Ho riletto (solo casualmente?) di recente un racconto di Franz Kafka che vede protagonisti un guardiano della Legge e un contadino.
“Davanti alla Legge sta un guardiano. Un uomo di campagna viene da questo guardiano e gli chiede il permesso di accedere alla Legge”. Alla richiesta del contadino, il guardiano risponde negativamente. L’uomo non si dà per vinto e si dispone all’attesa; ogni tanto lancia lo sguardo oltre la porta della Legge, che comunque è sempre aperta ad indicare che la possibilità di provare ad entrarvi non è esclusa del tutto, ma comporta rischi e pericoli, perché altri ostinati guardiani sono pronti ad impedirne l’accesso. È perplesso, il pover’uomo, e, mentre attende, cerca conforto nelle proprie convinzioni. Credeva di avere appreso che la Legge è accessibile a tutti. Perciò trascorre la vita nella speranza che prima o poi qualcosa accada, non disperando di ricevere il permesso di entrare. Seduto su uno sgabello, ripropone di tanto in tanto al guardiano il suo desiderio di varcare la soglia; dà fondo a tutto quello che ha per impietosirlo. Ma inutilmente. Il contadino è lì; davanti a lui il guardiano che gli ostacola l’ingresso alla Legge. Ormai allo stremo e prossimo alla morte, l’uomo formula la sua ultima domanda: “Come mai nessun altro oltre a me ha chiesto di entrare, se tutti aspirano alla Legge?”. “Nessun altro poteva ottenere di entrare da questa porta, a te solo era riservato l’ingresso. E adesso vado e la chiudo” è la risposta dell’intransigente guardiano.
Le interpretazioni che la critica letteraria ha fornito del testo sono numerose, ma non è questa la sede per riproporle. Conviene invece soffermarsi sulla dimensione atemporale, astorica e simbolica proposta dal racconto. Crea disagio e disorientamento nel lettore la storia di questo contadino, unicamente mosso dalla curiosità di un Assoluto che egli identifica nella Legge.
Si viene quasi catturati nel cerchio della sua solitudine. Ciò che più inquieta è l’immobilismo, la paralisi di un uomo che, pur avvertendo l’urgenza della crescita, morale e materiale, attende da altri il permesso di poter farsi carico della propria vita, di essere indipendente, di essere padrone di sé.
A sconcertare è l’inazione che lo accompagna sino alla morte. La sua insistente e reiterata richiesta di varcare la soglia della Legge, non sostenuta dalla forza interiore di superare la stasi e mobilitarsi, lo riduce alla totale passività.
Le analogie col tempo che viviamo non sono poche.
Per sentirsi oggi cittadini è necessario innanzitutto essere persone animate da una tenace e perseverante volontà di azione, che non arretra dinanzi ad alcun “guardiano” mascherato sotto le vesti di un totalitarismo dolce e premuroso, capace di ottundere il pensiero e la coscienza critica.
Per sentirsi oggi cittadini occorre convincersi che nessuna istituzione, solo per il fatto di essere tale, sia invulnerabile e inaccessibile.
Per sentirsi oggi cittadini occorre ricercare la socialità, mischiarsi dentro la Storia insieme agli altri, essere disposti a pagare di persona pur di affermare la propria orgogliosa coscienza morale, contro un potere, o Legge che dir si voglia, che sembra vietarcene la possibilità. È quello che in altro modo chiamiamo libertà.☺
annama.mastropietro@tiscali.it
Ho riletto (solo casualmente?) di recente un racconto di Franz Kafka che vede protagonisti un guardiano della Legge e un contadino.
“Davanti alla Legge sta un guardiano. Un uomo di campagna viene da questo guardiano e gli chiede il permesso di accedere alla Legge”. Alla richiesta del contadino, il guardiano risponde negativamente. L’uomo non si dà per vinto e si dispone all’attesa; ogni tanto lancia lo sguardo oltre la porta della Legge, che comunque è sempre aperta ad indicare che la possibilità di provare ad entrarvi non è esclusa del tutto, ma comporta rischi e pericoli, perché altri ostinati guardiani sono pronti ad impedirne l’accesso. È perplesso, il pover’uomo, e, mentre attende, cerca conforto nelle proprie convinzioni. Credeva di avere appreso che la Legge è accessibile a tutti. Perciò trascorre la vita nella speranza che prima o poi qualcosa accada, non disperando di ricevere il permesso di entrare. Seduto su uno sgabello, ripropone di tanto in tanto al guardiano il suo desiderio di varcare la soglia; dà fondo a tutto quello che ha per impietosirlo. Ma inutilmente. Il contadino è lì; davanti a lui il guardiano che gli ostacola l’ingresso alla Legge. Ormai allo stremo e prossimo alla morte, l’uomo formula la sua ultima domanda: “Come mai nessun altro oltre a me ha chiesto di entrare, se tutti aspirano alla Legge?”. “Nessun altro poteva ottenere di entrare da questa porta, a te solo era riservato l’ingresso. E adesso vado e la chiudo” è la risposta dell’intransigente guardiano.
Le interpretazioni che la critica letteraria ha fornito del testo sono numerose, ma non è questa la sede per riproporle. Conviene invece soffermarsi sulla dimensione atemporale, astorica e simbolica proposta dal racconto. Crea disagio e disorientamento nel lettore la storia di questo contadino, unicamente mosso dalla curiosità di un Assoluto che egli identifica nella Legge.
Si viene quasi catturati nel cerchio della sua solitudine. Ciò che più inquieta è l’immobilismo, la paralisi di un uomo che, pur avvertendo l’urgenza della crescita, morale e materiale, attende da altri il permesso di poter farsi carico della propria vita, di essere indipendente, di essere padrone di sé.
A sconcertare è l’inazione che lo accompagna sino alla morte. La sua insistente e reiterata richiesta di varcare la soglia della Legge, non sostenuta dalla forza interiore di superare la stasi e mobilitarsi, lo riduce alla totale passività.
Le analogie col tempo che viviamo non sono poche.
Per sentirsi oggi cittadini è necessario innanzitutto essere persone animate da una tenace e perseverante volontà di azione, che non arretra dinanzi ad alcun “guardiano” mascherato sotto le vesti di un totalitarismo dolce e premuroso, capace di ottundere il pensiero e la coscienza critica.
Per sentirsi oggi cittadini occorre convincersi che nessuna istituzione, solo per il fatto di essere tale, sia invulnerabile e inaccessibile.
Per sentirsi oggi cittadini occorre ricercare la socialità, mischiarsi dentro la Storia insieme agli altri, essere disposti a pagare di persona pur di affermare la propria orgogliosa coscienza morale, contro un potere, o Legge che dir si voglia, che sembra vietarcene la possibilità. È quello che in altro modo chiamiamo libertà.☺
Ho riletto (solo casualmente?) di recente un racconto di Franz Kafka che vede protagonisti un guardiano della Legge e un contadino.
“Davanti alla Legge sta un guardiano. Un uomo di campagna viene da questo guardiano e gli chiede il permesso di accedere alla Legge”. Alla richiesta del contadino, il guardiano risponde negativamente. L’uomo non si dà per vinto e si dispone all’attesa; ogni tanto lancia lo sguardo oltre la porta della Legge, che comunque è sempre aperta ad indicare che la possibilità di provare ad entrarvi non è esclusa del tutto, ma comporta rischi e pericoli, perché altri ostinati guardiani sono pronti ad impedirne l’accesso. È perplesso, il pover’uomo, e, mentre attende, cerca conforto nelle proprie convinzioni. Credeva di avere appreso che la Legge è accessibile a tutti. Perciò trascorre la vita nella speranza che prima o poi qualcosa accada, non disperando di ricevere il permesso di entrare. Seduto su uno sgabello, ripropone di tanto in tanto al guardiano il suo desiderio di varcare la soglia; dà fondo a tutto quello che ha per impietosirlo. Ma inutilmente. Il contadino è lì; davanti a lui il guardiano che gli ostacola l’ingresso alla Legge. Ormai allo stremo e prossimo alla morte, l’uomo formula la sua ultima domanda: “Come mai nessun altro oltre a me ha chiesto di entrare, se tutti aspirano alla Legge?”. “Nessun altro poteva ottenere di entrare da questa porta, a te solo era riservato l’ingresso. E adesso vado e la chiudo” è la risposta dell’intransigente guardiano.
Le interpretazioni che la critica letteraria ha fornito del testo sono numerose, ma non è questa la sede per riproporle. Conviene invece soffermarsi sulla dimensione atemporale, astorica e simbolica proposta dal racconto. Crea disagio e disorientamento nel lettore la storia di questo contadino, unicamente mosso dalla curiosità di un Assoluto che egli identifica nella Legge.
Si viene quasi catturati nel cerchio della sua solitudine. Ciò che più inquieta è l’immobilismo, la paralisi di un uomo che, pur avvertendo l’urgenza della crescita, morale e materiale, attende da altri il permesso di poter farsi carico della propria vita, di essere indipendente, di essere padrone di sé.
A sconcertare è l’inazione che lo accompagna sino alla morte. La sua insistente e reiterata richiesta di varcare la soglia della Legge, non sostenuta dalla forza interiore di superare la stasi e mobilitarsi, lo riduce alla totale passività.
Le analogie col tempo che viviamo non sono poche.
Per sentirsi oggi cittadini è necessario innanzitutto essere persone animate da una tenace e perseverante volontà di azione, che non arretra dinanzi ad alcun “guardiano” mascherato sotto le vesti di un totalitarismo dolce e premuroso, capace di ottundere il pensiero e la coscienza critica.
Per sentirsi oggi cittadini occorre convincersi che nessuna istituzione, solo per il fatto di essere tale, sia invulnerabile e inaccessibile.
Per sentirsi oggi cittadini occorre ricercare la socialità, mischiarsi dentro la Storia insieme agli altri, essere disposti a pagare di persona pur di affermare la propria orgogliosa coscienza morale, contro un potere, o Legge che dir si voglia, che sembra vietarcene la possibilità. È quello che in altro modo chiamiamo libertà.☺
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