite di pallone, il catechismo, l’arrivo del circo… Il passato che si fa nostalgia, che acquista i contorni di un habitat sfumato, lieve e confortevole e proprio per questo maggiormente rimpianto. 

“Zingari. Sulla strada con i rom bovara” di Jan Yoors è la narrazione di una scelta di vita alternativa, come quelle che si facevano tra gli anni cinquanta e la fine di quelli settanta, che vedeva la rinuncia consapevole alla vita borghese e una scelta di vita essenziale, nomadica in prevalenza. Vivere con i rom secondo i loro schemi era l’espressione di un forte coraggio e di una definizione della vita e dei rapporti fra gli individui che andava a privilegiare l’essenzialità, la rinuncia al benessere stanziale, la continua peregrinazione intesa come conoscenza dell’altro e anche come alternativa filosofica di modelli di vita e di  ipotesi di società.

Qui non si tratta di riandare con la mente al “tempo che fu”, ossia ad una società che ancora non perdeva definitivamente la sua identità e le sue tradizioni, ma di cercare di leggere la storia e di interpretarla, servendosi anche di strumenti che non siano soltanto quelli dell’esperienza e della prassi.

Il mondo è cambiato, e con esso è ormai sparito quell’alone di innocenza e di turbamento irrazionale, che accompagnano l’adolescenza dell’individuo ma anche le stagioni storiche ed epocali dell’umanità, prima roussovianamente felice e poi profondamente e razionalmente infelice, perché le stagioni della storia mettono in evidenza la assoluta incapacità dell’uomo di vivere dignitosamente la propria vita e di essere possibilmente felice, come invece l’infanzia è solita far supporre a chiunque sia ragionevolmente proteso al soddisfacimento dei propri elementari bisogni. 

Ma c’è (e c’è sempre stato!) un problematico impedimento: l’avarizia delle classi abbienti e di quelle dirigenti, il cui credo è imposto alle masse, (quindi, ai più) attraverso un canale di condizionamento delle coscienze, che è la stampa, la TV, cioè i mass media. Questi strumenti puntano sulla irrazionale emotività e sulle fobie di quanti non dispongono degli strumenti della conoscenza; soggiogano costoro al sogno di paradisi artificiali e virtuali ed il gioco è fatto! In tal modo, le coscienze abdicano alla propria capacità raziocinante, determinando l’assopimento intellettuale ed una irreparabile (almeno nell’immediato) frattura nell’ambito della società fra quanti subiscono la impudica virtualità massmediatica e quanti contrastano tale deriva culturale, finendo comunque con il soccombere e stare zitti.

Abbiamo così una società visceralmente dimentica di valori, laici o confessionali che siano, immolati sull’altare del materialismo idolatra e delle ricchezze materiali, che lordano quanti permettono che ciò avvenga, contribuendo così a determinare l’affermazione di una società superficiale, razzista, come testimoniano le cronache quotidiane.

L’ultima? Eccola; siamo a Brescia: un cittadino senegalese di 32 anni, Maccan Ba, va al pronto soccorso per un mal di denti ed una guardia giurata lo denuncia alla polizia, che così applica le indicazioni dell’ultimo decreto governativo relativo all’immediata espulsione dal territorio metropolitano di immigrati senza regolare permesso di soggiorno che facciano ricorso alle cure medico-ospedaliere. In un primo momento la direzione amministrativa fa finta di niente, ma pressata dalla protesta di sindacati professionali, anche quelli dei medici, riconosce l’assoluta odiosità dell’atto, aprendo così una inchiesta interna per capire come sia stato possibile un fatto del genere.

È vero che si tratta di  un caso isolato, ma è altrettanto normale supporre che ciò capiti in quanto c’ è un humus consensuale alla base che si sta lentamente ma inesorabilmente allargando fra la gente comune, facendo così perdere di vista tutto quel bagaglio di valori civili ed etici, che sembravano non dover crollare. Abbiamo la sensazione che la gente comune si lasci condizionare e quindi dimentichi che siamo sempre stati un popolo che ha accolto in maniera molto ospitale quanti hanno bussato alla porta. Accogliere l’immigrato, clandestino che sia, è un dovere civile di ciascun cittadino; poi, ciascuno per il suo verso deve premere sulle istituzioni perché le norme dell’accoglienza siano le stesse che indichino la strategia complessiva dell’integrazione social-culturale, del rispetto reciproco delle tradizioni religiose, culturali, civili, della naturale accettazione delle norme giuridiche che sono la base della pacifica convivenza fra individui.   ☺

bar.novelli@micso.net

 

 

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