In questa estate di paradossi non solo climatici (guerre e mondiali di calcio, Schettino che dà lezioni all’università mentre dalla Concordia vengono ripescati i resti di una delle vittime del naufragio) ho faticato davvero a trovare il mio baricentro. Sarà che per mia natura non riesco a ingurgitare cocktail dopo aver cenato davanti alle immagini della striscia di Gaza e che ho avuto una sola settimana priva (si fa per dire) di impegni, ma mi sono sentita davvero poco in vacanza.
Di tutte le immagini tremende che mi sono passate davanti agli occhi, una, terribile per la sua brutalità, ha catturato la mia attenzione… è la foto di una sedia a rotelle rovesciata e di un ragazzo di Gaza accanto al corpo della sorella disabile che aveva tentato di portare via invano dai bombardamenti. È un’immagine che racchiude verità profonde, comuni a tutti coloro che hanno a che fare con le disabilità.
L’impotenza e la frustrazione. Quando si ha una persona amata con disabilità, le si vorrebbe regalare lo stesso mondo che ai normodotati è concesso di fruire… fare una passeggiata in montagna, osservare un tramonto, ascoltare una canzone, sono attività che non per tutti sono possibili, e ci si deve necessariamente fermare davanti al limite, alle barriere che la natura e la società impongono. Di certo non è una constatazione che si accetta di buon grado, e posso solo intuire cosa avrà pensato il ragazzo di Gaza che non è riuscito a scappare più un fretta per portare in salvo la sorella.
Il senso di colpa. Poter fare qualcosa ed amare qualcuno che per condizione personale non può fare la stessa cosa insieme a noi genera la più complessa delle domande… perché io sì e lui/lei no? Da lì a colpevolizzarsi per la nostra “fortuna” il passo è breve… si rischia di non apprezzare più nulla di quello che si fa perché non la si può condividere con chi si ama. Come vivrà il ragazzo di Gaza che sa di respirare ancora grazie alle gambe che gli hanno concesso di scappare più in fretta?
L’amore, un amore “diverso” da tutti. Amare una persona con disabilità può significare amare qualcuno che non sa abbracciarci, non sa baciarci, non sa regalare parole d’affetto. Significa amare qualcuno che è in qualche modo – ed a volte totalmente – dipendente da noi. È un amore sbilanciato, che talvolta vive di autocelebrazioni. Eppure è un amore forte perché è totalmente disinteressato e legato intrinsecamente a quello che si è, e non a ciò che si fa o si dice.
La solitudine. È quello che forse più spaventa di quella fotografia, il fatto che i due ragazzi fossero soli. Soli in mezzo ad un cumulo di macerie. La solitudine degli affetti è troppo spesso associata alla storie delle famiglie della persona con disabilità, vuoi per ignoranza, vuoi per paura, vuoi per dolore. La solitudine delle istituzioni è parimenti drammatica, perché lo stato dovrebbe rimuovere gli ostacoli che consentono a tutti di vivere una vita felice, e vergognosamente non lo fa.
Voglio ricordare Vittorio Arrigoni, che a Gaza è morto nel 2011, e la sua lezione – che forse avrà appreso durante la sua esperienza lavorativa per le persone con disabilità – scandita in due semplici e icastiche parole: stay human, ossia “restiamo umani”, e se ci si ragiona bene è davvero la cosa più difficile di tutte.
In una società dove ci si sfida a “postare” su facebook la foto della vacanza più figa, dove occorre a tutti i costi apparire felici e alla moda con gli occhiali polarizzati, è davvero difficile restare umani e guardare cosa c’è dietro l’apparenza ed andare dritti all’essenza, e ad amare l’uomo, chiunque esso sia e qualsiasi condizione fisica o sociale abbia. Anche se a ben vedere è l’unica cosa a cui dovremmo restare aggrappati, l’unica soluzione ai mali (anche economici) del nostro tempo, l’unica chiave per realizzare la vera uguaglianza sostanziale e la felicità di tutti gli individui.
Una chiosa finale… sarà “rimasto umano” il Sindaco di Termoli che per ben due volte e senza alcuna giustificazione ha rinviato l’incontro con i cittadini per discutere della formazione della consulta per le disabilità? E soprattutto avrà riservato lo stesso trattamento anche ai vari costruttori e palazzinari? Chi lo sa… Seguiranno aggiornamenti.☺
In questa estate di paradossi non solo climatici (guerre e mondiali di calcio, Schettino che dà lezioni all’università mentre dalla Concordia vengono ripescati i resti di una delle vittime del naufragio) ho faticato davvero a trovare il mio baricentro. Sarà che per mia natura non riesco a ingurgitare cocktail dopo aver cenato davanti alle immagini della striscia di Gaza e che ho avuto una sola settimana priva (si fa per dire) di impegni, ma mi sono sentita davvero poco in vacanza.
Di tutte le immagini tremende che mi sono passate davanti agli occhi, una, terribile per la sua brutalità, ha catturato la mia attenzione… è la foto di una sedia a rotelle rovesciata e di un ragazzo di Gaza accanto al corpo della sorella disabile che aveva tentato di portare via invano dai bombardamenti. È un’immagine che racchiude verità profonde, comuni a tutti coloro che hanno a che fare con le disabilità.
L’impotenza e la frustrazione. Quando si ha una persona amata con disabilità, le si vorrebbe regalare lo stesso mondo che ai normodotati è concesso di fruire… fare una passeggiata in montagna, osservare un tramonto, ascoltare una canzone, sono attività che non per tutti sono possibili, e ci si deve necessariamente fermare davanti al limite, alle barriere che la natura e la società impongono. Di certo non è una constatazione che si accetta di buon grado, e posso solo intuire cosa avrà pensato il ragazzo di Gaza che non è riuscito a scappare più un fretta per portare in salvo la sorella.
Il senso di colpa. Poter fare qualcosa ed amare qualcuno che per condizione personale non può fare la stessa cosa insieme a noi genera la più complessa delle domande… perché io sì e lui/lei no? Da lì a colpevolizzarsi per la nostra “fortuna” il passo è breve… si rischia di non apprezzare più nulla di quello che si fa perché non la si può condividere con chi si ama. Come vivrà il ragazzo di Gaza che sa di respirare ancora grazie alle gambe che gli hanno concesso di scappare più in fretta?
L’amore, un amore “diverso” da tutti. Amare una persona con disabilità può significare amare qualcuno che non sa abbracciarci, non sa baciarci, non sa regalare parole d’affetto. Significa amare qualcuno che è in qualche modo – ed a volte totalmente – dipendente da noi. È un amore sbilanciato, che talvolta vive di autocelebrazioni. Eppure è un amore forte perché è totalmente disinteressato e legato intrinsecamente a quello che si è, e non a ciò che si fa o si dice.
La solitudine. È quello che forse più spaventa di quella fotografia, il fatto che i due ragazzi fossero soli. Soli in mezzo ad un cumulo di macerie. La solitudine degli affetti è troppo spesso associata alla storie delle famiglie della persona con disabilità, vuoi per ignoranza, vuoi per paura, vuoi per dolore. La solitudine delle istituzioni è parimenti drammatica, perché lo stato dovrebbe rimuovere gli ostacoli che consentono a tutti di vivere una vita felice, e vergognosamente non lo fa.
Voglio ricordare Vittorio Arrigoni, che a Gaza è morto nel 2011, e la sua lezione – che forse avrà appreso durante la sua esperienza lavorativa per le persone con disabilità – scandita in due semplici e icastiche parole: stay human, ossia “restiamo umani”, e se ci si ragiona bene è davvero la cosa più difficile di tutte.
In una società dove ci si sfida a “postare” su facebook la foto della vacanza più figa, dove occorre a tutti i costi apparire felici e alla moda con gli occhiali polarizzati, è davvero difficile restare umani e guardare cosa c’è dietro l’apparenza ed andare dritti all’essenza, e ad amare l’uomo, chiunque esso sia e qualsiasi condizione fisica o sociale abbia. Anche se a ben vedere è l’unica cosa a cui dovremmo restare aggrappati, l’unica soluzione ai mali (anche economici) del nostro tempo, l’unica chiave per realizzare la vera uguaglianza sostanziale e la felicità di tutti gli individui.
Una chiosa finale… sarà “rimasto umano” il Sindaco di Termoli che per ben due volte e senza alcuna giustificazione ha rinviato l’incontro con i cittadini per discutere della formazione della consulta per le disabilità? E soprattutto avrà riservato lo stesso trattamento anche ai vari costruttori e palazzinari? Chi lo sa… Seguiranno aggiornamenti.☺
In questa estate di paradossi non solo climatici (guerre e mondiali di calcio, Schettino che dà lezioni all’università mentre dalla Concordia vengono ripescati i resti di una delle vittime del naufragio) ho faticato davvero a trovare il mio baricentro.
In questa estate di paradossi non solo climatici (guerre e mondiali di calcio, Schettino che dà lezioni all’università mentre dalla Concordia vengono ripescati i resti di una delle vittime del naufragio) ho faticato davvero a trovare il mio baricentro. Sarà che per mia natura non riesco a ingurgitare cocktail dopo aver cenato davanti alle immagini della striscia di Gaza e che ho avuto una sola settimana priva (si fa per dire) di impegni, ma mi sono sentita davvero poco in vacanza.
Di tutte le immagini tremende che mi sono passate davanti agli occhi, una, terribile per la sua brutalità, ha catturato la mia attenzione… è la foto di una sedia a rotelle rovesciata e di un ragazzo di Gaza accanto al corpo della sorella disabile che aveva tentato di portare via invano dai bombardamenti. È un’immagine che racchiude verità profonde, comuni a tutti coloro che hanno a che fare con le disabilità.
L’impotenza e la frustrazione. Quando si ha una persona amata con disabilità, le si vorrebbe regalare lo stesso mondo che ai normodotati è concesso di fruire… fare una passeggiata in montagna, osservare un tramonto, ascoltare una canzone, sono attività che non per tutti sono possibili, e ci si deve necessariamente fermare davanti al limite, alle barriere che la natura e la società impongono. Di certo non è una constatazione che si accetta di buon grado, e posso solo intuire cosa avrà pensato il ragazzo di Gaza che non è riuscito a scappare più un fretta per portare in salvo la sorella.
Il senso di colpa. Poter fare qualcosa ed amare qualcuno che per condizione personale non può fare la stessa cosa insieme a noi genera la più complessa delle domande… perché io sì e lui/lei no? Da lì a colpevolizzarsi per la nostra “fortuna” il passo è breve… si rischia di non apprezzare più nulla di quello che si fa perché non la si può condividere con chi si ama. Come vivrà il ragazzo di Gaza che sa di respirare ancora grazie alle gambe che gli hanno concesso di scappare più in fretta?
L’amore, un amore “diverso” da tutti. Amare una persona con disabilità può significare amare qualcuno che non sa abbracciarci, non sa baciarci, non sa regalare parole d’affetto. Significa amare qualcuno che è in qualche modo – ed a volte totalmente – dipendente da noi. È un amore sbilanciato, che talvolta vive di autocelebrazioni. Eppure è un amore forte perché è totalmente disinteressato e legato intrinsecamente a quello che si è, e non a ciò che si fa o si dice.
La solitudine. È quello che forse più spaventa di quella fotografia, il fatto che i due ragazzi fossero soli. Soli in mezzo ad un cumulo di macerie. La solitudine degli affetti è troppo spesso associata alla storie delle famiglie della persona con disabilità, vuoi per ignoranza, vuoi per paura, vuoi per dolore. La solitudine delle istituzioni è parimenti drammatica, perché lo stato dovrebbe rimuovere gli ostacoli che consentono a tutti di vivere una vita felice, e vergognosamente non lo fa.
Voglio ricordare Vittorio Arrigoni, che a Gaza è morto nel 2011, e la sua lezione – che forse avrà appreso durante la sua esperienza lavorativa per le persone con disabilità – scandita in due semplici e icastiche parole: stay human, ossia “restiamo umani”, e se ci si ragiona bene è davvero la cosa più difficile di tutte.
In una società dove ci si sfida a “postare” su facebook la foto della vacanza più figa, dove occorre a tutti i costi apparire felici e alla moda con gli occhiali polarizzati, è davvero difficile restare umani e guardare cosa c’è dietro l’apparenza ed andare dritti all’essenza, e ad amare l’uomo, chiunque esso sia e qualsiasi condizione fisica o sociale abbia. Anche se a ben vedere è l’unica cosa a cui dovremmo restare aggrappati, l’unica soluzione ai mali (anche economici) del nostro tempo, l’unica chiave per realizzare la vera uguaglianza sostanziale e la felicità di tutti gli individui.
Una chiosa finale… sarà “rimasto umano” il Sindaco di Termoli che per ben due volte e senza alcuna giustificazione ha rinviato l’incontro con i cittadini per discutere della formazione della consulta per le disabilità? E soprattutto avrà riservato lo stesso trattamento anche ai vari costruttori e palazzinari? Chi lo sa… Seguiranno aggiornamenti.☺
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