rilevanza del bene comune di Silvio Malic | La Fonte TV
Di fronte alla tragedia dei morti e dei costi economici delle distruzioni causati dalla seconda guerra mondiale, si immaginò – nelle dichiarazioni e convenzioni dell’ONU, pattuite, sottoscritte e ratificate – il mondo come unica famiglia umana solidale quale ideale da raggiungere. Lo schema culturale aveva nella dignità della persona umana riconosciuta e tutelata il perno centrale; i popoli, cooperanti e non in conflitto, tramite la rappresentanza dei governi nazionali, impegnati a eliminare le condizioni disumane (schiavitù, esclusione, discriminazioni, fame, tortura, ecc.) per riconoscere, garantire, tutelare e promuovere sia diritti innati, non concessi, che pari opportunità, senza discriminazioni, circa i bisogni fondamentali di vita umana degna di tale nome.
Stupisce rileggere i due preamboli, identici, – in una pennellata, si traccia un giudizio storico e si afferma una intenzionalità propositiva – dei due Patti sui diritti economici, sociali e culturali e sui diritti civili e politici, attuativi della Dichiarazione del 1948. Approvati dall’Assem- blea generale nel 1966 si richiese un decennio (1976), per l’entrata in vigore: divennero legge vincolante per i sottoscrittori che li ratificavano nelle legislazioni nazionali, e furono, comunque, termine di riferimento e strumento di giudizio per l’intera famiglia umana.
Dimentichiamo che diritto indica innanzitutto “direzione” (directum) da percorrere e da mantenere per lungo periodo; immemori, ancora, di quale forza morale generarono nelle coscienze, singole e collettive, dei dissidenti/resistenti. Gran parte dei poteri oppressivi moderni sono implosi dall’interno per difetto di antropologia come riconosceva Giovanni Paolo II.
Scorriamo parte dell’elenco della seconda metà del secolo XX: l’India con Gandhi, l’intera Unione sovietica e le sue Repubbliche, la Polonia con Solidarnos, la Cecoslovacchia con Havel, la rivolta dei Garofani in Portogallo, il passaggio alla democrazia della Spagna, il Sud Africa con Mandela, e in ultimo ma non ultimo, le rivolte del Nord Africa, la terribile situazione della Siria, la permanente resistenza dei Palestinesi, ecc. Abbiamo sepolto, ancora viventi, i martiri dei diritti, della giustizia, della pace, della nonviolenza, per innamorarci di speculatori: è il corto circuito della cultura occidentale.
Oggi siamo al cospetto dell’im- plosione del potere economico, mercantile e finanziario; vero potere stragista della terra, dell’ambiente, dei viventi, delle attività creative dell’uomo, dei suoi atteggiamenti umanizzanti, causa un progetto mercantile privatistico senza limiti e senza doveri.
Si legge, in modo identico, nell’art.1 dei due Patti citati: 1) Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione… essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale. 2) Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali,… In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza.
Scrive Ugo Mattei: “Quando lo stato privatizza una ferrovia, una linea aerea o la sanità, o cerca di privatizzare il servizio idrico integrato (cioè l’acqua potabile) o l’università, esso espropria la comunità (ogni singolo membro pro quota) dei suoi beni comuni (proprietà comune) in modo esattamente analogo e speculare a ciò che succede quando si espropria una proprietà privata per costruire una strada o un’altra opera pubblica… In un processo di privatizzazione il governo non vende quanto è suo, ma quanto appartiene pro quota a ciascun componente della comunità… La tradizione liberale tutela il proprietario privato, cui viene sottratto un bene, tramite l’indennizzo, nessuna tutela giuridica sussiste nei confronti di un governo/stato che sottrae alla collettività beni comuni trasferendoli ai privati… La consapevolezza della rilevanza dei beni comuni – legati alla soddisfazione diretta dei bisogni e diritti delle persone e collettività – è diventata il collante, ancora politicamente amorfo, radicata nel senso profondo dell’ingiustizia subìta: i veri nemici del bene comune, paradossalmente, sono proprio i governi che dovrebbero esserne fedeli tutori. La falsa contrapposizione tra Stato e mercato dello scenario occidentale si è sviluppata nella dialettica stato-proprietà privata dove soltanto la seconda necessitava di tutele di fronte a governi autoritari e onnipotenti; nel nuovo scenario di rapporto stato/privato (corpora- tion), in cui il primo risulta funzionale al secondo, è la proprietà “pubbli- ca” (ancora detta così) a necessitare di tutela e garanzia di lungo periodo. La categoria dei beni comuni è chiamata a svolgere questa funzione di tutela nei confronti tanto dello stato che del potere privato” (I Beni comuni, Laterza).
Per ora il diritto è solo direzione intravista e percorsa dai popoli, dovrà presto essere codificato dai governi come “nuovo diritto sociale di ultima generazione”. Qui si vedrà la nostra nobilitate, capace di promuovere e non rovinare il futuro del mondo, degli uomini, degli animali, delle piante e dell’am- biente tutto. ☺
Di fronte alla tragedia dei morti e dei costi economici delle distruzioni causati dalla seconda guerra mondiale, si immaginò – nelle dichiarazioni e convenzioni dell’ONU, pattuite, sottoscritte e ratificate – il mondo come unica famiglia umana solidale quale ideale da raggiungere. Lo schema culturale aveva nella dignità della persona umana riconosciuta e tutelata il perno centrale; i popoli, cooperanti e non in conflitto, tramite la rappresentanza dei governi nazionali, impegnati a eliminare le condizioni disumane (schiavitù, esclusione, discriminazioni, fame, tortura, ecc.) per riconoscere, garantire, tutelare e promuovere sia diritti innati, non concessi, che pari opportunità, senza discriminazioni, circa i bisogni fondamentali di vita umana degna di tale nome.
Stupisce rileggere i due preamboli, identici, – in una pennellata, si traccia un giudizio storico e si afferma una intenzionalità propositiva – dei due Patti sui diritti economici, sociali e culturali e sui diritti civili e politici, attuativi della Dichiarazione del 1948. Approvati dall’Assem- blea generale nel 1966 si richiese un decennio (1976), per l’entrata in vigore: divennero legge vincolante per i sottoscrittori che li ratificavano nelle legislazioni nazionali, e furono, comunque, termine di riferimento e strumento di giudizio per l’intera famiglia umana.
Dimentichiamo che diritto indica innanzitutto “direzione” (directum) da percorrere e da mantenere per lungo periodo; immemori, ancora, di quale forza morale generarono nelle coscienze, singole e collettive, dei dissidenti/resistenti. Gran parte dei poteri oppressivi moderni sono implosi dall’interno per difetto di antropologia come riconosceva Giovanni Paolo II.
Scorriamo parte dell’elenco della seconda metà del secolo XX: l’India con Gandhi, l’intera Unione sovietica e le sue Repubbliche, la Polonia con Solidarnos, la Cecoslovacchia con Havel, la rivolta dei Garofani in Portogallo, il passaggio alla democrazia della Spagna, il Sud Africa con Mandela, e in ultimo ma non ultimo, le rivolte del Nord Africa, la terribile situazione della Siria, la permanente resistenza dei Palestinesi, ecc. Abbiamo sepolto, ancora viventi, i martiri dei diritti, della giustizia, della pace, della nonviolenza, per innamorarci di speculatori: è il corto circuito della cultura occidentale.
Oggi siamo al cospetto dell’im- plosione del potere economico, mercantile e finanziario; vero potere stragista della terra, dell’ambiente, dei viventi, delle attività creative dell’uomo, dei suoi atteggiamenti umanizzanti, causa un progetto mercantile privatistico senza limiti e senza doveri.
Si legge, in modo identico, nell’art.1 dei due Patti citati: 1) Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione… essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale. 2) Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali,… In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza.
Scrive Ugo Mattei: “Quando lo stato privatizza una ferrovia, una linea aerea o la sanità, o cerca di privatizzare il servizio idrico integrato (cioè l’acqua potabile) o l’università, esso espropria la comunità (ogni singolo membro pro quota) dei suoi beni comuni (proprietà comune) in modo esattamente analogo e speculare a ciò che succede quando si espropria una proprietà privata per costruire una strada o un’altra opera pubblica… In un processo di privatizzazione il governo non vende quanto è suo, ma quanto appartiene pro quota a ciascun componente della comunità… La tradizione liberale tutela il proprietario privato, cui viene sottratto un bene, tramite l’indennizzo, nessuna tutela giuridica sussiste nei confronti di un governo/stato che sottrae alla collettività beni comuni trasferendoli ai privati… La consapevolezza della rilevanza dei beni comuni – legati alla soddisfazione diretta dei bisogni e diritti delle persone e collettività – è diventata il collante, ancora politicamente amorfo, radicata nel senso profondo dell’ingiustizia subìta: i veri nemici del bene comune, paradossalmente, sono proprio i governi che dovrebbero esserne fedeli tutori. La falsa contrapposizione tra Stato e mercato dello scenario occidentale si è sviluppata nella dialettica stato-proprietà privata dove soltanto la seconda necessitava di tutele di fronte a governi autoritari e onnipotenti; nel nuovo scenario di rapporto stato/privato (corpora- tion), in cui il primo risulta funzionale al secondo, è la proprietà “pubbli- ca” (ancora detta così) a necessitare di tutela e garanzia di lungo periodo. La categoria dei beni comuni è chiamata a svolgere questa funzione di tutela nei confronti tanto dello stato che del potere privato” (I Beni comuni, Laterza).
Per ora il diritto è solo direzione intravista e percorsa dai popoli, dovrà presto essere codificato dai governi come “nuovo diritto sociale di ultima generazione”. Qui si vedrà la nostra nobilitate, capace di promuovere e non rovinare il futuro del mondo, degli uomini, degli animali, delle piante e dell’am- biente tutto. ☺
Di fronte alla tragedia dei morti e dei costi economici delle distruzioni causati dalla seconda guerra mondiale, si immaginò – nelle dichiarazioni e convenzioni dell’ONU, pattuite, sottoscritte e ratificate – il mondo come unica famiglia umana solidale quale ideale da raggiungere. Lo schema culturale aveva nella dignità della persona umana riconosciuta e tutelata il perno centrale; i popoli, cooperanti e non in conflitto, tramite la rappresentanza dei governi nazionali, impegnati a eliminare le condizioni disumane (schiavitù, esclusione, discriminazioni, fame, tortura, ecc.) per riconoscere, garantire, tutelare e promuovere sia diritti innati, non concessi, che pari opportunità, senza discriminazioni, circa i bisogni fondamentali di vita umana degna di tale nome.
Stupisce rileggere i due preamboli, identici, – in una pennellata, si traccia un giudizio storico e si afferma una intenzionalità propositiva – dei due Patti sui diritti economici, sociali e culturali e sui diritti civili e politici, attuativi della Dichiarazione del 1948. Approvati dall’Assem- blea generale nel 1966 si richiese un decennio (1976), per l’entrata in vigore: divennero legge vincolante per i sottoscrittori che li ratificavano nelle legislazioni nazionali, e furono, comunque, termine di riferimento e strumento di giudizio per l’intera famiglia umana.
Dimentichiamo che diritto indica innanzitutto “direzione” (directum) da percorrere e da mantenere per lungo periodo; immemori, ancora, di quale forza morale generarono nelle coscienze, singole e collettive, dei dissidenti/resistenti. Gran parte dei poteri oppressivi moderni sono implosi dall’interno per difetto di antropologia come riconosceva Giovanni Paolo II.
Scorriamo parte dell’elenco della seconda metà del secolo XX: l’India con Gandhi, l’intera Unione sovietica e le sue Repubbliche, la Polonia con Solidarnos, la Cecoslovacchia con Havel, la rivolta dei Garofani in Portogallo, il passaggio alla democrazia della Spagna, il Sud Africa con Mandela, e in ultimo ma non ultimo, le rivolte del Nord Africa, la terribile situazione della Siria, la permanente resistenza dei Palestinesi, ecc. Abbiamo sepolto, ancora viventi, i martiri dei diritti, della giustizia, della pace, della nonviolenza, per innamorarci di speculatori: è il corto circuito della cultura occidentale.
Oggi siamo al cospetto dell’im- plosione del potere economico, mercantile e finanziario; vero potere stragista della terra, dell’ambiente, dei viventi, delle attività creative dell’uomo, dei suoi atteggiamenti umanizzanti, causa un progetto mercantile privatistico senza limiti e senza doveri.
Si legge, in modo identico, nell’art.1 dei due Patti citati: 1) Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione… essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale. 2) Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali,… In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza.
Scrive Ugo Mattei: “Quando lo stato privatizza una ferrovia, una linea aerea o la sanità, o cerca di privatizzare il servizio idrico integrato (cioè l’acqua potabile) o l’università, esso espropria la comunità (ogni singolo membro pro quota) dei suoi beni comuni (proprietà comune) in modo esattamente analogo e speculare a ciò che succede quando si espropria una proprietà privata per costruire una strada o un’altra opera pubblica… In un processo di privatizzazione il governo non vende quanto è suo, ma quanto appartiene pro quota a ciascun componente della comunità… La tradizione liberale tutela il proprietario privato, cui viene sottratto un bene, tramite l’indennizzo, nessuna tutela giuridica sussiste nei confronti di un governo/stato che sottrae alla collettività beni comuni trasferendoli ai privati… La consapevolezza della rilevanza dei beni comuni – legati alla soddisfazione diretta dei bisogni e diritti delle persone e collettività – è diventata il collante, ancora politicamente amorfo, radicata nel senso profondo dell’ingiustizia subìta: i veri nemici del bene comune, paradossalmente, sono proprio i governi che dovrebbero esserne fedeli tutori. La falsa contrapposizione tra Stato e mercato dello scenario occidentale si è sviluppata nella dialettica stato-proprietà privata dove soltanto la seconda necessitava di tutele di fronte a governi autoritari e onnipotenti; nel nuovo scenario di rapporto stato/privato (corpora- tion), in cui il primo risulta funzionale al secondo, è la proprietà “pubbli- ca” (ancora detta così) a necessitare di tutela e garanzia di lungo periodo. La categoria dei beni comuni è chiamata a svolgere questa funzione di tutela nei confronti tanto dello stato che del potere privato” (I Beni comuni, Laterza).
Per ora il diritto è solo direzione intravista e percorsa dai popoli, dovrà presto essere codificato dai governi come “nuovo diritto sociale di ultima generazione”. Qui si vedrà la nostra nobilitate, capace di promuovere e non rovinare il futuro del mondo, degli uomini, degli animali, delle piante e dell’am- biente tutto. ☺
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