piangere… sotto il muro    di Leo Leone
27 Marzo 2012 Share

piangere… sotto il muro di Leo Leone

 

Tra le affascinanti esperienze vissute lungo i sentieri tracciati da Gesù, non è mancata la mattinata trascorsa davanti al Muro del Pianto a Gerusalemme. Eravamo un gruppo numeroso che aveva aderito al programma del pellegrinaggio in Terra Santa organizzato dalla diocesi di Campobasso. Partecipe anche il vescovo P. GianCarlo Bregantini. Ci siamo dotati di una  ricchezza di scoperte e della vastità e intensità delle sensazioni provate in un territorio ricco di storia e di testimonianze di alto respiro umano e religioso. Ma non potremo mai occultare il profondo senso di malessere e di angoscia sollevato dal clima di inimicizia, scontro e conflitto che pervade l’intero territorio. In quella terra sono presenti molti gruppi diversi per provenienza etnica e appartenenza religiosa: ebrei, musulmani, cristiani e, quest’ultimi, ripartiti in una pluralità di Chiese: ortodossa, armena, siriana, copta, russa, anglicana e cattolica.

Nella stessa scenografia che si ricava dalla narrazione dei Vangeli si manifesta, con incisivo rilievo, la presenza di una cultura e di tradizioni che propendevano per il dissidio, fino all’intolleranza fra soggetti e gruppi di diversa provenienza. Per questo facciamo ricorso alle testimonianze che Cristo utilizza con la volontà di dare chiari segnali di dialogo e di fraternità fra diversi, quando avvicina le figure dei samaritani, uomo e donna, che in quella terra erano considerati estranei, se non avversi all’etnia e religione ebraica. Così pure ci rincuora quando persegue il suo cammino in un permanente atteggiamento di apertura e di fraternità con i poveri, miseri e malati che rappresentavano anch’essi i margini estremi della società. E ancora, gli stranieri erano accolti e inseriti nel gruppo dei suoi seguaci e interlocutori attivi. Ebbene, in questa recente esperienza in Palestina, ci siamo trovati coinvolti in una mistura culturale che ha sollevato in tutti noi interrogativi inquietanti e, a ben rifletterci, anche sentimenti di indignazione per episodi di intolleranza che continuano a proliferare su quella terra.

Abbiamo vissuto con grande sorpresa, malgrado le segnalazioni preventive che ci erano pervenute, i passaggi da muro a muro frapposti tra territori confinanti non solo, ma anche tra quartiere e quartiere di Gerusalemme. Perché, soprattutto nella capitale, la convivenza tra gruppi etnici era così diffusa che gli israeliti, non hanno rinunciato a edificare muraglie separatiste, da oltrepassare solo attraverso porte rigidamente controllate. Naturalmente una vigilanza altrettanto rigida è attivata da parte di palestinesi ed egiziani. E le forme di controllo sono state militaresche al punto da svuotare le borse portate a mano dagli “ospiti”e, attraverso perlustrazioni ad personam, a sequestrare oggetti e simboli  non consoni con la religione ebraica. Sotto il Muro del Pianto abbiamo incrociato gruppi di ogni provenienza che venivano a testimoniare memoria e solidarietà per eventi storici che hanno lasciato segni atroci su questa terra che, malgrado il clima di frazionamento drammatico che porta al suo interno, resta meta di approdo per genti di ogni continente.

David Grossman, scrittore israeliano, ha dedicato molto spazio di inchiesta e di riflessione al conflitto che si trascina da circa un secolo tra israeliani e palestinesi. Nella pagina introduttiva di un suo libro recente rileva: “Nella situazione attuale la lotta non è più tra israeliani e palestinesi, ma tra chi non vuole più scendere a patti con la disperazione e chi cerca di trasformarla in un modo di vita”. E ci sconcerta il pensare che un popolo che ha subìto una delle più tragiche vicende che ha segnato la storia dell’uomo, la Shoa, possa essersi lasciato prendere da una patologia disumana non molto dissimile da quella che lo aveva reso vittima dell’“olocausto”. Ma sono eventi quelli che hanno segnato e tuttora segnano la storia del nostro tempo e che non giustificano neppure le imprese del popolo palestinese che è ricorso alla diffusione di una guerra stragista promuovendo gruppi sovversivi modello l’Intifada, i Kamikaze.

Su quella terra sono cresciuti anche spiriti e intelletti che, pur non ignorando la storia che ha reso il popolo ebreo vittima di misfatti inauditi hanno sollecitato e testimoniato la creazione di una umanità centrata sul dialogo e la fraternità anche in tempi bui. E in questo contesto attingiamo ai bagliori di luce rilasciati da figure femminili, ebree di nascita, di alto spessore umanitario. “L’umanità nella forma della fraternità fa inevitabilmente la sua comparsa nella storia presso i popoli perseguitati e i gruppi ridotti in schiavitù” (da “L’Umanità in tempi bui” di Hannah Arendt). “Ho un cuore molto appassionato, ma mai per una persona sola: per tutte le persone. È un cuore molto ricco, io credo. Una volta pensavo sempre che lo avrei dato tutto a una persona sola: ma è impossibile” (dal Diario di Etty Hillesum, morta ad Auschwitz nel 1943). ☺

 le.leone@tiscali.it

 

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