Un mantra dal sapore generico e qualunquista ricorre sempre più di bocca in bocca: “Aiutiamoli a casa loro”. Ed ecco che il governo italiano, facendosi interprete dei pensieri di tutti, lavora notte e giorno ad un progetto da far approvare in ambito europeo: il Migration Compact [pronuncia: maigrescion compact].
Come per Fiscal Compact, è ancora una volta l’idioma anglosassone a farla da padrona, come lingua comune per tutti i paesi dell’Unione, nonostante la Brexit! È ciò che accadde del resto anche all’idioma latino quando, deposto l’Impero d’Occidente, la lingua mantenne un indubbio primato per oltre dieci secoli.
Il termine compact sta ad indicare il patto (o accordo), il tema è il dramma dei secoli, quello delle migrazioni nel quale sguazzano le cronache quotidiane e i vuoti predicatori di turno. La tragicità degli eventi, i morti in mare, le tendopoli affollate o i conflitti nei centri di accoglienza sono tutti elementi dati in pasto ad un’opinione pubblica altrettanto bulimica e flaccida. E si inventano muri senza riconoscere che “lucchetti e catenacci non possono certo domare o indebolire le forze che causano l’emigrazione; possono contribuire ad occultare i problemi alla vista e alla mente, ma non a farli scomparire” (Z. Bauman, La società sotto assedio).
Le generalizzazioni non conducono alla risoluzione del problema che, secondo gli esperti, tende ad ampliarsi, perché molti di coloro che arrivano alle frontiere dell’Europa sono migranti ambientali, chiamati anche migranti climatici o eco-profughi, o ancora “rifugiati ambientali”.
I cambiamenti del clima hanno già creato in alcune aree del pianeta zone completamente desertificate, quali ad esempio l’Africa sub sahariana. Il movimento dei popoli verso terre più accoglienti dal punto di vista geofisico è stato ed è una costante nella storia dell’umanità. Attualmente la situazione appare ben più grave poiché ai danni che l’uomo ha causato al clima vanno ad aggiungersi quelli derivanti dai conflitti in atto. E non si può escludere che i due aspetti convergano: non è il conflitto in Siria in larga parte anche determinato dalla spaventosa siccità che attanaglia il paese da anni e che costringe a migrare all’interno del paese popolazioni di fede religiosa opposta? È un esodo senza ritorno poiché la desertificazione a cui quei territori sono condannati non permetterà che chi fugge possa farvi ritorno.
Se il fenomeno è destinato a durare nel tempo, è urgente e necessario fornire risposte di carattere strutturale: un vero patto sulle migrazioni deve abbandonare la logica dell’emergenzialismo, comprenderne le cause, pianificare gli interventi, controllare che le azioni poste in campo rispondano agli obiettivi. Neppure gli accordi con i paesi di frontiera, accompagnati da ingenti aiuti economici, possono rappresentare la soluzione: se nazioni come la Turchia o la Libia impediscono alle migliaia di profughi di varcare le frontiere europee, abbiamo altrettante garanzie certe che i basilari diritti umani dei migranti siano rispettati, che essi non vengano sottoposti a maltrattamenti, rinchiusi nei campi o nelle prigioni, che non subiscano violenze? Le cronache recentissime sembrano dirci il contrario.
Un patto per le migrazioni deve soprattutto considerare e riconoscere con chiarezza quale è stato il cammino che ha caratterizzato la storia dei popoli. Il diritto di migrare è il più antico dei diritti naturali e si colloca alle origini stesse della civiltà giuridica. Sempre si è migrato e migrare ha fatto bene alla specie umana che talvolta solo per istinto di sopravvivenza ha scelto, migrando, la conservazione della specie, in risposta a terremoti, eruzioni, tzunami. Con i popoli si sono mosse le culture e dal disordine e dal caos sono nate nuove etnie.
Non si può ridurre il problema, sottrarsi ad esperire soluzioni, non bastano i timidi ed isolati tentativi di accoglienza che pur stanno prendendo corpo, come la creazione di corridoi umanitari capaci di evitare ai profughi le drammatiche traversate a bordo di gommoni fatiscenti. Il fenomeno della migrazione non verrà arrestato da ristretti ed offuscati punti di vista; meglio sarà accettare che vivere comporta movimento e spostamento. Per tutti. ☺
Un mantra dal sapore generico e qualunquista ricorre sempre più di bocca in bocca: “Aiutiamoli a casa loro”. Ed ecco che il governo italiano, facendosi interprete dei pensieri di tutti, lavora notte e giorno ad un progetto da far approvare in ambito europeo: il Migration Compact [pronuncia: maigrescion compact].
Come per Fiscal Compact, è ancora una volta l’idioma anglosassone a farla da padrona, come lingua comune per tutti i paesi dell’Unione, nonostante la Brexit! È ciò che accadde del resto anche all’idioma latino quando, deposto l’Impero d’Occidente, la lingua mantenne un indubbio primato per oltre dieci secoli.
Il termine compact sta ad indicare il patto (o accordo), il tema è il dramma dei secoli, quello delle migrazioni nel quale sguazzano le cronache quotidiane e i vuoti predicatori di turno. La tragicità degli eventi, i morti in mare, le tendopoli affollate o i conflitti nei centri di accoglienza sono tutti elementi dati in pasto ad un’opinione pubblica altrettanto bulimica e flaccida. E si inventano muri senza riconoscere che “lucchetti e catenacci non possono certo domare o indebolire le forze che causano l’emigrazione; possono contribuire ad occultare i problemi alla vista e alla mente, ma non a farli scomparire” (Z. Bauman, La società sotto assedio).
Le generalizzazioni non conducono alla risoluzione del problema che, secondo gli esperti, tende ad ampliarsi, perché molti di coloro che arrivano alle frontiere dell’Europa sono migranti ambientali, chiamati anche migranti climatici o eco-profughi, o ancora “rifugiati ambientali”.
I cambiamenti del clima hanno già creato in alcune aree del pianeta zone completamente desertificate, quali ad esempio l’Africa sub sahariana. Il movimento dei popoli verso terre più accoglienti dal punto di vista geofisico è stato ed è una costante nella storia dell’umanità. Attualmente la situazione appare ben più grave poiché ai danni che l’uomo ha causato al clima vanno ad aggiungersi quelli derivanti dai conflitti in atto. E non si può escludere che i due aspetti convergano: non è il conflitto in Siria in larga parte anche determinato dalla spaventosa siccità che attanaglia il paese da anni e che costringe a migrare all’interno del paese popolazioni di fede religiosa opposta? È un esodo senza ritorno poiché la desertificazione a cui quei territori sono condannati non permetterà che chi fugge possa farvi ritorno.
Se il fenomeno è destinato a durare nel tempo, è urgente e necessario fornire risposte di carattere strutturale: un vero patto sulle migrazioni deve abbandonare la logica dell’emergenzialismo, comprenderne le cause, pianificare gli interventi, controllare che le azioni poste in campo rispondano agli obiettivi. Neppure gli accordi con i paesi di frontiera, accompagnati da ingenti aiuti economici, possono rappresentare la soluzione: se nazioni come la Turchia o la Libia impediscono alle migliaia di profughi di varcare le frontiere europee, abbiamo altrettante garanzie certe che i basilari diritti umani dei migranti siano rispettati, che essi non vengano sottoposti a maltrattamenti, rinchiusi nei campi o nelle prigioni, che non subiscano violenze? Le cronache recentissime sembrano dirci il contrario.
Un patto per le migrazioni deve soprattutto considerare e riconoscere con chiarezza quale è stato il cammino che ha caratterizzato la storia dei popoli. Il diritto di migrare è il più antico dei diritti naturali e si colloca alle origini stesse della civiltà giuridica. Sempre si è migrato e migrare ha fatto bene alla specie umana che talvolta solo per istinto di sopravvivenza ha scelto, migrando, la conservazione della specie, in risposta a terremoti, eruzioni, tzunami. Con i popoli si sono mosse le culture e dal disordine e dal caos sono nate nuove etnie.
Non si può ridurre il problema, sottrarsi ad esperire soluzioni, non bastano i timidi ed isolati tentativi di accoglienza che pur stanno prendendo corpo, come la creazione di corridoi umanitari capaci di evitare ai profughi le drammatiche traversate a bordo di gommoni fatiscenti. Il fenomeno della migrazione non verrà arrestato da ristretti ed offuscati punti di vista; meglio sarà accettare che vivere comporta movimento e spostamento. Per tutti. ☺
Migration Compact: "il tema è il dramma dei secoli, quello delle migrazioni nel quale sguazzano le cronache quotidiane e i vuoti predicatori di turno. La tragicità degli eventi, i morti in mare, le tendopoli affollate o i conflitti nei centri di accoglienza sono tutti elementi dati in pasto ad un'opinione pubblica altrettanto bulimica e flaccida"
Un mantra dal sapore generico e qualunquista ricorre sempre più di bocca in bocca: “Aiutiamoli a casa loro”. Ed ecco che il governo italiano, facendosi interprete dei pensieri di tutti, lavora notte e giorno ad un progetto da far approvare in ambito europeo: il Migration Compact [pronuncia: maigrescion compact].
Come per Fiscal Compact, è ancora una volta l’idioma anglosassone a farla da padrona, come lingua comune per tutti i paesi dell’Unione, nonostante la Brexit! È ciò che accadde del resto anche all’idioma latino quando, deposto l’Impero d’Occidente, la lingua mantenne un indubbio primato per oltre dieci secoli.
Il termine compact sta ad indicare il patto (o accordo), il tema è il dramma dei secoli, quello delle migrazioni nel quale sguazzano le cronache quotidiane e i vuoti predicatori di turno. La tragicità degli eventi, i morti in mare, le tendopoli affollate o i conflitti nei centri di accoglienza sono tutti elementi dati in pasto ad un’opinione pubblica altrettanto bulimica e flaccida. E si inventano muri senza riconoscere che “lucchetti e catenacci non possono certo domare o indebolire le forze che causano l’emigrazione; possono contribuire ad occultare i problemi alla vista e alla mente, ma non a farli scomparire” (Z. Bauman, La società sotto assedio).
Le generalizzazioni non conducono alla risoluzione del problema che, secondo gli esperti, tende ad ampliarsi, perché molti di coloro che arrivano alle frontiere dell’Europa sono migranti ambientali, chiamati anche migranti climatici o eco-profughi, o ancora “rifugiati ambientali”.
I cambiamenti del clima hanno già creato in alcune aree del pianeta zone completamente desertificate, quali ad esempio l’Africa sub sahariana. Il movimento dei popoli verso terre più accoglienti dal punto di vista geofisico è stato ed è una costante nella storia dell’umanità. Attualmente la situazione appare ben più grave poiché ai danni che l’uomo ha causato al clima vanno ad aggiungersi quelli derivanti dai conflitti in atto. E non si può escludere che i due aspetti convergano: non è il conflitto in Siria in larga parte anche determinato dalla spaventosa siccità che attanaglia il paese da anni e che costringe a migrare all’interno del paese popolazioni di fede religiosa opposta? È un esodo senza ritorno poiché la desertificazione a cui quei territori sono condannati non permetterà che chi fugge possa farvi ritorno.
Se il fenomeno è destinato a durare nel tempo, è urgente e necessario fornire risposte di carattere strutturale: un vero patto sulle migrazioni deve abbandonare la logica dell’emergenzialismo, comprenderne le cause, pianificare gli interventi, controllare che le azioni poste in campo rispondano agli obiettivi. Neppure gli accordi con i paesi di frontiera, accompagnati da ingenti aiuti economici, possono rappresentare la soluzione: se nazioni come la Turchia o la Libia impediscono alle migliaia di profughi di varcare le frontiere europee, abbiamo altrettante garanzie certe che i basilari diritti umani dei migranti siano rispettati, che essi non vengano sottoposti a maltrattamenti, rinchiusi nei campi o nelle prigioni, che non subiscano violenze? Le cronache recentissime sembrano dirci il contrario.
Un patto per le migrazioni deve soprattutto considerare e riconoscere con chiarezza quale è stato il cammino che ha caratterizzato la storia dei popoli. Il diritto di migrare è il più antico dei diritti naturali e si colloca alle origini stesse della civiltà giuridica. Sempre si è migrato e migrare ha fatto bene alla specie umana che talvolta solo per istinto di sopravvivenza ha scelto, migrando, la conservazione della specie, in risposta a terremoti, eruzioni, tzunami. Con i popoli si sono mosse le culture e dal disordine e dal caos sono nate nuove etnie.
Non si può ridurre il problema, sottrarsi ad esperire soluzioni, non bastano i timidi ed isolati tentativi di accoglienza che pur stanno prendendo corpo, come la creazione di corridoi umanitari capaci di evitare ai profughi le drammatiche traversate a bordo di gommoni fatiscenti. Il fenomeno della migrazione non verrà arrestato da ristretti ed offuscati punti di vista; meglio sarà accettare che vivere comporta movimento e spostamento. Per tutti. ☺
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