L’ultimo treno
19 Ottobre 2020
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L’ultimo treno

Si sono versati fiumi di parole sulle elezioni regionali, e si è udito qualche mormorio sul referendum grillino, il risultato è una torre di Babele dove districare il grano dal loglio è impresa di grande difficoltà. Due considerazioni, una sulla politica-politica e l’altra su quel substrato, spesso ignorato, che dovrebbe nutrire e dare ossigeno alla Politica.

Da queste elezioni la maggioranza di governo esce più forte, la vittoria in Veneto, in Liguria e nelle Marche del centro-destra, dove peraltro il candidato di Fratelli d’Italia è ben sotto il 50%, non possono certo mettere in discussione la stabilità del governo Conte. Ma non tutto è rose e fiori, perché un grande problema per il governo si è aperto. Mi riferisco alla crisi profonda e alla possibile implosione del Movimento Cinque Stelle: il movimento grillino esce devastato da queste elezioni. La crisi dei consensi dei Cinque Stelle è drammatica e oggi questo scontro si è trasformato in uno scontro interno durissimo; si è rotto il vaso di Pandora dei Cinque Stelle e da lì può venir fuori qualsiasi cosa sino a travolgere la stessa maggioranza che al Senato con fatica sostiene il governo. Se così dovesse andare, l’unico scenario possibile a quel punto sarebbero le elezioni anticipate. Quando impazzisce la maionese è molto complicato, forse impossibile, tornare indietro. Vi è però un forte deterrente all’ apparenza poco nobile, ma in realtà molto efficace che lavora a favore del governo e contro le elezioni. La riduzione del numero dei parlamentari rende assolutamente certa la non rielezione di decine e decine di loro. Questa ragione non di alta politica, ma molto concreta, può indurre diversi parlamentari e non solo grillini a scegliere la filosofia del “tirare a campare”, piuttosto che la morte certa.

Lasciamo la schiuma della Politica e veniamo a due questioni che dovrebbero costituire l’anima della politica: l’ orientamento sentimentale del popolo e il Recovery fund.

Si sono celebrati nel commentario post elettorale i funerali del populismo e del sovranismo. È questo un grave errore di analisi, grave perché rischia di occultare le terapie che la Politica dovrebbe utilizzare per curare se stessa. Zaia 44,6%, Toti 22,6%, De Luca 13,3%, Emiliano 9,2%, questi i risultati delle liste personali dei presidenti di regione di ieri e di oggi. I risultati elettorali delle liste personali, la demagogia che distingue “i governatori” al di là della loro appartenenza politica,  lo stesso referendum sul taglio dei parlamentari targato Cinque Stelle testimoniano quanto forte sia ancora il vento del populismo e del qualunquismo di massa. Il populismo ha perso il suo Grillo e i suoi cantori grillini, ma per alcuni versi è penetrato più in profondità e ha plasmato l’insieme dei comportamenti della politica. Né potrebbe essere diversamente; l’implosione dei partiti e della stessa democrazia è stata una cosa seria ed ha ragioni profonde. Vi sono state responsabilità soggettive, vi è stato il malcostume di tanti protagonisti della politica, vi è stata la tempesta di tangentopoli che ha cancellato quasi tutti i partiti della prima Repubblica. Non solo, altre e non meno radicali sono le ragioni della crisi che sta scuotendo le democrazie occidentali. Il crollo del muro di Berlino non ha rappresentato solo la distruzione dei regimi dei paesi dell’Est, ma anche l’inizio della crisi dei sistemi politici dell’Occidente. La globalizzazione economico-finanziaria è sì l’inizio di una nuova epoca del pianeta, ma al pari tempo è l’oceano nel quale le democrazie del ‘900 galleggiano a fatica e lentamente stanno perdendosi. Il risultato delle ultime elezioni regionali è poco più di un placebo, un blando anestetico che non risolve alcuno dei problemi che sono alla radice della perdita di legittimità del nostro sistema politico e democratico. La terapia vera richiederebbe una visione del futuro in grado di affrontare la malattia della diseguaglianza e la decadenza suicida dell’equilibrio ecologico del pianeta. Il vaccino per fermare e prevenire il qualunquismo di massa dovrebbe passare attraverso la capacità e la volontà di rigenerare la politica nei territori, fra la gente e nei luoghi di lavoro. Torna con una intensità drammatica una parola d’ordine dei primi anni di questo nuovo millennio: “pensare globalmente, agire localmente”.

In questo contesto le grandi risorse finanziarie del Recovery fund possono essere una grande opportunità. Vi sono due scelte obbligate, perché ciò possa accadere. In primo luogo il rispetto delle condizioni che l’Unione Europea ci chiede: modernizzazione del paese ed economia verde. Questa volta la Commissione Europea, dismessi i suoi abiti austeri, è tre passi avanti a gran parte della classe dirigente italiana e le solite grida manzoniane di Salvini, Meloni e soci sono l’ennesima testimonianza della penosa realtà della politica di casa nostra.

In secondo luogo, per evitare che le ingenti risorse europee prendano le solite vie del clientelismo è decisivo che vi sia un grande protagonismo dei territori e che dalle comunità territoriali, dalle zone interne e dalle città venga una domanda, una progettualità organizzata e partecipata. In Molise, la fonte nel corso degli anni ha fatto la sua parte, la speranza è che rapidamente si scongeli quel mondo democratico e della sinistra che da anni è latitante e del quale vi è un bisogno essenziale. Un treno sta passando, attenzione a prenderlo perché per una lunga fase potrebbe essere l’ultimo.☺

 

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