
Parole alterate
C’era una volta la parola utile al dialogo, ai confronti ed alla comunicazione. Chiaro che nelle più “alte istituzioni” della Repubblica è augurabile che siedano persone di “alta cultura”, ma “l’alta cultura” è un falso formale e non è sufficiente, perchè il problema non è dimostrare capacità di eloquio e cultura, ma capacità di dare senso reale e concreto alle parole nonché capacità di risoluzione a problemi e conflitti, cosa che non s’impara sui libri e con le lauree. I battibecchi successivi, emblematico quello su ministri della cultura, lo trovo sconcertante quanto quello su Israele e sui conflitti che da secoli alimentano le guerre sul pianeta. E mentre il mondo va a cannonate, nei Parlamenti, sui quotidiani e dove ci si può raccontare, si gioca a chiacchiere su chi la sa di più e chi meglio di altri riesce a far ridere dei discorsi di ministri, parlamentari e colleghi di chiacchiere. È necessario ed urgente una “ecologia delle parole” perché la frantumazione del significato delle parole ha generato una perdita di senso delle stesse, al punto da essere sostituite dai vaffa, lasciateci stare e ci vuole un potere forte che ci metta al sicuro, riconvertite in populismo, assenteismo, autarchie autoritarie ed il ritorno del becero clientelismo funzionale. Più o meno, con parole differenti, si è capito che il problema sta nella logica capitalistica del profittare ad ogni costo e, all’orizzonte, non sembrano esserci alternative significative. Il potere economico sovrasta e governa le parole e la politica, così come la politica amministra gli interessi dei poteri forti ed allinea i propri alla medesima logica. Intanto si continua, in poltrona, a chiacchierare sulle tragedie, isolando, oscurando e minacciando chi è fuori dal coro.
Perché è necessario tornare ad una ecologia delle parole? Ovvero, perché è necessario pulire, rendere corrette e stabilire le congruenze delle parole? Per capire! e per capire facciamo uno dei tanti possibili giochi etimologici, cioè andiamo a vedere le origini della parola “ecologia”: A. L’oikos (οἶκος – oico/eco – casa-famiglia) per i greci, rappresentava un organismo sociale, collettivo e dinamico, costituiva cioè la struttura fondante della società. B. Logos (Λόγος – logica – parola – ragione). I primi filosofi, sempre greci, introdussero il “logos”, cioè la ragione in quanto sostanza o causa del mondo perché avevano una visione unitaria della realtà. C. eco.logia, quindi, quale parola composta e derivata, è definibile, in italiano, come “scienza che ha per oggetto lo studio delle funzioni di relazione tra l’uomo, gli organismi vegetali e animali e l’ambiente in cui vivono”.
È vero che “la conoscenza è il proprio tempo appreso con il pensiero” (Ministro Giuli, al di là dell’esatta citazione o parafrasi di Hegel). Ma, è anche vero che “tempo, conoscenza e pensiero” sono categorie “mobili”, influenzabili dai contesti soggettivi. Per il contadino hanno un senso che non combacia certo con quello del filosofo o dello scienziato. Figurarsi poi, se andassimo ad analizzarne il senso tra sfollati, disoccupati, preti, senzatetto, martoriati dalle guerre e dalle devastazioni climatiche. Necessario quindi rendere parole e concetti edibili, ma non commestibili! E nell’edibile casca l’ asino! È un sistema economico che ha alterato la fonte: il profitto non corrisponde al legittimo e proporzionato beneficio economico e/o sociale, ovvero non è “ecologico”. Le parole, dunque, di fatto, diventano destrutturate, ovvero dichiarazioni implicite di omissioni e connivenze strutturali. Stop bombing GAZA stop genocide, sono parole che esprimono un senso chiaro. Multarle, acquista un altro senso, che stravolge i sensi delle parole e diventa funzionale al gioco, alla guerra ed ai signori che la alimentano. Poi, perché irritarsi se si spara anche a qualche soldatino di casa? Difficile pensare che centrale sia riaffermare continuamente la dignità e la centralità dell’uomo quando i migranti, così come “i senza nome”, vengono definiti carichi residuali! Così come è difficilmente comprensibile che ho i voti, quindi posso, indipendentemente dalle logiche democratiche della separazione dei poteri, dove il lasciateci lavorare rivolto al potere giudiziario, sostanzialmente significa: non rompeteci i coglioni e lasciate perdere le sofisticherie delle Leggi, che le Leggi le facciamo noi!. È in atto “una retorica da ultimo stadio che se non altro chiarisce il punto di arrivo della marcia sullo stato di diritto” (Il Manifesto /Andrea Fabozzi 19 Ottobre 2024). Ma, peggio, è in atto una destrutturazione delle parole, che, perdendo di senso, non sono più edibili, ma commestibili e funzionali per addomesticare il “popolo bue”. Già era buio nelle democrazie occidentali, ma si rischia di fare notte.
“È questa imperturbabile misura /a ben vedere, che ci rende offesi: / questo decoro puzza di impostura / e di follia, di “fascino discreto” /come se conoscessero il segreto / di rimanere seduti a conversare / anche se il mondo sprofonda dentro il mare e nella vergogna” (Serra, 1993 – Poetastro pag. 20). E “se ti senti senza speranza e bloccato in un sistema che non offre possibilità di cambiamento, alla fine quello che vorrai è distruggere il sistema, invece di lavorarci dentro” (Manifesto ‘Potere assoluto’ 7 Novembre).☺