Natale d’un anno di guerra
7 Dicembre 2025
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Natale d’un anno di guerra

Dovevano essere 365, una per ogni giorno dell’anno, come suggerisce il titolo stesso Novelle per un anno. Ma la morte impedì a Luigi Pirandello, sebbene avesse scritto novelle per tutta la vita, di completare l’opera, che giunse a comprendere in totale 225 racconti. Una raccolta comunque immensa, che rappresenta indubbiamente uno dei capolavori della novellistica di tutti i tempi.
Un racconto meno noto, ma che nel suo piccolo racchiude molti dei tratti tipici dell’universo pirandelliano, è Un “goj”. Pubblicato nel 1922, era stato probabilmente già composto nel 1918, dati i riferimenti alla Prima guerra mondiale (durante la quale, per inciso, Pirandello aveva avuto suo figlio prigioniero degli Austriaci e si era adoperato invano per ottenerne la liberazione).
Il protagonista della novella, Daniele Catellani, ha un brutto difetto: ride in modo irritante. Nonostante le risate, la vita del Catellani non sembra però felice: essendo ebreo, si sente infatti un goj, ovvero uno straniero. Così, per essere più facilmente accettato in un Paese di cattolici, sceglie di negare la sua “razza”, cambiando il suo cognome originario (Levi), e la sua religione, sposando una donna di una famiglia ultracattolica, che vanta un cardinale fra i propri avi. Il desiderio di Catellani di dimostrare il suo rifiuto del giudaismo finisce però per scontrarsi con il fanatismo religioso del suocero, il signor Pietro Ambrini, che lo considera un “deicida” e diventa suo acerrimo nemico, piombando in casa di Catellani ogni giorno e pretendendo di occuparsi personalmente dell’educazione dei cinque nipotini.
A questo punto della novella l’autore ha già sollevato una serie di domande, che costringono il lettore a riflettere su alcuni aspetti universalmente validi della condizione umana. Per esempio i conflitti familiari, di cui Pirandello fu più volte al centro. Oppure l’insorgere di un brutto vizio come manifestazione fisica di un dispiacere: in questo caso, di Catellani, per la derisione che il protagonista deve subire quotidianamente. O ancora l’esclusione sociale, qui in conseguenza di un mero pregiudizio religioso: “possibile, via, che in un tempo come il nostro, in un paese come il nostro, debba sul serio esser fatto segno a una persecuzione religiosa uno come lui, sciolto fin dall’ infanzia da ogni fede positiva e disposto a rispettar quella degli altri, cinese, indiana, luterana, maomettana?”
Ma il bello deve ancora venire… Dopo nove anni di questa persecuzione religiosa, Catellani decide di ribellarsi. Escogita allora “uno scherzo di quelli che non si dimenticano più”, e che non ha solo lo scopo di mettere in imbarazzo il suocero, ma anche di dimostrare che “i cristiani, che dovrebbero sentirsi in Cristo tutti quanti fratelli, per cinque anni [1914-1918] si sono scannati tra loro allegramente in una guerra che, senza giudizio di quelle che verranno, non aveva avuto finora uguale nella storia”. Nonostante quella gran carneficina, Ambrini aveva avuto, quell’anno, la faccia tosta di organizzare i festeggiamenti per il Natale più pomposamente che mai, lavorando per oltre un mese con l’aiuto di due manovali a un grande presepe tutto illuminato, con cui fare una sorpresa ai nipotini la notte di Natale. Così, non appena tutto il resto della famiglia si reca in chiesa per la messa di mezzanotte, Catellani sostituisce a tutte le statuine del presepe, che non ritiene “convenienti al Natale d’un anno di guerra come quello”, altri giocattoli: “eserciti di soldatini di stagno, d’ogni nazione, francesi e tedeschi, italiani e austriaci, russi e inglesi, serbi e rumeni, bulgari e turchi, belgi e americani e ungheresi e montenegrini, tutti coi fucili spianati contro la grotta di Bethlehem, e poi, e poi tanti cannoncini di piombo, intere batterie, d’ogni foggia, d’ogni dimensione, puntati anch’essi di su, di giù, da ogni parte, tutti contro la grotta di Bethlehem”. Si nasconde dietro il presepe in attesa che il suocero rientri con i nipotini, la figlia, e tutta la folla di invitati, e… “Lascio immaginare a voi come rise là dietro”, conclude l’autore.
Nel suo tipico umorismo, in cui al riso subentra l’amarezza, Pirandello ci costringe di nuovo a riflettere sulle contraddizioni e le miserie della nostra società. In particolare ricordandoci – involontariamente, e a distanza di più di un secolo – che proprio a Betlemme, oggi nella Cisgiordania palestinese, e non solo a Betlemme, è “Natale d’un anno di guerra”…☺

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