Transumanza 2.0
7 Luglio 2019
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Transumanza 2.0

“Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare” G. D’Annunzio – “I pastori”.

Quanti spunti in pochi versi, migrare il bestiame in cerca di luoghi migliori per vivere (produrre) così come gli uomini migrano in cerca di luoghi sicuri, terra d’Abruzzi ricordando quell’unica regione che eravamo, e quella parte che fa tutto per non esistere. Ma soprattutto, la transumanza.

Questo arcaico processo storico, culturale, presente nelle regioni montane italiane dalle Alpi alla Sicilia, che era un vero è proprio lavoro con tanto di indotto (dalla lana al latte) tanto da parlare di circa 4mln di capi di bestiame in transito nel XVII secolo fino a conoscere la crisi più buia con soli 30.000 capi nel 1970 (fonte di De Martini).

La crisi più profonda si è quindi conosciuta nel secolo dell’industrializzazione e dell’abbandono delle campagne, ma pian piano un nuovo modo di intendere l’agricoltura e la pastorizia ha riportato sempre più giovani a riscoprire questo mondo, rivalorizzandolo; gli stessi giovani adesso vogliono ridare vita a questo ancestrale viaggio sui tratturi, promuovendo il territorio e il duro lavoro, insomma un nuovo indotto. Il cerchio quadra.

Di questa forma di pastorizia, errante e antica quanto l’uomo, si hanno notizie certe fin dagli antichi romani con scritti e incisioni lapidee in ogni luogo dove si praticava la transumanza, ricordiamo ad esempio l’incisione a Porta Bovianum di Altilia risalente al I secolo, oppure a distanza di tanti secoli quella sulla parete della chiesa di S. Domenico a Carovilli. La transumanza va vista anche sotto altre spoglie: l’architettura, la religiosità, la gastronomia. Un’architettura povera, intesa come realizzazione delle strade naturali, siano esse tratturi, tratturelli o bracci, oppure riposi e taverne, ricoveri e stazzi di emergenza per i lunghi spostamenti o stazionamenti, senz’altro spartani ma essenziali per la sopravvivenza, ed ancora visibili in molti posti della nostra regione. Ma anche le tante chiesette o cappelle disseminate sul nostro territorio e spesso realizzate a ridosso dei tratturi, come altro rifugio, religioso. Proprio davanti una di queste chiesette, S. Maria della Neve in località “Quercigliole” a Ripalimosani è arrivata venerdì 24 Maggio in una piovosa tappa, la moderna transumanza della famiglia Colantuono. L’indomani sarebbe ripartita di buonora alla volta di Acquavive di Frosolone, luogo di origine della famiglia errante.

Così Sabato 25 Maggio alle 4,50 ero lì con un amico, e tanti altri amici piccoli e grandi. Puntualissime, nemmeno fossero vacche svizzere, alle 5,00 la mandria prende la strada del tratturo Castel di Sangro-Lucera, nel viaggio primaverile che dalla pianura foggiana conduce alla montagna molisana o abruzzese. È qui che incontro la matrona del viaggio, Carmelina Colantuono. Le chiedo come cordiale buongiorno “Chi vu’ fa fà?” e lei sorridendo e seguendo la mandria che si appresta ad arrivare a Santo Stefano, frazione di Campobasso, risponde che “seppur non c’è più l’esigenza di una volta dell’andare dalla pianura alla montagna, e viceversa, oggi deve essere intesa come una forma di devozione sia per i nostri avi, che per secoli hanno fatto questo lavoro, e sia per il mestiere che svolgiamo. Cerchiamo di mantenere viva la memoria, per le nuove generazioni. Ripeterla annualmente e vedere le festose accoglienze che ci sono nei paesi, è un ulteriore stimolo per il lavoro che facciamo. Poi subentra indirettamente il sogno di promozione turistica del nostro territorio, seppur non sostenuta dalle istituzioni. Ogni volta che iniziamo il viaggio non riusciamo a sostenere le numerose richieste provenienti da tutta Italia e dall’estero per seguirci, ed è una mezza sconfitta”.

Arriviamo a Santo Stefano, qui la mandria riceve la benedizione dal parroco mentre i transumanti una festosa accoglienza e una ricca colazione, con leccornie, dolci e salate, da parte degli abitanti. La transumanza è anche questo, paesi in festa con i bambini a bordo strada o tratturo, con il sole, o sotto l’ombrello come quest’anno, ad aspettare pazientemente il passaggio delle vacche come fossero i ciclisti di una lenta tappa del Giro d’Italia e applausi, foto, emozione e commozione. Quella stessa emozione che mi riporta indietro di tanti anni: ne avevo circa otto e grazie a mio padre vidi, basito, per le strade di Campobasso transumare pecore e vacche. Adesso dopo quasi quaranta anni vorrei tanto fare, almeno una volta, quel viaggio; e sarebbe bello sentire le campane di ogni paese suonare a festa al passaggio degli armenti, per onorare questo ritorno alla vita.

Alla fine di questa emozionante giornata mi faccio una domanda e mi dò una risposta. Può una moderna transumanza riscoprire antichi valori, oltre che invitare cittadini erranti ad interpretare il turismo in modo diverso, più lento, più umano?

DEVE.

“…Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza” (F. Arminio – Cedi la strada agli alberi).

 

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