scultura e devozione
2 Luglio 2012 Share

scultura e devozione

 

Molto intenso era il mercato tra Napoli e le periferie del Regno, dove la scultura lignea, ossia scultura “povera” per antonomasia, veniva accolta con entusiasmo. Le sculture in legno erano realizzate nelle botteghe napoletane: da qui partivano per raggiungere le realtà devozionali più periferiche del regno (Molise, Puglia), oppure erano parte degli ingenti investimenti compiuti dai Viceré spagnoli che attingevano al patrimonio artistico napoletano e trasferivano in patria molti pezzi scultorei. Questo fece sì che dalla Spagna cominciarono a giungere frequenti richieste di sculture lignee napoletane. Accadeva che se a Napoli una scultura lignea poteva essere declassata a opera di seconda scelta, nel momento in cui raggiungeva la sua destinazione nelle province più lontane o nel Regno di Spagna, essa conquistava l’interesse generale. Gli spagnoli avevano idee precise riguardo alle iconografie e pretendevano che le opere commissionate aderissero il più possibile alle indicazioni, come testimoniano vari documenti dell’epoca.

L’iconografia riprendeva i prototipi di modelli realizzati da vari scultori: Pedro de Mena, Nicola Fumo, Giacomo Colombo. Il biografo dei pittori napoletani, Bernardo De Dominici racconta le molte commissioni fatte dai Viceré spagnoli agli artisti napoletani quali Nicola Fumo, che “inviò opere bellissime da lui scolpite in marmo e in legno”, o Pietro Ceraso, i cui lavori importanti “furono quelli fatti d’ordine di alcuni Viceré del regno, e furono mandati in Spagna, dove erano moltissimo stimate l’opere sue”. Un altro importante aspetto che favorì l’acquisto di opere di ambito napoletano da parte degli spagnoli fu la volontà dei Viceré di emulare Filippo II e il suo monastero dell’Escorial in cui vigeva la venerazione delle reliquie come massimo oggetto di culto, secondo i dettami della Riforma Cattolica. I Viceré acquistarono così reliquie di Santi e arricchivano le proprie cappelle private in Spagna.

Significato devozionale

Altari, sculture, quadri di episodi legati ai misteri della fede nei primi del 700 trovarono un crescente interesse. Dalla bottega di Giacomo Colombo uscirono opere di sorprendente bellezza, come il già descritto San Nicola di San Giuliano del Sannio, e il San Giovanni Battista di Casavatore, ma sculture che rasentano il prodigioso diventeranno prototipi anche per altri allievi, in particolare per Carmine Latessa di Oratino. Del Crocifisso di Marcianise è stato scritto: “Reclinato il capo a destra, la chioma folta e la corona di spine larga d’anelli e le altre poste a segno della sua regalità nei tempi del ricordo e della gratitudine stemperano di riflessi, gli occhi chiusi lividi e cerchiati di tristezza, la bocca aperta, disteso il viso nella serenità della morte, spira il Signore nella scultura e un impeto di pietà sale dal cuore di chi lo guarda” (Raffaele Iodice, Marcianise e il Crocifisso,1954).

Ma dell’opera non è solo il volto che si fa ammirare, ma tutto il corpo, profilato in un manierismo talvolta lezioso, incanta per la sua bellezza. Le gambe affusolate, non sovrapposte, ben tornite nei muscoli ancora soffici, il petto di un giovane aitante, i piedi allungati dal dolore e trapassati non da un sol chiodo, in linea con la ricerca formale che l’autore persegue con le tendenze del tempo. Quest’opera, per il suo significato devozionale, è venerata come miracolosa dal popolo.

Il Cristo deposto

Tra le mura del colle di Sant’Elmo e l’intricata trama urbana dei Quartieri Spagnoli, nell’ex cittadella monastica, fondata dalla mistica Orsola Benincasa, si conserva una scultura del Colombo raffigurante un Cristo deposto. L’impostazione dell’opera la si ritroverà espressa in tutta la carica emotiva nel Crocifisso del Convento della Madonna di Loreto a Toro, opera del discepolo Carmine Latessa. ☺

jacobuccig@gmail.com

 

 

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