“Momenti di luce” (Boiano, Tipolito Matese, 2007), il titolo dell’ultima raccolta di poesie di Michele Campanella – poeta e scrittore boianese, noto ai più anche come fine e appassionato conoscitore della cultura molisana, cui ha dedicato diversi saggi e studi – è una sintesi perfetta dei motivi ispiratori sottesi a queste liriche: ciò che esse comunicano, infatti, è un alternarsi naturale, serenamente accettato e profondamente vissuto, di momenti di gioia e momenti di malinconia, di luci e ombre, in un movimento incessante, a volte leggero, altre volte faticoso, ma pur sempre ricco di tutta l’umanità dell’esistenza.
L’animo del poeta è quello di un uomo che conosce la vita, e la sta percorrendo nell’età della maturità piena, senza però indulgere mai a quel rassegnato disincanto che troppo spesso riempie i discorsi degli uomini “di una certa età”: l’entusiasmo con cui Campanella ci dice “Hanno il colore della vita / i fiori / del mio Matese” è quello fresco, incontaminato di chi, passato attraverso il dolore e la sofferenza di ogni parabola umana, ne è uscito indenne, conservando intatto l’amore per la vita e la gioia stessa del vivere.
La natura – nel canto della quale è sempre presente la mano di Dio – e il rapporto profondo con la sua terra sono motivi predominanti nei versi e si tingono dei colori e profumi del paesaggio natìo, a cui il poeta si sente legato da un amore viscerale: “I miei monti / miracolo di commozione / che si trasforma in malinconia /…è poesia? / Matese, montagna mia”, e poi la pioggia, il bosco, le sere d’estate, “i mattini di maggio”, i prati, “il fragore fresco del Biferno”, il crepuscolo, la nebbia, compagna fedele degli abitanti della piana di Boiano in tutte le stagioni, ma particolarmente lattiginosa e fitta a novembre, quando costruisce un “enorme soffitto di silenzio color grigio” e “la gente che corre sembrano fantasmi che danno appena il segno della vita”.
Una nota malinconica si scorge anche in “Quando mi fermo a sera”, dove l’accenno è a quella sete di infinito “che da sempre ogni uomo cerca ma che nessuno trova mai”, o in “Incontri”, dedicata agli amici, a quelli lontani che, di tanto in tanto, incontriamo di nuovo: un abbraccio, una rimpatriata, mille ricordi emozionati che si affollano nel cuore, infine un saluto… “il buco del mare si richiude / l’incontro è finito / di nuovo un abbraccio / e subito via / …per molti è un addio” .
Il ricordo, in effetti, è un altro dei motivi più frequenti: commosso, tenero, composto, è quello “Per Irma”, la moglie del poeta scomparsa qualche anno fa, in cui si sente l’eco del Montale che ha sceso con la sua Mosca “almeno un milione di scale”.
La poesia di Campanella è sicuramente intimistica, soggettiva, spiccatamente autobiografica, ma in questo orientamento di fondo – che d’altra parte è comune a tutta la sua produzione, anche a quella precedente – non mancano riferimenti ad alcune piaghe del nostro tempo, ad alcuni temi di rilevanza mondiale: ecco, dunque, che la riflessione del poeta si sofferma sul dramma dei bambini affamati, abbandonati, vittime di un sistema di consumo sfrenato, in “Non hanno più voce”, o sulla violenza che procura morti innocenti in “La guerra”, oppure sul diluvio di notizie raccapriccianti che arrivano “Appena s’accende la televisione”, lirica che tuttavia si conclude con un invito a sperare in un mondo più giusto e più umano.
“La speranza”, uno dei motivi da sempre più cari a Campanella, linfa della sua poesia e della sua stessa esistenza di uomo, è rappresentata dalla leggiadria di una ragazza senza nome, intorno alla quale il mondo “danza” leggero: quale immagine più radiosa di quell’età che Camillo Sbarbaro ha immortalato per sempre nella ragazza con la treccia “che va sotto il sole”?
La natura da assaporare come un cibo goloso, il suo paese, i suoi affetti, i ricordi, il tempo che passa e che porta via i propri cari, lo sguardo velatamente malinconico ma sereno con il quale accoglie la vecchiaia che bussa, la gioia di sentirsi vivo, i grandi temi del presente: tutto questo, nei versi limpidi e mai compiaciuti di Michele Campanella, è accompagnato in modo discreto ed efficace dai colori di Dora Mazzuto, un’artista boianese che ha già tenuto diverse mostre personali, e dagli scatti di Francesco Morgillo, un giovane fotografo che è attualmente tornato a lavorare nel suo paese dopo essere stato prima a Milano e poi negli Stati Uniti. I quadri e le fotografie dell’una e dell’altro impreziosiscono questa raccolta, dandole la possibilità di giocare su un doppio piano emotivo, quello icononografico e quello strettamente letterario: liriche e colori, versi e immagini, in un unico canto alla multiforme bellezza della vita in tutte le sue manifestazioni. ☺
gadelis@libero.it
“Momenti di luce” (Boiano, Tipolito Matese, 2007), il titolo dell’ultima raccolta di poesie di Michele Campanella – poeta e scrittore boianese, noto ai più anche come fine e appassionato conoscitore della cultura molisana, cui ha dedicato diversi saggi e studi – è una sintesi perfetta dei motivi ispiratori sottesi a queste liriche: ciò che esse comunicano, infatti, è un alternarsi naturale, serenamente accettato e profondamente vissuto, di momenti di gioia e momenti di malinconia, di luci e ombre, in un movimento incessante, a volte leggero, altre volte faticoso, ma pur sempre ricco di tutta l’umanità dell’esistenza.
L’animo del poeta è quello di un uomo che conosce la vita, e la sta percorrendo nell’età della maturità piena, senza però indulgere mai a quel rassegnato disincanto che troppo spesso riempie i discorsi degli uomini “di una certa età”: l’entusiasmo con cui Campanella ci dice “Hanno il colore della vita / i fiori / del mio Matese” è quello fresco, incontaminato di chi, passato attraverso il dolore e la sofferenza di ogni parabola umana, ne è uscito indenne, conservando intatto l’amore per la vita e la gioia stessa del vivere.
La natura – nel canto della quale è sempre presente la mano di Dio – e il rapporto profondo con la sua terra sono motivi predominanti nei versi e si tingono dei colori e profumi del paesaggio natìo, a cui il poeta si sente legato da un amore viscerale: “I miei monti / miracolo di commozione / che si trasforma in malinconia /…è poesia? / Matese, montagna mia”, e poi la pioggia, il bosco, le sere d’estate, “i mattini di maggio”, i prati, “il fragore fresco del Biferno”, il crepuscolo, la nebbia, compagna fedele degli abitanti della piana di Boiano in tutte le stagioni, ma particolarmente lattiginosa e fitta a novembre, quando costruisce un “enorme soffitto di silenzio color grigio” e “la gente che corre sembrano fantasmi che danno appena il segno della vita”.
Una nota malinconica si scorge anche in “Quando mi fermo a sera”, dove l’accenno è a quella sete di infinito “che da sempre ogni uomo cerca ma che nessuno trova mai”, o in “Incontri”, dedicata agli amici, a quelli lontani che, di tanto in tanto, incontriamo di nuovo: un abbraccio, una rimpatriata, mille ricordi emozionati che si affollano nel cuore, infine un saluto… “il buco del mare si richiude / l’incontro è finito / di nuovo un abbraccio / e subito via / …per molti è un addio” .
Il ricordo, in effetti, è un altro dei motivi più frequenti: commosso, tenero, composto, è quello “Per Irma”, la moglie del poeta scomparsa qualche anno fa, in cui si sente l’eco del Montale che ha sceso con la sua Mosca “almeno un milione di scale”.
La poesia di Campanella è sicuramente intimistica, soggettiva, spiccatamente autobiografica, ma in questo orientamento di fondo – che d’altra parte è comune a tutta la sua produzione, anche a quella precedente – non mancano riferimenti ad alcune piaghe del nostro tempo, ad alcuni temi di rilevanza mondiale: ecco, dunque, che la riflessione del poeta si sofferma sul dramma dei bambini affamati, abbandonati, vittime di un sistema di consumo sfrenato, in “Non hanno più voce”, o sulla violenza che procura morti innocenti in “La guerra”, oppure sul diluvio di notizie raccapriccianti che arrivano “Appena s’accende la televisione”, lirica che tuttavia si conclude con un invito a sperare in un mondo più giusto e più umano.
“La speranza”, uno dei motivi da sempre più cari a Campanella, linfa della sua poesia e della sua stessa esistenza di uomo, è rappresentata dalla leggiadria di una ragazza senza nome, intorno alla quale il mondo “danza” leggero: quale immagine più radiosa di quell’età che Camillo Sbarbaro ha immortalato per sempre nella ragazza con la treccia “che va sotto il sole”?
La natura da assaporare come un cibo goloso, il suo paese, i suoi affetti, i ricordi, il tempo che passa e che porta via i propri cari, lo sguardo velatamente malinconico ma sereno con il quale accoglie la vecchiaia che bussa, la gioia di sentirsi vivo, i grandi temi del presente: tutto questo, nei versi limpidi e mai compiaciuti di Michele Campanella, è accompagnato in modo discreto ed efficace dai colori di Dora Mazzuto, un’artista boianese che ha già tenuto diverse mostre personali, e dagli scatti di Francesco Morgillo, un giovane fotografo che è attualmente tornato a lavorare nel suo paese dopo essere stato prima a Milano e poi negli Stati Uniti. I quadri e le fotografie dell’una e dell’altro impreziosiscono questa raccolta, dandole la possibilità di giocare su un doppio piano emotivo, quello icononografico e quello strettamente letterario: liriche e colori, versi e immagini, in un unico canto alla multiforme bellezza della vita in tutte le sue manifestazioni. ☺
“Momenti di luce” (Boiano, Tipolito Matese, 2007), il titolo dell’ultima raccolta di poesie di Michele Campanella – poeta e scrittore boianese, noto ai più anche come fine e appassionato conoscitore della cultura molisana, cui ha dedicato diversi saggi e studi – è una sintesi perfetta dei motivi ispiratori sottesi a queste liriche: ciò che esse comunicano, infatti, è un alternarsi naturale, serenamente accettato e profondamente vissuto, di momenti di gioia e momenti di malinconia, di luci e ombre, in un movimento incessante, a volte leggero, altre volte faticoso, ma pur sempre ricco di tutta l’umanità dell’esistenza.
L’animo del poeta è quello di un uomo che conosce la vita, e la sta percorrendo nell’età della maturità piena, senza però indulgere mai a quel rassegnato disincanto che troppo spesso riempie i discorsi degli uomini “di una certa età”: l’entusiasmo con cui Campanella ci dice “Hanno il colore della vita / i fiori / del mio Matese” è quello fresco, incontaminato di chi, passato attraverso il dolore e la sofferenza di ogni parabola umana, ne è uscito indenne, conservando intatto l’amore per la vita e la gioia stessa del vivere.
La natura – nel canto della quale è sempre presente la mano di Dio – e il rapporto profondo con la sua terra sono motivi predominanti nei versi e si tingono dei colori e profumi del paesaggio natìo, a cui il poeta si sente legato da un amore viscerale: “I miei monti / miracolo di commozione / che si trasforma in malinconia /…è poesia? / Matese, montagna mia”, e poi la pioggia, il bosco, le sere d’estate, “i mattini di maggio”, i prati, “il fragore fresco del Biferno”, il crepuscolo, la nebbia, compagna fedele degli abitanti della piana di Boiano in tutte le stagioni, ma particolarmente lattiginosa e fitta a novembre, quando costruisce un “enorme soffitto di silenzio color grigio” e “la gente che corre sembrano fantasmi che danno appena il segno della vita”.
Una nota malinconica si scorge anche in “Quando mi fermo a sera”, dove l’accenno è a quella sete di infinito “che da sempre ogni uomo cerca ma che nessuno trova mai”, o in “Incontri”, dedicata agli amici, a quelli lontani che, di tanto in tanto, incontriamo di nuovo: un abbraccio, una rimpatriata, mille ricordi emozionati che si affollano nel cuore, infine un saluto… “il buco del mare si richiude / l’incontro è finito / di nuovo un abbraccio / e subito via / …per molti è un addio” .
Il ricordo, in effetti, è un altro dei motivi più frequenti: commosso, tenero, composto, è quello “Per Irma”, la moglie del poeta scomparsa qualche anno fa, in cui si sente l’eco del Montale che ha sceso con la sua Mosca “almeno un milione di scale”.
La poesia di Campanella è sicuramente intimistica, soggettiva, spiccatamente autobiografica, ma in questo orientamento di fondo – che d’altra parte è comune a tutta la sua produzione, anche a quella precedente – non mancano riferimenti ad alcune piaghe del nostro tempo, ad alcuni temi di rilevanza mondiale: ecco, dunque, che la riflessione del poeta si sofferma sul dramma dei bambini affamati, abbandonati, vittime di un sistema di consumo sfrenato, in “Non hanno più voce”, o sulla violenza che procura morti innocenti in “La guerra”, oppure sul diluvio di notizie raccapriccianti che arrivano “Appena s’accende la televisione”, lirica che tuttavia si conclude con un invito a sperare in un mondo più giusto e più umano.
“La speranza”, uno dei motivi da sempre più cari a Campanella, linfa della sua poesia e della sua stessa esistenza di uomo, è rappresentata dalla leggiadria di una ragazza senza nome, intorno alla quale il mondo “danza” leggero: quale immagine più radiosa di quell’età che Camillo Sbarbaro ha immortalato per sempre nella ragazza con la treccia “che va sotto il sole”?
La natura da assaporare come un cibo goloso, il suo paese, i suoi affetti, i ricordi, il tempo che passa e che porta via i propri cari, lo sguardo velatamente malinconico ma sereno con il quale accoglie la vecchiaia che bussa, la gioia di sentirsi vivo, i grandi temi del presente: tutto questo, nei versi limpidi e mai compiaciuti di Michele Campanella, è accompagnato in modo discreto ed efficace dai colori di Dora Mazzuto, un’artista boianese che ha già tenuto diverse mostre personali, e dagli scatti di Francesco Morgillo, un giovane fotografo che è attualmente tornato a lavorare nel suo paese dopo essere stato prima a Milano e poi negli Stati Uniti. I quadri e le fotografie dell’una e dell’altro impreziosiscono questa raccolta, dandole la possibilità di giocare su un doppio piano emotivo, quello icononografico e quello strettamente letterario: liriche e colori, versi e immagini, in un unico canto alla multiforme bellezza della vita in tutte le sue manifestazioni. ☺
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