un villaggio agli stranieri     di Sabrina Del Pozzo
4 Luglio 2013 Share

un villaggio agli stranieri di Sabrina Del Pozzo

 

Le parole dette dal vicepresidente della Regione Molise, l’assessore alle politiche sociali Michele Petraroia, obiettive e lucide, riuscendo a non perdersi nell’assoluta invece non lucida follia dei politici contemporanei e non solo, sottolineano il non trascurabile tema dell’ immigrazione, cogliendo con esattezza e per mezzo di espressione di concetti chiari e giusti soluzioni, utili per provare chissà a superare (da sempre molto e troppo lentamente) un nostro limite. Due progetti rispettivamente l’uno rivolto a donne e bambini (vittime di violenza, sfruttamento,  tratta di esseri umani) e l’altro finalizzato all’apprendimento della lingua italiana. Non nego di essermi stupita nel sentire quanto sopra perché il Molise non sempre ha accettato il termine ‘accoglienza’ nella sua globalità; sembra che interessi davvero poco, non so se perché molto piccola come regione o altro. Sicuramente a noi piace  essere noti  (e non sempre ci riusciamo) per buchi e pecche in ogni dove. Non è retorica, bisogna ricordare e ‘stufare’ per evitare il puntuale e più antico meccanismo di difesa, la già citata se non sbaglio rimozione.

Il pensiero è tornato subito lì. Terremoto del 31 ottobre 2002: vengono costruiti moduli abitativi temporanei, una sottospecie di villaggi Alpitour per tutte le famiglie che ne necessiteranno, muniti, per quanto nel loro piccolo, di tutto: verde, stradine, botteghe, campo di calcetto, scuola etc. Sono passati degli anni e un gran numero di persone sono tornate nelle proprie abitazioni (va anche detto come non ancora tutti, in realtà). Ci ritroviamo luoghi  non accessibili, abbandonati, delimitati da cancelli fantasma, che nel bene e/o nel male hanno ospitato noi, gli affetti, la vita di ognuno e dove ognuno ha cercato di ricostruire se stesso. Soltanto per questo dovrebbero rappresentare per tutti spazi preziosi.  È dirompente e disgustosa qualsiasi forma e genere di abbandono che per di più si trasforma in degrado non soltanto materiale. Luoghi simili e nello specifico il villaggio abitativo temporaneo sito  a San Giuliano di Puglia, che vanta uno spazio maggiore e meglio attrezzato rispetto ai paesi limitrofi, potrebbero rappresentare luoghi di espressione culturale e  sociale (anche a basso costo) con il coinvolgimento di  giovani e non solo.

Un’idea in noi ed in altri è nata. Accogliere gli Immigrati, sì proprio loro. Si parla di donne e bambini. Tempo fa è stato il nostro popolo a dover essere accolto da qualcun altro, è stato a noi che hanno dovuto dare un tetto, offrire cibo senza apparentemente nulla in cambio, ed ora perché non voler donare ospitalità a persone che da sempre o quasi non hanno nulla? Quale miglior azione se non quella di lasciare questi luoghi a bambini non italiani? Significherebbe abbattere barriere e nodi mentali che in molte parti del mondo non sono mai esistiti. Sono necessari strumenti ed azioni mirate affinché ci sia un’ integrazione sempre più globale della persona. Penso ad uno screening sanitario, seguito da un corso di alfabetizzazione della lingua italiana, passo di inclusione sociale rilevante, primo step di un processo di autonomia anche laddove siano presenti bassi livelli di competenza linguistica.

Due gli aspetti fondamentali da inquadrare nelle primissime fasi di un’accoglienza. Attivare azioni di sostegno, di consulenza legale, di accompagnamento, di formazione, orientamento, creare spazi di riflessione e discussione rispetto al proprio percorso migratorio e alla storia di vita: ciò permetterebbe non soltanto alla persona coinvolta di risolvere problematiche inevitabili nel tentativo di integrarsi ma anche a noi che accogliamo di conoscere la persona e capire di non averne paura. In secondo luogo attivare azioni di inserimento socio-lavorativo attraverso attività di Formazione Pratica in Impresa (capace di offrire una reale possibilità di inserimento nel mondo lavorativo per le fasce svantaggiate). Pensare anche alla possibilità di attivare lavori di comunità attraverso la cura di spazi lasciati alla deriva, lavorare per il bene comune in un’ottica multifattoriale  e multiculturale. Mirare ad un processo di empowerment, una crescita per l’appunto sia individuale che di gruppo.

Tutti questi aspetti andrebbero a coinvolgere differenti figure professionali, il mondo del volontariato e no profit, gli enti pubblici e privati, al fine di riuscire ad acquisire ed utilizzare gli strumenti, le misure e ad individuare le reali opportunità presenti nel territorio (in merito  (ri)sottolineo l’esistenza, ad esempio, del Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi Terzi – FEI) più volte citato negli ultimi giorni e da molti noto da tempo.

Ecco, il cuore dell’idea è proprio questo: offrire a persone svantaggiate i moduli lasciati a marcire ormai da un po’ di tempo.

Quando leggeremo il prossimo numero mi auguro di poter affermare di aver fatto un passo avanti. ☺

 sabrinadp@hotmail.it

 

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