Ritorno a berlino
di Christiane Barckhausen-Canale
Da nove anni non torno a Berlino, la città dove sono nata e dove ho vissuto tutta la vita. Adesso devo andarci, perché devo rinnovare il mio documento d’identità. Le ultime ore in Italia le passo a Napoli, a pochi passi dal terminal di autobus e scopro una Napoli schierata dal lato giusto: una scritta grande contro la violenza contro le donne, ed una farmacia che non solo mi mostra l’ora, la data di oggi e la temperatura attuale, ma anche le parole “no war” e “cease fire now”.
Berlino mi riceve, verso le 9 di sera, con quello che si potrebbe chiamare “il ponte sullo stretto” dei tedeschi. Il nuovo aeroporto BER è stato completato con un ritardo di 12 anni ed è costato molti milioni più del previsto. E non è molto accogliente: dall’aereo fino al ritiro del bagaglio si deve camminare moltissimo, ci sono pochissime panchine per chi deve riposarsi, e… il bagaglio arriva dopo un’ora e mezza! Un impiegato dell’aeroporto ci spie- ga che non c’è abbastanza personale, soprattutto di sera e la notte.
La mattina dopo l’arrivo a Berlino scopro che il palazzo dove vivevo dal 1984, ed anche il grande cortile, sono “proprietà privata” e senza chiave non si può entrare, perché un grande cancello mantiene fuori i senza tetto ed i turisti.
Adesso ho trascorso già dieci giorni a Berlino ed ho scoperto che è una città molto cara, è una città per ricchi. Al centro, dove abito, i palazzi sono di vetro e di acciaio e creano un ambiente poco umano. I negozi sono quasi tutti di ditte straniere, soprattutto americane. Sono spariti quasi completamente i chioschi che vendevano, ancora nove anni fa, cibo vietnamita o turco o russo, e su molti palazzi pubblici vedo le bandiere ucraine. Il giorno dopo il nostro arrivo, Giorgio fa una passeggiata e vede una manifestazione “pro Palestina”; veniamo poi a sapere che c’era stato un congresso sulla Palestina, al quale doveva parlare il greco Varoufakis, che le autorità tedesche hanno vietato l’ingresso del politico greco in Germania e che il congresso è stato sciolto. Questo il motivo della manifestazione!
Siccome ho problemi a camminare sono costretta varie volte a prendere un taxi, perché per due persone, la differenza fra il prezzo del taxi e quello dei mezzi pubblici (metro, autobus o tranvia) è minima. Viaggiare in taxi significa a Berlino conoscere i tassisti che sono quasi tutti turchi. Ieri ci è toccato un turco molto progressista che si è emozionato quando ho menzionato Nazim Hikmet, il mio poeta turco preferito. Il nostro viaggio con lui è stato abbastanza lungo ma lui ha trovato il tempo per spiegarmi che in Turchia le donne hanno avuto il diritto al voto molto, molto prima delle donne svizzere: nel 1923! E mi dice anche che nella lingua turca, il paese dove nasci e dove vivi non si chiama “patria” ma “matria”…
Il secondo giorno a Berlino vado al ristorante Spitteleck, che si trova al piano terra del mio palazzo e che è stato, dal 1984 in poi, il mio ristorante preferito.
Ci vado con un’amica cilena che ho conosciuto nel 1974, quando lei aveva otto anni. Il cameriere ci sente parlare in spagnolo e ci saluta con “Buenos Dias”, e apprendiamo che lui è argentino. Poco più di un anno fa ha lasciato il suo paese ed ha preso in Sicilia la cittadinanza italiana, ma a Berlino ha trovato migliori condizioni di lavoro. Il cameriere non sa che il ristorante Spitteleck è stato chiuso per più di un anno dalle autorità tedesche, perché era stato un punto di incontro della ultra-destra berlinese. Adesso ha cambiato proprietario ed lo Spitteleck ha cambiato clientela.
Uno dei momenti più belli del mio breve soggiorno a Berlino è stata la visita al centro donne immigrate SUSI che ho fondato più di trent’anni fa. Il centro esiste ancora, ma le donne che ci lavorano sono altre, sono la terza generazione. Vado a visitare SUSI assieme a Karol, il mio amico polacco che ama il Molise come me e che ha una casa a Bonefro. Karol insegna tedesco ed inglese ai bambini immigrati nella città di Halle che dista da Berlino più di 100 chilometri. Karol è venuto a Berlino con i suoi allievi per far conoscere loro il lavoro di un centro per donne immigrate, e questo incontro è stato il momento più emozionante che ho vissuto a Berlino. I bambini (fra 12 e 17 anni) venuti dall’Afghanistan, dall’Iran, dall’Ucraina, dalla Romania, dalla Siria si sono aperti conversando con le donne di SUSI venute anni fa dal Vietnam, dalla Polonia, dal Perù e dal Nicaragua, ed i ragazzi hanno capito che cosa è l’interculturalità. Una ragazza curda ha chiesto che cosa si dovrebbe studiare per poter lavorare in un centro donne e noi le abbiamo spiegato che studiare sociologia sarebbe utile, ma più importante di qualsiasi studio o corso universitario, è la propria esperienza come donna migrante perché questo serve per lavorare con altre donne migranti.
Lascio Berlino e ritorno a Bonefro con il sogno di trovare questa giovane curda al centro SUSI, quando dovrò nuovamente rinnovare la mia carta d’identità.☺
