l’onu dei popoli
22 Marzo 2010 Share

l’onu dei popoli

 

Il male non può essere estirpato dalla storia, poiché la natura umana, nella sua finitezza mortale, è essa stessa fonte frequente di angoscia e di sofferenza. A tutto questo non possono porre rimedio le regole, i patti, le convenzioni e la loro osservanza. In questi confini, il modello sociale immaginato dalle convenzioni,  dalle  costituzioni e dalle leggi stabilisce la direzione del percorso e qualifica ogni sua tappa.

             Si tratta di un percorso infinito, nel quale, prima e più della meta, conta il modo di essere sulla strada e la direzione mantenuta costante, pur con soste e accelerazioni che i tempi e le situazioni consentono. Per cui la coerenza di ogni gesto, di ogni parola, assume rilevanza maggiore rispetto al risultato finale. È il percorso, non il traguardo a riempire la persona del proprio valore e della propria dignità: tutti siamo nel percorso, dipende da ognuno di noi dove questo ci porterà.

La grande storia dell’umanità ha vissuto l’intrecciarsi di due dinamiche interne nel percorso che essa progetta e tende a realizzare, sia in quelle intersoggettive, da persona a persona, quanto nelle altre più ampie dei gruppi sociali, delle famiglie, città, nazioni, umanità intera. Due dinamiche che, in termini di percorso, indicano un processo lungo e unitario, verso un traguardo, forse mai raggiungibile pienamente, ma orientativo di ogni atto e di ogni decisione personale e collegiale. Per dirla con un esempio del mondo contadino: piantare un albero alla cui ombra saranno altri a sedersi, mentre tu avrai cura che cresca bene e che non si danneggi la sua crescita, lenta ma unitaria e progressiva.

Il primo modello di percorso mira alla realizzazione o alla conservazione  di una società verticale, che dal potere di pochi, discende e immagina, in scala, quote di partecipazione, livelli di vita, ambiti di diritti e doveri, spazi di opportunità differenziati, in modo tale che questi risultino chiusi in contesti non superabili. Un esempio: uno schiavo rimaneva tale per tutta la vita; la giustizia immaginata e codificata in quella società stabiliva che bisognava “rimanere” schiavo al proprio posto: era l’unica opportunità, salvo la “grazia”, non dovuta, del padrone che concedesse la libertà. Con l’abolizione della schiavitù, la giustizia richiede che nessuno sia schiavo, ma ognuno abbia “opportunità pari”.

Senza andare per le lunghe, di fronte al disastro dei due conflitti mondiali, i governi dei popoli coinvolti si chiesero: che fare? Emerse, in modo più limpido, nella Dichiarazione dei diritti, nello statuto dell’ONU e nei processi immaginati per il futuro, il secondo modello di società necessaria a dare senso alla società verticale, necessaria al “governo” del procedimento: la società orizzontale rappresentata nelle parole “individuo”, “persona”, “popoli”. E si pensò e si scrisse che gli individui (ogni individuo senza distinzione), i popoli (tutti i popoli, non alcuni sì altri no), per loro intrinseca “dignità” non hanno bisogno di schiavitù ma di libertà, non necessitano di fame ma di cibo, non di ignoranza ma di formazione, non di guerre ma di pace, non di violenze e torture ma di rispetto e riconoscimento inviolabile, non di malattie ma di salute, non di marginalità ma di cittadinanza, non di preclusione di opportunità ma di “pari opportunità”, non di discriminazioni di fronte alla regole o leggi ma di pari peso e di pari rispetto a partire da principio fondativo, nel caso di conflitto o di delitto, che va presunta l’innocenza e dimostrata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la colpa. Anche di fronte al delitto e alla colpa accade una rivoluzione copernicana: la eventuale sanzione nella società verticale è solo pena, sofferenza, esclusione, finanche eliminazione con la morte, nella società orizzontale la sanzione comminata immagina ripresa, recupero, rieducazione nel senso positivo, quindi inclusione.

Non era la foto istantanea della società degli anni quaranta e degli anni successivi, ma “il percorso” che i governi, a nome dei popoli da essi rappresentati, assumevano come impegno di scelta di fondo, come orientamento di ogni decisione, e, per giunta, consapevoli della disparità della condizione di partenza, riconobbero necessario assumere uno stile di cooperazione tra popoli e governi e uno stile di aiuto allo sviluppo.

Cosa ne è stato di quel percorso progettato? Non aver dato seguito ai Patti sui diritti economici sociali e culturali (la società orizzontale) ha cambiato o corrotto gli orizzonti della società verticale  definita nei patti sui diritti civili e politici. Si estendono le emarginazioni, le violenze, le esclusioni, la fame, la non cura dei deboli, la tenacia nei conflitti e la soluzione di essi con la guerra. Si finanzia la guerra e si custodiscono gelosamente gli armamenti nucleari progettandone altri, mentre, abbandonato l’impegno per la crescita sociale (individuo e gruppi), si restringono i diritti, si inaspriscono i conflitti, si codifica l’esclusione, si immagina una sicurezza come difesa dall’altro, non come crescita della dignità e del “valore inviolabile” di ogni persona e  dei popoli.

Un pensiero perfido guida il percorso impaurito e vagante dell’occi- dente, stravolgendo totalmente quello proclamato sessant’anni fa: c’è un futuro, ma senza di te. Si era detto, invece, c’è un futuro anche per te, anzi, è possibile e vogliamo un nostro futuro  migliore che contenga il tuo futuro di dignità, libertà e sviluppo.

Visto che le società verticali (governi) hanno abbandonato il percorso proclamato in nome della società orizzontale, occorre che questa alzi la sua voce, assuma la sua forza, per un percorso che ci faccia ritrovare insieme sulla strada, non antagonisti nascosti dietro muri che continuamente riedifichiamo. Occorre anche uno stile, quello di innamorati appassionati; recita un salmo: “pace e giustizia si baceranno”. ☺

 

 

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