Per una cultura progettuale
20 Febbraio 2020
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Per una cultura progettuale

Ci sono parole che hanno un loro fascino e che evocano atteggiamenti nei confronti della vita sociale, della morale e della politica, tesi ad un mondo migliore. Ne prendo in considerazione alcune. Visione. Tra le diverse accezioni del vocabolo mi preme sottolineare quello di idea, ovvero, quadro complessivo di una situazione. Avere una visione del futuro. Vedere in anticipo. Da cui deriva visionario, con i suoi sinonimi: idealista, utopista, sognatore. Ecco! Sognare, rappresentarsi come reale, con la fantasia, ciò che si desidera. Se tutto ciò va oltre la pura illusione, siamo in presenza di progetti che se realizzati danno un nuovo volto al mondo.

E ancora, progetto, progettare: dal latino tardo proiectare “gettare avanti”, ideare, avere l’intenzione di fare qualcosa, quindi, l’ideazione accompagnata da uno studio relativo alle possibilità di attuazione e di esecuzione.

La cultura progettuale e, più in generale, la cultura riformistica è caratterizzata dal desiderio di cambiare il presente, un presente che non soddisfa, un presente che va modificato. Non ci sarebbero progetti se l’uomo non avesse questa costituzionale caratteristica di essere sempre insoddisfatto del presente e prefigurarsi un futuro migliore tramite visioni, sogni, fantasie. Howard Gardner definisce l’intelligenza: “la capacità che l’uomo ha di adattare sé all’ambiente o l’ambiente a sé, in vista di poter migliorare il proprio rapporto con l’ambiente e vivere più felice, in modo appagante”. Quindi dalla insoddisfazione del presente, dalla necessità di modificare il rapporto con la natura e con gli altri, scaturisce questa caratteristica, tipicamente umana del “gettare in avanti” la mente e il cuore oltre l’ostacolo, per individuare l’obiettivo che può appagare il bisogno di miglioramento e colmare quelle lacune frustranti che lo fanno vivere in modo deficitario. Espressione della progettualità è, dunque, la consapevolezza che il “gettare in avanti” la propria intenzionalità e la propria volontà porti a modificare le cose. L’elemento che caratterizza un progetto è ciò che ci si prefigge di raggiungere in futuro, più avanti, cioè, l’obiettivo, la stella polare a cui fare riferimento.

Quando, poi, si cerca di ragionare in modo sistematico, formale, mettendo le cose per iscritto, allora si fa un programma. Un altro vocabolo interessante. Programma: dal greco prographein, scrivere prima. È l’enunciazione particolareggiata di ciò che si vuole fare o è necessario o ci si propone di fare; è la descrizione di tutto ciò che si processa. Programmare significa formulare un piano idoneo a indirizzare un’attività verso il raggiungimento di finalità individuate. Pertanto gli elementi che concorrono a definirlo, oltre all’obiettivo, che rappresenta il risultato posto sul mirino della intenzionalità di chi formula il progetto, sono i contenuti, (informazione, concetti, princìpi, regole, riferite ad un particolare ambito o disciplina da trattare), il metodo che è il percorso più efficace ed efficiente da adottare per realizzare il risultato per raggiungere l’obiettivo e la valutazione che consente di controllare il cambiamento ottenuto.

Ma prima di mettersi in moto, bisogna però sincerarsi che vi siano le condizioni di praticabilità per governare il progetto stesso. Governare, gestire, amministrare. Altri tre termini fondamentali per una cultura progettuale. Tre vocaboli che, pur essendo sinonimi per affinità di contenuto, hanno etimo diverso. Amministrare: dal latino administrare “agire da ministro”, vale a dire agire da servitore, esecutore e strumento di una volontà. Prendersi cura dell’organizzazione della gestione di un ente, di un bene, di un’attività pubblica o privata. Governare: dal latino gubernare “reggere il timone”, guidare secondo un principio o un programma, esercitando il potere politico, amministrativo o spirituale. Gestire: derivato di gestore, amministrare per conto proprio o di terzi, condurre, dirigere, organizzare, amministrare con oculatezza.

Alla luce della modesta disamina su esposta sorgono alcune domande su quello che accade nella nostra Regione. Chi oggi, ma anche ieri, è alla guida politica e amministrativa possiede una visione di sviluppo, un’idea di Regione, di Comunità, di assetto urbanistico, di ambiente, di territorio, in una parola, un progetto e quindi obiettivi da perseguire? O vive alla giornata, rincorrendo gli umori e le elemosine elargite da chi ha maggiore potere? Elemosine a fronte di consenso. Una visione condivisa, un progetto ben articolato, organico, permette di lavorare in modo non occasionale o episodico ed evita improduttività, finalizzando il proprio operato, permette di trovare le risposte più adatte ad ogni specifica situazione, coinvolge le comunità, sia nella fase ideativa che in quella operativa, mette gli eletti e la collettività in grado di verificare i risultati raggiunti e quindi fornire pubblicamente una rendicontazione sull’operato.

Forse la disaffezione alla politica nasce anche dal fatto che questo navigare a vista, in assenza di chi “regge il timone” verso porti condivisi, l’arroccarsi nella torre della burocrazia negando il confronto costruttivo, fa naufragare tutti.

Una cultura progettuale è salvifica.☺

 

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