Stop rearm
Il 10 maggio ci sarà una manifestazione diffusa sul territorio dal titolo StopReArm. Opponendosi ai piani dell’UE di spendere altri 800 miliardi di euro in armi. Saranno 800 miliardi di euro rubati. Rubati ai servizi sociali, alla sanità, all’istruzione, al lavoro, alla costruzione della pace, alla cooperazione internazionale, a una giusta transizione e alla giustizia climatica. Ne trarranno beneficio solo i produttori di armi in Europa, negli Stati Uniti e altrove. Renderà la guerra più probabile e il futuro meno sicuro per tutti! Genererà più debito, più austerità, più confini. Approfondirà il razzismo. Alimenterà il cambiamento climatico. Non abbiamo bisogno di più armi; non abbiamo bisogno di prepararci per più guerre.
Nel documento di Attac Italia, che aderisce alla campagna, “Per uscire dalla guerra che avanza e costruire un fronte comune per la pace”, il “sistema” guerra viene spiegato nei suoi molteplici aspetti: guerra all’ambiente, guerra ai migranti e all’umanità fragile e sofferente, spese per il riarmo e nuovi sistemi d’arma, neoprotezionismo, colonialismo d’insediamento, finanziarizzazione bellica, militarizzazione delle menti.
Iniziamo col dire che il diritto internazionale è basato sulla Carta delle Nazioni Unite (1945) che definisce la guerra come ‘flagello’, la ripudia e la interdice. Nella Dichiarazione Universale dei diritti umani all’art. 28 si parla del diritto alla pace: ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possono essere pienamente realizzati. La pace proclamata dall’Articolo 28 è, pace positiva, intesa come la costruzione di un sistema di istituzioni, di relazioni e di politiche di cooperazione all’insegna di: “se vuoi la pace, prepara la pace”. Il contrario della pace negativa, cioè della mera assenza di guerre guerreggiate e agli antipodi della assurda espressione: se vuoi la pace, prepara la guerra. La guerra è interdetta dal vigente Diritto internazionale, infatti c’è l’Articolo 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 che perentoriamente prescrive: “Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve essere vietata dalle legge”. La Carta delle Nazioni Unite è coerente: la guerra è vietata e gli stati sono obbligati a far funzionare il sistema di sicurezza collettiva, anche per prevenire il ricorso all’Articolo 51 della Carta il quale, a titolo di eccezione rigorosamente circostanziata, prevede che gli stati possano usare lo strumento militare per respingere un attacco armato con l’obbligo però di immediatamente informare il Consiglio di Sicurezza perché metta la situazione sotto la propria autorità e controllo.
Poi vi è la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che al preambolo recita: i popoli d’Europa, nel creare tra loro un’unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. E all’art. 3: L’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli.
Nel Trattato di Lisbona dell’Unione Europea è anche stabilito che: l’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati; i di- ritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione eu- ropea per la sal- vaguardia dei di- ritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali.
E qui si rimanda alla nostra Costituzione che promuove una “economia di pace”, che si basa sul valore della fratellanza e sorellanza universale, della solidarietà e della cooperazione e del legame con l’ambiente, a fondamento della Repubblica. La nostra Costituzione, da una parte, Ripudia la guerra, dall’altra limita l’uso della stessa alla difesa della patria e limita l’attività economica ad una funzione sociale ed ambientale.
Fatte queste premesse, c’è da chiedersi: perché si stanno creando le premesse per una economia di guerra? Infatti la parola guerra è diventata ormai lo strumento attraverso cui accelerare, in tempi record, la finanziarizzazione del Vecchio Continente. Polizze, conti deposito, cartolarizzazioni, riduzioni fiscali, tutto deve chiamare alle armi il risparmio diffuso e incanalarlo verso la nuova bolla con cui alimentare la riconversione bellica. Guarda caso, in poche settimane la lenta Commissione europea ha annunciato un Piano da 800 miliardi di euro di maggior spesa dei singoli Stati in armi. Ha inoltre rotto il tabù del Patto di stabilità per le armi. Messo in moto la Banca europea degli investimenti per finanziare le armi. Ha prodotto un documento, fatto votare al Parlamento, di supremazia europea, consentito la destinazione dei fondi di coesione al riarmo. Non sembra che ci sia stata mai una mobilitazione analoga per la sanità pubblica, per la lotta alle disuguaglianze o per l’istruzione.
Proprio per questo motivo ciò di cui abbiamo bisogno è un piano completamente diverso: una sicurezza reale, sociale, ecologica e comune per l’Europa e per il mondo”. Alzatevi contro la guerra. Fermate ReArm Europe.☺
