ora d’aria
14 Aprile 2010 Share

ora d’aria

 

Mercoledì 4 giugno 2008, oltre le sbarre.

Abbiamo varcato il cancello del carcere di Larino io, Cristina, Simone e Tania, alunni del Liceo pedagogico di Campobasso “Giuseppe Maria Galanti”.

Una visita di piacere, la nostra: gioiosa soddisfazione loro e misurato orgoglio mio, i tre ragazzi sono risultati vincitori per la sezione scuole superiori di un concorso indetto in febbraio dal carcere di Larino e destinato agli allievi delle scuole di ogni ordine e grado.

“Oltre le sbarre”, il titolo del concorso; richiesta, l’invenzione di uno slogan verbale o iconografico o misto dei due in tema di legalità.

Caso e curiosità, primi moventi della nostra partecipazione all’iniziativa, hanno perso cammin facendo la caratteristica patina di automatismo e leggiadria e acquistato lo spessore umanissimo che solo la consapevolezza  può conferire ai nostri atti.

Un caso che io abbia incontrato la professoressa Martusciello, insegnante di Italiano nel carcere di Larino, dove da anni funziona una sede didattica staccata dell’Istituto tecnico “Guglielmo Marconi” di Termoli; la professoressa Martusciello, esempio positivo di dedizione al lavoro mai dissociata da contagioso entusiasmo, è riuscita a persuadere me, in genere restia agli agonismi scolastici e non, a proporre il concorso ai miei alunni.

Curiosità, la reazione immediata dei ragazzi, quando in classe ho comunicato loro della possibilità di partecipare al concorso; e, conseguente, un’adesione esaltata quanto sconsiderata.

E poi, però, l’artigianato della creazione dello slogan, a tu per tu quotidiano con i concetti di legalità e libertà e giustizia e loro opposti e loro varianti da manipolare e trascrivere in parole o figure e da ordinare in una sintassi di senso, ci ha costretto ad un affinamento del pensiero e della sensibilità, ci ha diretto ad una presa di coscienza . “Ci” noi  tutti, me prima.

La professoressa Martusciello, commossa per la partecipazione calorosa di molte scuole molisane, ci ha riferito il giorno della premiazione che al carcere erano arrivati quasi 500 elaborati, per lo più validi e interessanti, tanto da rendere la selezione particolarmente ardua per gli esaminatori, i detenuti stessi. In parte quegli elaborati li abbiamo potuti vedere e leggere nel “teatro” del carcere, dove si è svolta la cerimonia di premiazione, ne tappezzavano le pareti: disegni, fumetti, racconti brevi, frasi incisive, colorati e scanzonati, soffusi di malinconia e gravi, diversi per forma, genere e tono espressivi. A me davvero parevano tutti ugualmente suggestivi, ma, ovvio, racconto dei miei.

Cristina una colomba della pace, librata sulle due ali della libertà e della legalità, equi motori aereodinamici.

Tania, un cruciverba dal cui complicato intreccio a base di definizioni rispondenti ai concetti  chiave di giustizia e altruismo e onestà si stagliava un bel verticale di legalità

Simone, un ricetta dal singolare impasto, per la “Torta Legalità”: dosi abbondanti di rispetto e senso civico, manciate di autorevolezza, un pizzico di cultura (chi lo avrebbe detto, caro Simone?).

Dicevo della cerimonia di premiazione, svoltasi nell’aula cosiddetta del teatro, perché i docenti e la direttrice del carcere impegnano i detenuti in tante attività, compresa la drammaturgia. Dopo un’accoglienza simpatica e famigliare, che i ragazzi stentavano a credere di essere in un carcere, ci siamo trovati lì, con sulla scena le autorità varie (prefetto, provveditore agli studi, assessore alla cultura del comune di Larino, direttore del carcere), in platea gli alunni vincitori accompagnati dai rispettivi professori, nella retrovie una gruppo nutrito di detenuti.

Ed ecco la particolarità della premiazione: ciascuno dei detenuti, all’occa- sione, è salito sulla scena e da un podio, munito di microfono e pergamena, ha preso la parola per premiare i ragazzi vincitori, leggendo il giudizio di valutazione dei loro elaborati, puntualmente scritto dai detenuti stessi e compreso di una disamina critica, formale e contenutistica, dei lavori; quindi, consegna del premio.

È stata questa la circostanza dell’in- contro coi detenuti, viso a viso coi loro volti spesso giovanissimi, eppure come velati di un triste rigore, a contatto con la loro voce tanto simile a quella di un qualunque padre o fratello o fidanzato, ma intimidita e impacciata davanti al pubblico di scolari, da dover essere rischiarata ogni poco.

Serpeggiata da emozioni forti, l’atmosfera è stata tuttavia sobria, tagliata solo a tratti dalla salvifica gratuita ridanciana allegria degli allievi.

Un’esperienza educativa importante, perché i ragazzi hanno dovuto riflettere sul contenuto della legalità, hanno compreso più da vicino quanto possa costare ad un uomo infrangerne il sistema di regole, hanno valutato nel contempo la piena, completa umanità di quegli uomini là, nel carcere.

E, naturalmente, un’esperienza dolorosa

Mentre uscivamo in colonna dalla sala del teatro, dalle sbarre di un cella al secondo piano di un edificio di fronte una mano ha cominciato a ciondolare affannato un “ciao ciao”, un saluto o un addio. In silenzio ci siamo guardati io, Cristina, Simone e Tania, non abbiamo commentato nulla, abbiamo solo sorriso l’un con l’altro e, usciti dal carcere, ci siamo azzuffati ognuno col suo panino al prosciutto. Così si esorcizza una tragedia, pure così.

Non so i ragazzi, a me la mente si è confusa in un indistinto turbinio di idee e sensazioni. Nelle orecchie – chissà come – l’eco delle parole con cui De André descrive il suo terribile giudice nano, “giudice finalmente, arbitro in terra del bene e del male”; ad interromperle,  più stralciate e frante, le parole con cui San Paolo nella Lettera ai Romani si rivolge grave ed austero agli uomini che giudicano gli altri uomini. La sera stessa l’ho ripreso in mano quel passo, chiaro eppure complicato, quanto più ci ripenso. Recita: “Perciò, o uomo che giudichi, chiunque tu sia, non puoi essere scusato. Nel giudicare gli altri ti condanni da solo, perché anche tu agisci nello stesso modo. Sappiamo bene che nel condannare gli autori di quegli atti il giudizio di Dio segue la verità: e tu, uomo che giudichi gli autori di quegli atti, e li compi, calcoli di sfuggire al giudizio di Dio? O sprezzi il tesoro della sua benevolenza, della sua sopportazione, della sua generosità?”(2,1ss.).    A presto. ☺

LucianaZingaro@libero.it

 

 

 

 

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