Noi siamo l’unica bibbia
7 Febbraio 2022
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Noi siamo l’unica bibbia

“I farisei gli domandarono: Quando verrà il regno di Dio? Egli rispose loro: Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà: eccolo qui, oppure: eccolo là. Perché ecco, il regno di Dio è in mezzo/dentro di voi” (Lc 17,20-21). Ci troviamo di fronte ad una delle affermazioni di Gesù non totalmente chiare; è per questo che ho preferito mettere entrambe le possibilità di traduzione. La prima è più semplice e scontata, perché riflette il messaggio generale del vangelo, secondo cui il regno è presente nella persona di Gesù. La seconda traduzione è più strana, e sarebbe quella preferita da quei gruppi definiti gnostici, secondo cui alcuni eletti hanno dentro di sé una scintilla divina che deve però essere liberata dalla prigione della materia per tornare al mondo divino a cui appartiene. Una religione elitaria, insomma, solo per alcuni privilegiati che attraverso un percorso di conoscenza spirituale possono tornare al mondo divino da cui sono decaduti. È forse per questo che non è tanto amata come traduzione anche se è più fedele al testo originale. Nella traduzione ufficiale della chiesa viene evitata forse anche perché potrebbe portare ad un approccio troppo “fai da te” della fede, per cui sono io a decidere come rapportarmi con Dio e Gesù Cristo; della serie: Gesù sì chiesa no; oppure la scelta di regole etiche fatte su misura per il mio modo di vedere le cose. Una sorta di religione degli illuminati, insomma. In realtà, forse, aver cambiato il senso della frase è stata la scelta inconscia di prendere una scorciatoia per cucire addosso al vangelo e a Gesù il vestito che noi vogliamo far loro indossare, preoccupati che il confronto con il messaggio originale non metta in discussione l’apparato costruitogli attorno per duemila anni. Il vangelo invece deve provocare, ci deve costringere a fare la strada più lunga, magari un sentiero mai battuto prima.

Che significa allora che il regno di Dio è dentro di noi? Tra le tante risposte mi viene in mente che può significare questo: non possiamo delegare al gruppo o alla struttura il compito di interpretare e attuare il vangelo, ma siamo noi, ciascuno di noi a doverlo “spiegare” al mondo interpretandolo con la nostra vita, in una vera e propria “messa in scena” perché finché il vangelo rimane scritto sulla carta è lettera morta, per quanto possiamo solennemente portarlo in processione in una liturgia, baciarlo e usarlo per segnare nell’aria il simbolo della croce. Mi ritornano in mente le parole di un anonimo (forse) medievale: “Cristo non ha mani, ma ha soltanto le nostre mani; non ha piedi ma ha soltanto i nostri piedi; noi siamo l’unica bibbia che tutti possono leggere”. Ciò che Gesù dice è un altro modo per affermare un’altra verità cristiana: lo Spirito abita dentro di noi e ciò ci porta ad agire non secondo i nostri sentimenti ma secondo il modo di essere di Dio. Non bisogna né delegare ad altri né cercare in altri Dio ma fargli spazio in noi stessi, permettergli di riformattare la nostra mente e il nostro cuore per agire secondo il suo pensiero. Basta leggere tante affermazioni di Paolo che vanno esattamente in questa direzione. Ne cito una per tutte: “Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivesti di Cristo”.

La consapevolezza che la presenza di Dio e Gesù nel mondo ci coinvolge direttamente e personalmente ci mette al riparo dal pensare che basta dichiarare la propria appartenenza a una chiesa o a un gruppo religioso per dire di essere discepoli di Gesù, oppure combattere per la difesa di simboli inanimati o di valori astratti. Solo giocandosi in prima persona si può pensare di fare un servizio alla causa; altrimenti meglio tacere e restare nascosti fino a quando non ci viene questo coraggio, un po’ come Gesù stesso, che è stato nascosto per la maggior parte della sua vita e solo quando è stato riempito di Spirito al Battesimo ha dedicato ciò che gli è rimasto da vivere solo all’annuncio del regno di Dio, non tanto e non solo con le parole, ma soprattutto con azioni concrete nei confronti degli ultimi del mondo in cui si è trovato a vivere. Dire che il regno di Dio è da qualche parte, si identifica con un gruppo o una chiesa significa deresponsabilizzarsi di fronte alla chiamata di Dio verso ciascuno di noi, chiamata unica e non delegabile. Non esiste un mondo o una società cristiana, ma solo persone singole che si fanno carico di mostrare che Dio è dentro di loro nel modo in cui accolgono e si mettono a servizio.

Sogno un tempo in cui dalle chiese spariscano tutti gli orpelli e i simboli che sono usati per ostentare un’appartenenza a Cristo, un’appartenenza che non ha scavato segni nella carne, ma è solo un ornamento esterno che si appende come le croci (che siano d’oro o di legno è del tutto secondario) che si appendono al collo i vescovi o altre cose simili. L’affermazione di Gesù è stata semplicemente aggirata perché ci costringerebbe a chiederci se ha scavato solchi dolorosi nella nostra carne oppure è rimasto solo un ornamento esteriore. Meno ciondoli e abiti strani continuiamo a mantenere e più forse troveremo il tempo e il modo per valutare la nostra coerenza col vangelo.☺

 

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