tracollo del capitalismo
1 Marzo 2010 Share

tracollo del capitalismo

 

1989 – 2009: dall’ euforia alla paura

Scavalcare il muro d’ombra

di ciò che appare,

per cogliere l’intimità di ciò che vive

nel profondo delle cose

Superare il banco di nebbia

degli avvenimenti

per capirne le linee di tendenza

e affermare il senso definitivo.

(don Tonino Bello)

Due date 1989 e 2009, due celebrazioni contrapposte di un triste «secondo ventennio»: dall’euforia della presa di potere alla fine ingloriosa nel tracollo totale e umiliante.

I989: l’euforia della vittoria!

Il crollo del sistema socialcomunista contrapposto all’occidente liberalcapitalista fu letto e celebrato come il trionfo del secondo sul primo. F. Fukujama pubblicò negli USA il libro La Fine della storia; a questo seguirono negli anni 80-90 La fine del Welfare State, la Fine dello Stato. Questa euforia culturale fu sorda a tutti i segnali di invito alla comprensione dei fenomeni. Ne ricordiamo due. Nel 1971 il famoso e presto accantonato rapporto del Club di Roma su “I limiti dello sviluppo” aveva lanciato l’allarme proprio sulla impossibilità di perseguire il modello occidentale proprio in rapporto alle risorse della terra. Nel 1991 Giovanni Paolo II, nella Centesimus Annus  si chiedeva: «Si può forse dire che dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi dei paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società? È forse questo il modello che bisogna proporre ai paesi del terzo mondo, che cercano la via del vero progresso economico e civile?» (n. 42).

2009: la vergogna della sconfitta!

È ormai chiaro a tutti che occorre uscire da questo modello di sviluppo falso, ingiusto, violento, insostenibile. La crisi economica mondiale ha svelato ciò che si era voluto nascondere. Questo modello ha accresciuto la ricchezza di pochi a scapito di tutti. Ha prodotto aumento della povertà assoluta nel mondo e della povertà dentro le economie sviluppate, allargando sempre più la forbice che divide il minor numero di agiati e il crescente numero che precipita nel disagio di vita. Ha già manomesso in modo grave l’equilibrio ecologico e continua ad inquinare la terra. Ha distrutto la condizione umana umiliando la dignità delle persone in ogni condizione dell’esistenza: lavoratori, bambini, giovani, malati, anziani, stranieri, tutti divenuti solo “problema” e non categoria antropologica temporanea di una fase transitoria della vita nella permanente e fondamentale dignità non cancellabile. Ha reso precaria l’esistenza di tutti continuando a misurare solo il “prodotto interno lordo” di ogni nazione mentre non riesce a guardare al “benessere reale” delle persone e dei popoli. Ha trasformato la finanza (strumento volatile della società mercantile) in strumento di volatilizzazione dei beni, delle proprietà, dei sacrifici e della consistenza patrimoniale delle imprese e della stessa economia. Ha utilizzato tutti i mezzi della tecnologia moderna per ridurre ogni dimensione a mera “cosa” commerciabile in un mercato di lupi, trasformando il mercato stesso dalla “piazza” in cui vengono esposti e presentati i prodotti della terra e dell’ingegno dell’uomo a una piazza in cui si impongono, a costi commisurati al profitto, solo i beni che ne assicurino il ritorno immediato, omologando i bisogni ed i gusti delle genti, sordi alle vere necessità vitali dei popoli e delle persone, nella continua manipolazione di ogni processo di vita per trasformarlo in merce e in business; ed altro ancora di cui abbiamo sentore.

Siamo alla fine della storia?

Dobbiamo concentrarci nella difesa dell’esistente rinunciando volontariamente alla costruzione di un futuro possibile e accessibile a tutti? Siamo solo alla fine di “un mondo” che si è chiuso sul presente ed ha sviluppato tutta la sua potenza di pensiero, di tecnologia e di potere politico, finanziario e militare per depredarlo e asservirlo, dichiarando che finanche il pensiero, forza incorruttibile dell’uomo, non esiste se non “debole” ovvero senza sguardo lungo e perciò incapace di orientare i processi.

La crisi di questo modello di sviluppo – abbandonata la prima ed immediata idea  di un suo rilancio e di un sostegno ad ogni costo – rappresenta un’occa- sione storica per un profondo ripensamento del necessario rapporto tra giustizia sociale ed economia, tra politica ed economia, tra democrazia reale e sviluppo economico e sociale, in un percorso di vera moralizzazione del sistema, che implichi il saper conciliare – in teoria e nelle prassi necessarie – solidarietà ed efficienza, libertà economico-finanziaria e beni comuni di cui “titolari” per diritto sono i popoli, le persone ed ogni essere vivente, “affidatari” per tutela e gestione sono i governi ed ogni soggetto umano. Cercheremo di scoprire le tracce o i segni di questi percorsi rigeneratori e liberanti in atto ma non in auge. ☺

 

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