“Nessuno ha il diritto di obbedire”: nella Germania del 1945 questa affermazione di Hannah Arendt diventò un monito, ad asserire che nessun essere umano ha il diritto di sospendere la propria capacità di pensiero, di abdicare alla facoltà di giudicare, di mettere a tacere la propria coscienza, in nome di un “dovere” che delega ogni decisione ad un’autorità superiore.
La storia passata e recente ci consegna innumerevoli esempi di uomini asserviti ad un’idea, al potere di un individuo o di una classe, affascinati o costretti da qualcosa che non si aveva la forza di spiegare né di contestare. La rinuncia a trovare soluzioni, a mobilitarsi per dare risposte produce sempre indifferenza o al più superficialità e approssimazione. Si diventa acquiescenti, conniventi, sottomessi.
E come presenta il mito gli uomini irretiti da false promesse, presi nei lacci dell’illusione, della conquista dell’inconoscibile? Sono la vittima predestinata delle Sirene.
Questi mostri – metà donne metà animali – che il poema omerico dell’Odissea pone sul cammino dell’eroe che fa ritorno ad Itaca, allietano in modo ingannevole i naviganti che solcano le acque circostanti la loro isola; l’epilogo per gli inconsapevoli avventori è la morte!
Non si può uscire indenni dall’incontro con l’ignoto e sottrarsi al proprio destino mortale: ciò è quanto il mito induce a pensare.
Con lo stratagemma ben noto di farsi legare all’albero della nave, mentre i compagni remano con i tappi di cera nelle orecchie, Ulisse riesce a svelare l’incanto delle Sirene, ascoltando la loro voce suadente ma restandone opportunamente lontano. Egli oltrepassa il pericolo grazie alla capacità di scegliere la giusta soluzione: supera il limite invalicabile dell’inconoscibile, si immerge nell’universo di ciò che è al di là della ristretta mente dei mortali, arriva alla “conoscenza” senza lasciarsi sopraffare.
Da sempre ciò che non si conosce incute timore, fa paura, ma allo stesso tempo affascina e spinge ad andare oltre. Simbolo dell’ignoto, ricercate e temute, le Sirene abitano la nostra mente, popolano i nostri sogni, squarciano l’oscurità, illuminano solo per un attimo i nostri pensieri. Questa loro fuggevolezza le rende così impalpabili che i sensi non riescono ad imbrigliarle. Eppure non possiamo farne a meno. Nel mito la tensione a spingersi oltre, a spaziare con la mente e la fantasia, a salire i gradini della conoscenza per appropriarsi della realtà circostante è rappresentazione positiva di chi aspira a crescere, “essere” nel senso pieno del termine.
Nella narrazione mitologica è presente altresì il pericolo derivante dalla seduzione messa in atto dalle Sirene. Gli incauti naviganti che mai hanno fatto ritorno alle loro case sono l’immagine di coloro che hanno seguito pedissequamente il richiamo delle Sirene.
Naufraghi diventano così coloro che non hanno prestato ascolto alla propria coscienza, che hanno preferito “delegare” più che “pensare”. A questo atteggiamento rinunciatario non corrispondono traguardi, bensì sconfitte e delusioni.
Viviamo tempi in cui il sistema dei media, i fenomeni di globalizzazione e di diffusione delle informazioni hanno accentuato la pressione sul singolo, impedendogli manifestazioni altre di pensiero e di azione. Il prezzo pagato è costituito dalla rimozione delle speranze, passioni, sentimenti, creatività, progettualità. Prevale la rincorsa e l’adesione ai modelli dominanti, una trasformazione della vita da attiva in passiva, e in quest’ultima ha la meglio l’orizzonte privato, personale, professionale, un atteggiamento di conservazione che veicola l’idea insidiosa e pericolosa che cambiare non solo sia impossibile ma anche inutile, perché questo, forse, è il migliore dei mondi che possiamo avere e al quale possiamo aspirare, visto anche – si potrebbe affermare con cinismo – il prezzo che è costato il tentativo di costruire un mondo migliore!
Sono le Sirene del desiderabile che affollano il nostro oggi, la nostra cultura. Desiderio più che conoscenza, avidità più che consapevolezza ci espongono a “Sirene mediatiche” che di nuovo hanno solo i nomi; si chiamano, tra l’altro, opulenza, sopraffazione, conformismo. I marinai che questi mostri odierni richiamano e incantano, si adeguano a comportamenti indotti, sono egoisticamente concentrati su se stessi, senza considerazione alcuna dell’altro, dispongono in abbondanza delle risorse di tutti, noncuranti dello sperpero dei beni essenziali. Passano accanto a noi, naviganti rapiti dalle Sirene, e quasi non ce ne accorgiamo, ingiustizie e tragedie, prepotenze e soprusi; e dinanzi a sofferenza, drammi, illegalità il melodioso canto di questi mostri ci fa distogliere lo sguardo.
Per resistere occorrono ben altro che tappi di cera e funi robuste! Per resistere bisogna riappropriarsi della voglia di responsabilità, interrogarsi sulle scelte da compiere quotidianamente, attribuire significato alla vita, individuale e collettiva, incamminarsi verso mete comuni che vorremmo ancora chiamare valori senza avvertire il ghigno beffardo di chi ci chiama passatisti, nostalgici, sognatori. ☺
“Nessuno ha il diritto di obbedire”: nella Germania del 1945 questa affermazione di Hannah Arendt diventò un monito, ad asserire che nessun essere umano ha il diritto di sospendere la propria capacità di pensiero, di abdicare alla facoltà di giudicare, di mettere a tacere la propria coscienza, in nome di un “dovere” che delega ogni decisione ad un’autorità superiore.
La storia passata e recente ci consegna innumerevoli esempi di uomini asserviti ad un’idea, al potere di un individuo o di una classe, affascinati o costretti da qualcosa che non si aveva la forza di spiegare né di contestare. La rinuncia a trovare soluzioni, a mobilitarsi per dare risposte produce sempre indifferenza o al più superficialità e approssimazione. Si diventa acquiescenti, conniventi, sottomessi.
E come presenta il mito gli uomini irretiti da false promesse, presi nei lacci dell’illusione, della conquista dell’inconoscibile? Sono la vittima predestinata delle Sirene.
Questi mostri – metà donne metà animali – che il poema omerico dell’Odissea pone sul cammino dell’eroe che fa ritorno ad Itaca, allietano in modo ingannevole i naviganti che solcano le acque circostanti la loro isola; l’epilogo per gli inconsapevoli avventori è la morte!
Non si può uscire indenni dall’incontro con l’ignoto e sottrarsi al proprio destino mortale: ciò è quanto il mito induce a pensare.
Con lo stratagemma ben noto di farsi legare all’albero della nave, mentre i compagni remano con i tappi di cera nelle orecchie, Ulisse riesce a svelare l’incanto delle Sirene, ascoltando la loro voce suadente ma restandone opportunamente lontano. Egli oltrepassa il pericolo grazie alla capacità di scegliere la giusta soluzione: supera il limite invalicabile dell’inconoscibile, si immerge nell’universo di ciò che è al di là della ristretta mente dei mortali, arriva alla “conoscenza” senza lasciarsi sopraffare.
Da sempre ciò che non si conosce incute timore, fa paura, ma allo stesso tempo affascina e spinge ad andare oltre. Simbolo dell’ignoto, ricercate e temute, le Sirene abitano la nostra mente, popolano i nostri sogni, squarciano l’oscurità, illuminano solo per un attimo i nostri pensieri. Questa loro fuggevolezza le rende così impalpabili che i sensi non riescono ad imbrigliarle. Eppure non possiamo farne a meno. Nel mito la tensione a spingersi oltre, a spaziare con la mente e la fantasia, a salire i gradini della conoscenza per appropriarsi della realtà circostante è rappresentazione positiva di chi aspira a crescere, “essere” nel senso pieno del termine.
Nella narrazione mitologica è presente altresì il pericolo derivante dalla seduzione messa in atto dalle Sirene. Gli incauti naviganti che mai hanno fatto ritorno alle loro case sono l’immagine di coloro che hanno seguito pedissequamente il richiamo delle Sirene.
Naufraghi diventano così coloro che non hanno prestato ascolto alla propria coscienza, che hanno preferito “delegare” più che “pensare”. A questo atteggiamento rinunciatario non corrispondono traguardi, bensì sconfitte e delusioni.
Viviamo tempi in cui il sistema dei media, i fenomeni di globalizzazione e di diffusione delle informazioni hanno accentuato la pressione sul singolo, impedendogli manifestazioni altre di pensiero e di azione. Il prezzo pagato è costituito dalla rimozione delle speranze, passioni, sentimenti, creatività, progettualità. Prevale la rincorsa e l’adesione ai modelli dominanti, una trasformazione della vita da attiva in passiva, e in quest’ultima ha la meglio l’orizzonte privato, personale, professionale, un atteggiamento di conservazione che veicola l’idea insidiosa e pericolosa che cambiare non solo sia impossibile ma anche inutile, perché questo, forse, è il migliore dei mondi che possiamo avere e al quale possiamo aspirare, visto anche – si potrebbe affermare con cinismo – il prezzo che è costato il tentativo di costruire un mondo migliore!
Sono le Sirene del desiderabile che affollano il nostro oggi, la nostra cultura. Desiderio più che conoscenza, avidità più che consapevolezza ci espongono a “Sirene mediatiche” che di nuovo hanno solo i nomi; si chiamano, tra l’altro, opulenza, sopraffazione, conformismo. I marinai che questi mostri odierni richiamano e incantano, si adeguano a comportamenti indotti, sono egoisticamente concentrati su se stessi, senza considerazione alcuna dell’altro, dispongono in abbondanza delle risorse di tutti, noncuranti dello sperpero dei beni essenziali. Passano accanto a noi, naviganti rapiti dalle Sirene, e quasi non ce ne accorgiamo, ingiustizie e tragedie, prepotenze e soprusi; e dinanzi a sofferenza, drammi, illegalità il melodioso canto di questi mostri ci fa distogliere lo sguardo.
Per resistere occorrono ben altro che tappi di cera e funi robuste! Per resistere bisogna riappropriarsi della voglia di responsabilità, interrogarsi sulle scelte da compiere quotidianamente, attribuire significato alla vita, individuale e collettiva, incamminarsi verso mete comuni che vorremmo ancora chiamare valori senza avvertire il ghigno beffardo di chi ci chiama passatisti, nostalgici, sognatori. ☺
“Nessuno ha il diritto di obbedire”: nella Germania del 1945 questa affermazione di Hannah Arendt diventò un monito, ad asserire che nessun essere umano ha il diritto di sospendere la propria capacità di pensiero, di abdicare alla facoltà di giudicare, di mettere a tacere la propria coscienza, in nome di un “dovere” che delega ogni decisione ad un’autorità superiore.
La storia passata e recente ci consegna innumerevoli esempi di uomini asserviti ad un’idea, al potere di un individuo o di una classe, affascinati o costretti da qualcosa che non si aveva la forza di spiegare né di contestare. La rinuncia a trovare soluzioni, a mobilitarsi per dare risposte produce sempre indifferenza o al più superficialità e approssimazione. Si diventa acquiescenti, conniventi, sottomessi.
E come presenta il mito gli uomini irretiti da false promesse, presi nei lacci dell’illusione, della conquista dell’inconoscibile? Sono la vittima predestinata delle Sirene.
Questi mostri – metà donne metà animali – che il poema omerico dell’Odissea pone sul cammino dell’eroe che fa ritorno ad Itaca, allietano in modo ingannevole i naviganti che solcano le acque circostanti la loro isola; l’epilogo per gli inconsapevoli avventori è la morte!
Non si può uscire indenni dall’incontro con l’ignoto e sottrarsi al proprio destino mortale: ciò è quanto il mito induce a pensare.
Con lo stratagemma ben noto di farsi legare all’albero della nave, mentre i compagni remano con i tappi di cera nelle orecchie, Ulisse riesce a svelare l’incanto delle Sirene, ascoltando la loro voce suadente ma restandone opportunamente lontano. Egli oltrepassa il pericolo grazie alla capacità di scegliere la giusta soluzione: supera il limite invalicabile dell’inconoscibile, si immerge nell’universo di ciò che è al di là della ristretta mente dei mortali, arriva alla “conoscenza” senza lasciarsi sopraffare.
Da sempre ciò che non si conosce incute timore, fa paura, ma allo stesso tempo affascina e spinge ad andare oltre. Simbolo dell’ignoto, ricercate e temute, le Sirene abitano la nostra mente, popolano i nostri sogni, squarciano l’oscurità, illuminano solo per un attimo i nostri pensieri. Questa loro fuggevolezza le rende così impalpabili che i sensi non riescono ad imbrigliarle. Eppure non possiamo farne a meno. Nel mito la tensione a spingersi oltre, a spaziare con la mente e la fantasia, a salire i gradini della conoscenza per appropriarsi della realtà circostante è rappresentazione positiva di chi aspira a crescere, “essere” nel senso pieno del termine.
Nella narrazione mitologica è presente altresì il pericolo derivante dalla seduzione messa in atto dalle Sirene. Gli incauti naviganti che mai hanno fatto ritorno alle loro case sono l’immagine di coloro che hanno seguito pedissequamente il richiamo delle Sirene.
Naufraghi diventano così coloro che non hanno prestato ascolto alla propria coscienza, che hanno preferito “delegare” più che “pensare”. A questo atteggiamento rinunciatario non corrispondono traguardi, bensì sconfitte e delusioni.
Viviamo tempi in cui il sistema dei media, i fenomeni di globalizzazione e di diffusione delle informazioni hanno accentuato la pressione sul singolo, impedendogli manifestazioni altre di pensiero e di azione. Il prezzo pagato è costituito dalla rimozione delle speranze, passioni, sentimenti, creatività, progettualità. Prevale la rincorsa e l’adesione ai modelli dominanti, una trasformazione della vita da attiva in passiva, e in quest’ultima ha la meglio l’orizzonte privato, personale, professionale, un atteggiamento di conservazione che veicola l’idea insidiosa e pericolosa che cambiare non solo sia impossibile ma anche inutile, perché questo, forse, è il migliore dei mondi che possiamo avere e al quale possiamo aspirare, visto anche – si potrebbe affermare con cinismo – il prezzo che è costato il tentativo di costruire un mondo migliore!
Sono le Sirene del desiderabile che affollano il nostro oggi, la nostra cultura. Desiderio più che conoscenza, avidità più che consapevolezza ci espongono a “Sirene mediatiche” che di nuovo hanno solo i nomi; si chiamano, tra l’altro, opulenza, sopraffazione, conformismo. I marinai che questi mostri odierni richiamano e incantano, si adeguano a comportamenti indotti, sono egoisticamente concentrati su se stessi, senza considerazione alcuna dell’altro, dispongono in abbondanza delle risorse di tutti, noncuranti dello sperpero dei beni essenziali. Passano accanto a noi, naviganti rapiti dalle Sirene, e quasi non ce ne accorgiamo, ingiustizie e tragedie, prepotenze e soprusi; e dinanzi a sofferenza, drammi, illegalità il melodioso canto di questi mostri ci fa distogliere lo sguardo.
Per resistere occorrono ben altro che tappi di cera e funi robuste! Per resistere bisogna riappropriarsi della voglia di responsabilità, interrogarsi sulle scelte da compiere quotidianamente, attribuire significato alla vita, individuale e collettiva, incamminarsi verso mete comuni che vorremmo ancora chiamare valori senza avvertire il ghigno beffardo di chi ci chiama passatisti, nostalgici, sognatori. ☺
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