
L’invenzione del popolo ebraico
“Forse non bastano libri che combinano passione ed erudizione per cambiare la situazione politica: ma se potessero, questo lo farebbe”. Queste parole sono dette dallo storico Eric Hobsbawm, autore del famoso saggio Il secolo breve, a proposito del libro di Shlomo Sand L’invenzione del popolo ebraico (Ed. Mimesis), a cui ho accennato lo scorso mese. Normalmente parlo di bibbia e dintorni ma ho sentito la necessità di parlare del contenuto di questo libro, scritto da uno storico ebreo che vive in Israele, per la gravità della situazione che si sta vivendo in Medio Oriente in questo tempo, come conseguenza, certo, di un’ efferata strage compiuta il 7 ottobre 2023 e pur tuttavia diventata intollerabile per chi ha a cuore i diritti e la dignità umana. L’intollerabilità non concerne solo la reazione a dir poco sproporzionata del governo e dell’esercito israeliani nei confronti dei gazawi, dei palestinesi della Cisgiordania e ora anche dei libanesi, ma anche la connivenza dei governi occidentali che riforniscono Israele di armi sostenendo che è pur sempre l’unica democrazia esistente nel Medio Oriente, una sorta, forse, di cinquantunesimo stato americano.
Leggendo questo libro, denso perché scritto con i criteri delle scienze storiche moderne, si ha la consapevolezza che le cose non stanno così in quanto in Israele si è cittadini a pieno titolo solo se si è di religione ebraica e gli stessi ebrei non possono fare libere scelte riguardo, ad esempio, al diritto matrimoniale, pena la perdita dello status di cittadino ebreo per i propri figli. Una vera democrazia, per rispettare i diritti umani, deve considerare i cittadini uguali nei diritti e nei doveri, almeno formalmente, perché sappiamo che anche nelle migliori democrazie esiste una disuguaglianza nei fatti, anche per alcune leggi scritte in modo ideologico. Tuttavia, non ci possono essere distinzioni di etnia o di religione se si vuole parlare di regime democratico. In Israele invece il fondamento dello Stato è la distinzione tra ebrei e non ebrei. Si tratta di uno Stato “etnico-religioso”. In questa prospettiva ogni ebreo “sicuro” nel mondo può richiedere la cittadinanza israeliana, mentre un figlio di padre ebreo e di madre non ebrea, pur se nato in Israele, non è registrato come cittadino ebreo. Sto semplicemente riportando quanto scrive Sand verso la fine del libro. Tutto ciò che precede, invece, riguarda le idee sulla purezza della razza elaborate anche da pensatori ebrei, a cominciare dall’800 in una sorta di gara a inseguire il mito della razza pura da parte dei tedeschi e, in seguito, dai fascisti italiani. L’idea che il popolo ebraico si distingueva dagli altri per ragione di sangue era una convinzione molto diffusa anche tra i padri del sionismo per i quali il popolo ebraico doveva ritornare, dopo millenni da popolo errante, alla terra dei padri, fondando questo dogma sulla bibbia, non letta tanto come testo religioso, in quanto molti sionisti erano atei o agnostici, ma come testo identitario della propria storia millenaria. L’autore illustra l’origine di questa rilettura della storia, fornendo le prove che in realtà gli ebrei non furono cacciati in massa né dai Romani nel II secolo né dagli Arabi nel VII secolo perché la maggior parte del popolo residente in Palestina coltivava la terra e non c’era nessun interesse, da parte dei conquistatori, a lasciare incolto un territorio; la presenza di comunità ebraiche al di fuori della terra, invece, parte già dall’epoca dell’esilio babilonese, ed è stata favorita dalla facilità di movimento nei vari imperi a cui è appartenuta la terra santa nei secoli.
Un’altra caratteristica degli ebrei antichi era il proselitismo, l’annuncio cioè della propria religione ad altri popoli pagani, cosa che non è avvenuta in seguito perché impedita dalla legislazione cristiana e musulmana. Nei primi secoli dell’era cristiana prima, e musulmana poi, sono avvenuti questi fenomeni: la na- scita della leggenda del popolo errante, promossa dai cristiani, vista come punizione per l’uccisione di Gesù; lo spostamento della predicazione religiosa ebraica nelle periferie degli imperi, dando origine a stati ebraici nello Yemen (in lotta contro gli etiopi cristiani) e tra i berberi del Nord Africa; la conversione, infine, di una notevole parte degli ebrei che abitavano in Palestina all’islam, a causa della tassazione imposta a cristiani ed ebrei da parte del califfato. Quest’ultimo evento ha fatto sì che i palestinesi attuali più che essere discendenti degli invasori arabi (erano gli eserciti che invadevano, non le popolazioni civili) sono per lo più discendenti di quegli ebrei convertiti all’ islam. L’ultimo popolo ad essersi convertito all’ebraismo è stato, nell’VIII secolo d.C., quelli dei Khazari, una etnia di origine turco-caucasica che stava tra l’attuale Crimea e il mar Caspio (quindi anche nell’ attuale Ucraina!), la cui scelta è stata fatta per non dover sottostare né al califfato musulmano né all’impero bizantino cristiano. Man mano, però, che nuovi popoli si spostavano dall’est, fino ai mongoli dell’Orda d’Oro, molti di quegli ebrei che si definivano non discendenti di Sem (semiti) ma di Iafet, un altro figlio di Noè, si spostarono tra l’Ucraina occidentale, la Polonia e la Lituania, dando origine a quel mondo ebraico degli Shtetl (villaggi) che parlavano yiddish e che furono il gruppo maggiormente vittima della soluzione finale nazista. Ed è così che l’ ebraismo attuale, discendente anche di quelle conversioni yemenite, nordafricane e soprattutto caucasiche sta vantando diritti su una terra a spese di discendenti di ebrei palestinesi che nel frattempo sono diventati musulmani.
Un libro del genere ha ovviamente incontrato l’opposizione dell’intellighenzia ideologica che avalla le pretese di uno Stato totalmente ebraico, ma costringe a riflettere non per dare ragione o torto a ebrei o palestinesi sul diritto a stare in quella terra, ma sul fatto che, attaccandosi al mito del sangue o della razza, si inseguono solo fantasmi e illusioni che hanno portato allo sterminio degli ebrei durante il nazismo e ora al genocidio palestinese. La consapevolezza che non si è ebrei come non si è cristiani o musulmani per sangue ma per cultura e fede ci permette di osare sperare un futuro in cui non sarà né il sangue né la fede o l’ideologia a decidere sui popoli ma la consapevolezza che tutti siamo frutto di incroci tra etnie e culture diverse ma in fondo siamo una cosa sola.☺