Una giornata a san giuliano
14 Novembre 2022
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Una giornata a san giuliano

Tornare a San Giuliano dopo vent’anni dalla tragedia e guardare il palazzetto dello sport, la prima cosa che si scorge quando si scende a valle, mi riporta a quel giorno. Tutto era già accaduto e il vescovo Valentinetti, rivolgendosi alle Istituzioni invitava le stesse a non dimenticare ciò che era accaduto (ventisette bambini insieme alla loro maestra erano rimaste vittime del crollo di una scuola). Il Capo dello Stato, presente al rito funebre, assumeva solennemente un impegno: “Nessuno sarà lasciato da solo”. Peccato che in futuro a dirigere il traffico non ci sarebbero stati né l’uno né l’altro e che le cose non sarebbero andate come promesso.

Il primo manufatto che incontro avvicinandomi al paese è il cimitero dove scorgo da lontano una signora che passa un panno bagnato sull’immagine di un bambino, quindi sostituisce i fiori, ancora freschi del giorno avanti e, come fosse altrove, gli parla, gli racconta delle sue giornate e dei suoi progetti per lui, per il suo futuro: nei suoi occhi non c’è più rabbia, la realtà è ormai lontana. In questi anni non siamo riusciti a darle una ragione per vivere, un motivo per combattere; ci siamo scannati per trovare il responsabile di questa tragedia e non abbiamo fatto altrettanto per regalarle un’occasione per offrire un senso a quello che le rimane da vivere.

Continuo a camminare e svoltando, sulla destra mi appare un edificio enorme di vetro e legno. Mi avvicino incuriosito all’ ingresso e scopro che all’interno vi sono due piscine una più grande dell’altra. L’ingresso è sbarrato, chiedo di entrare ma mi dicono che la struttura sportiva quest’anno non entrerà in funzione perché né il Comune né la società che la gestisce sono in grado di sopportarne le spese: “La gente è sempre di meno e i costi sempre maggiori”. Ma come, si costruisce un impianto sportivo così prestigioso senza fare un benché minimo di conti? Senza guardare al futuro? Alzo lo sguardo e sopra una collinetta scorgo una struttura moderna, “Le Tre Torri”. Si tratta del complesso scolastico “Francesco Jovine” e del Centro Professionale e Universitario, eretto su un sistema di sicurezza progettato dall’ENEA che lo rende la prima scuola pubblica invulnerabile ad ogni evento sismico, la qual cosa, se da una parte mi rassicura, dall’altra mi inquieta: perché le altre non sono invulnerabili? Ma questa è un’altra storia.

Mi avvicino all’edificio con il desiderio di ascoltare il vociare dei bambini: la giornata è bella e assolata, e da quando sono arrivato in paese non ho udito un solo rumore. Sull’atrio interno dell’edificio insistono delle sculture in ceramica raffiguranti un gruppo di bambini, ne sono ventisette, che giocano gioiosamente; finalmente fanno ciò che il destino non gli ha consentito di fare in quel giorno di venti anni fa. I bambini che frequentano oggi la scuola dell’infanzia, la primaria e la secondaria sono appena 72, dei giovani che frequentano il Centro Professionale e Universitario neanche l’ombra: due delle tre torri sono rimaste sempre vuote. Tredici milioni di euro spesi male e oggi il Comune ha difficoltà a sostenere le spese di gestione di questa enorme struttura: la scuola come la piscina, il modello è lo stesso, “Modello Molise”.

Cerco d’incontrare qualcuno, mi avvio verso il centro storico, il borgo medioevale è carino e molto ben curato, la chiesa di S. Giuliano Martire, distrutta dal terremoto già nel 1456 è oggi ben ristrutturata, il palazzo Marchesani che ospita il Comune un vero esempio di recupero storico. Giro per i vicoletti ben conservati ma non trovo nessuno: quei pochi che ancora vivono in paese sono in campagna a raccogliere le olive, l’unica attività agricola ancora praticata. La notizia mi inquieta, qualcosa non torna: il governo nazionale ha stanziato circa 600 milioni di euro per la ripresa produttiva di queste zone e qui, proprio nel paese simbolo del terremoto, non è arrivato neanche un centesimo?

Mentre mi arrovello con cose che non comprendo vedo da lontano il villaggio provvisorio costruito appena dopo il sisma. Sono 130 casette di legno, circa 270 appartamenti, oltre la scuola e la chiesa. Dopo il rientro dei terremotati nelle loro case, il governo nazionale decise di adibire il villaggio a centro per l’accoglienza degli straneri e per il progetto di recupero del villaggio abbandonato e vandalizzato stanziò una somma importante. Non vedo l’ora di andar a salutare quest’altra categoria di sfigati, in qualche modo anche loro terremotati e fare i miei complimenti a chi ha avuto questa straordinaria idea. Trovo finalmente dei ragazzi sul posto i quali, delusi e amareggiati, mi informano che il centro di accoglienza non si farà, perché il nuovo ministro dell’Interno – Salvini – ha cambiato idea, nonostante la gara di appalto per affidare i lavori si fosse conclusa positivamente, dopo un lungo e faticoso iter giudiziario, e che quindi i fondi stanziati sarebbero stati necessari per risarcire l’impresa aggiudicatrice.

Mentre i ragazzi continuano il loro racconto, già ascoltato tante volte per altre vicende in questi ultimi vent’anni, ripenso a quella donna incontrata al cimitero, ai suoi occhi senza rabbia, al suo viso inespressivo ma sereno, alla rassegnazione che non le consente di uscire dal dolore, al timore di tradire il suo amore accettando quella tragedia, al desiderio liberatorio della morte, all’indifferenza verso di lei.☺

 

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