
Libertà d’insegnamento?
Il 22 febbraio si è manifestato in tutta Italia, e anche qui in Molise, contro l’indegno disegno di legge 1660, altrimenti detto Sicurezza, che con tutto ha a che fare tranne che con la sicurezza. Spacciato per intervento preventivo volto a garantire appunto sicurezza ai cittadini, viene giustificato con un presunto (in realtà inesistente) aumento generalizzato dei reati e quindi con la necessità di inasprire le pene. Cosa che peraltro non ha mai avuto l’effetto di impedire o diminuire i crimini.
Anche in Molise, da mesi, chi ascolta i telegiornali regionali è bombardato da servizi e interviste sulla paura dei cittadini per furti e rapine di ogni genere: non metto in discussione i fatti, ma contesto il clima di allarmismo costruito pian piano con il ripetere che ormai si ha paura di uscire di casa per non lasciarla incustodita. Così è facile indurre a pensare che sia indispensabile emanare leggi più severe per punire i colpevoli, invece di riflettere sul numero effettivo di reati connessi, che non risulta in aumento se si consultano i dati.
La vera emergenza, come sa bene chi di queste emergenze si occupa, qui come altrove non è la sicurezza, ma il disagio sociale: la mancanza di buone cure sanitarie, di servizi sociali efficienti, di edilizia popolare, di tutela dei più deboli ed emarginati, di case a disposizione di senzatetto e sfrattati (tanti in Molise). Ed è qui che dovrebbero convergere fondi e progetti, non certo su armi e nuove carceri.
Il ddl 1660 contiene norme che aboliscono di fatto lo stato di diritto, inasprendo in modo spropositato le pene per chi in qualunque modo manifesti dissenso (2 anni di carcere per i blocchi stradali, fino a 20 per proteste nelle prigioni, fino a 15 per resistenza attiva e fino a 4 per resistenza passiva, fino a 20 per opposizione alle grandi opere); inventando nuove forme di reato (terrorismo della parola, reato anti Gandhi) e inserendo per gli 007 nostrani la facoltà di commettere reati senza risponderne e la copertura delle eventuali spese legali fino a 10.000 euro (a carico dei cittadini, ovviamente).
Ma la cosa che a me insegnante appare davvero inquietante è la possibilità per agenti dei servizi di accedere alle università, derogando alle norme vigenti sulla riservatezza. In una parola, i luoghi della libertà del sapere consegnati al potere più bieco e sottoposti a controllo. Mentre nelle scuole è un fiorire di iniziative delle varie forze dell’ordine per propagandare ordine e appunto sicurezza, e mostrare armi a ragazzi e bambini.
Con buona pace della libertà di insegnamento, che è stata finora il cardine del sistema scolastico, il muro contro cui si è sempre infranto qualunque tentativo di ingerenza esterna e interna nell’attività dei docenti, ora avremo una specie di Grande Fratello nei luoghi dove credevamo di mandare i nostri ragazzi a completare in totale libertà la loro formazione, mentre i mostruosi tagli decisi dalla Bernini mettono già a rischio ricerca e indipendenza del sapere. E non so se presidi e rettori, con lodevoli eccezioni, avranno la forza di mettersi di traverso.
Occorre impedire che questo disegno, fascista fino al midollo, passi impunemente nel silenzio: è imperativo morale per ognuno di noi dimostrare dissenso e cominciare subito ad immaginare azioni di disobbedienza e di resistenza che consentano la protesta ed evitino l’arresto. È perciò obbligo e non più opzione diventare partigiani e contrastare ciò che viola apertamente la Costituzione ledendo inalienabili diritti civili. E soprattutto viola un principio fondamentale del Codice Penale, la ragionevolezza della pena: i 20 anni di cui si parla per chi si oppone alle grandi opere, per fare solo un esempio, spesso non vengono comminati nemmeno per omicidio volontario.
Dobbiamo dimostrare aperto dissenso soprattutto in nome della libertà di ragionare, manifestare, opporsi a ciò che non si condivide: che si tratti di ambiente, infrastrutture, strapotere delle forze di polizia, sfratti, condizioni di vita in carcere, deportazione dei migranti.
Ancora una volta dobbiamo fare ciò che diceva Gramsci, e che Emma Ruzzon, Presidente dell’Unione degli Studenti, ha ripetuto nel suo coraggioso e commovente intervento all’inaugurazione dell’anno accademico all’Università di Padova, dopo essersi simbolicamente sfilata la camicia nera che indossava.
Consiglio a chi se lo fosse perso di cercare il video in rete e ascoltarlo attentamente: dice tutto ciò che c’è da dire, lo dice magnificamente e incarna tutte le speranze rimaste per quel futuro che la mia generazione non è stata capace di costruire per i nostri giovani.☺