11 settembre 1973  di Christiane Barckhausen-Canale
3 Settembre 2013 Share

11 settembre 1973 di Christiane Barckhausen-Canale

 

Questo mese i mezzi di comunicazione saranno pieni, per la dodicesima volta, di storie sulle torri gemelle di Nuova York. Non voglio dire che non sia importante ricordare quell’evento orribile, quei morti, quei parenti sopravissuti che non hanno mai trovato i corpi dei loro cari. Questa data, l’11 settembre 2001, è una data storica che merita essere ricordata ogni anno.

Ma l’altro 11 settembre, quello del 1973, anche quello un martedì, è stato quasi dimenticato. Ed è di quel giorno che voglio parlare.

40 anni fa, i mesi di luglio ed agosto furono, a Berlino (ancora capitale della Repubblica Democratica Tedesca), mesi di un caldo insopportabile, quasi un caldo da estate bonefrana. Il 5 agosto si era organizzato l’atto finale del X Festival Mondiale dei giovani e degli studenti, e le delegazioni straniere a poco a poco abbandonavano Berlino; fra loro anche i componenti del gruppo Inti Illimani che ritornavano al loro paese, il Cile. Io ero stata, per due settimane, traduttrice loro e di altri delegati cileni, ma adesso ritornavo al mio lavoro che, dal mese di aprile 1973, consisteva nella traduzione di decine di bande sonore (tracce audio) che dovevano servire per produrre un film documentario sul Cile di Salvador Allende, il Cile della Unidad Popular. I cileni erano stati, durante il Festival, centro di un’attenzione particolare, perché particolare era il fatto che, per la prima volta nella storia, in America Latina un candidato presidenziale socialista aveva vinto, nel 1970, elezioni democratiche, ed il suo governo aveva già preso parecchie misure rivoluzionarie, come la riforma agraria, la nazionalizzazione delle ricchezze del sottosuolo (sopratutto il rame) ed altre. Milioni di persone nel mondo seguivano gli eventi del Cile con ammirazione ed anche con preoccupazione, perché, da mesi, gruppi reazionari cileni avevano commesso atti di sabotaggio contro il governo di Allende e contro il popolo cileno, aiutati e guidati della CIA nordamericana che aveva stanziato per questo scopo 10 milioni di dollari.

L’11 settembre 1973 stavo traducendo la banda sonora registrata il 4 settembre a Santiago del Cile, in occasione di una grandissima manifestazione popolare – 700.000 partecipanti – che celebrava il terzo anniversario della vittoria elettorale di Allende. Tre giorni prima avevo ricevuto il visto per andare in Cile, perché il traduttore che accompagnava i cineasti tedeschi si era ammalato ed io dovevo sostituirlo per la durata della sua malattia. Finalmente avrei avuto la possibilità di vedere con i miei occhi quello che succedeva in quel paese, cose che i miei orecchi già conoscevano bene a causa delle bande sonore. Nel primo pomeriggio volevo fare una piccola pausa e sentire la radio, cosa che non avevo fatto per molti giorni.

All’inizio non credevo a quello che sentivo: a Santiago del Cile aerei militari stavano bombardando il palazzo del governo nel quale si trovava Salvador Allende con i suoi ministri. L’esercito cileno aveva dato al presidente qualche ora per abbandonare il palazzo La Moneda e scappare in qualsiasi paese… In tutta la città di Santiago i militari stavano arrestando la gente, portandola nello stadio di calcio, lo Stadio Nazionale. (Molto più tardi si sarebbe conosciuto il numero totale: 40.000 prigionieri solo in quello stadio).

Avevo molti amici in Cile, e a Santiago viveva anche il padre di mia figlia Jasmina. Subito dopo aver ascoltato le prime notizie confuse dal Cile, cercai di telefonare agli amici di Santiago, ma tutte le comunicazioni telefoniche erano interrotte. Verso mezzanotte arrivò la notizia della morte di Salvador Allende nel palazzo de La Moneda.

I giorni ed i mesi che seguirono quell’11 settembre furono una catena interminabile di notizie orripilanti. La verità terribile di quel colpo di stato si faceva strada, arrivarono i nomi dei morti, dei torturati, di quelli che erano stato arrestati ed erano spariti nel nulla… Cominciarono ad arrivare a Berlino i primi cileni in cerca di asilo politico. Io ancora non sapevo che per i prossimi anni sarei stata la traduttrice per moltissimi di loro, come p.e. Hortensi “Tencha” Allende, la vedova del presidente, i politici della “Unidad Popular” Gladys Marin, Carlos Altamirano, i figli di Luis Corvalan e tanti altri, ex-prigionieri, ex-torturati.

Adesso, 40 anni dopo, la persona che più nitidamente vedo davanti a me è Lucho, un ragazzo di 10 anni. Questo ragazzo, dal momento che era arrivato a Berlino, non parlava con nessun adulto, per niente al mondo, parlava solo con bambini cileni e tedeschi. Per mesi i genitori cercarono l’aiuto di medici, di psicologi, ma non c’era niente da fare. Fino al giorno in cui la madre ricordò il giorno di settembre 1973, quando i militari bussarono alla porta della casa ed il papà, che era ricercato come dirigente socialista, prima di nascondersi in una parte segreta della casa, disse al figlio: “Non aprire la bocca, per niente al mondo, non parlare, parlare può significare la mia morte…”. E cosi, mezzo anno dopo quell’11 settembre, bastò una parola del padre al figlio e questo ricominciò a parlare. Più tardi, la madre dirà che parlava anche troppo…

Fin qui la mia storia dell’11 Settembre 1973. Ogni tanto mi chiedo se è un caso che, per vivere in Italia, abbia scelto proprio Bonefro, il primo paese in Italia dove il gruppo Inti Illimani, dopo aver ricevuto asilo politico in Italia, abbia dato il suo primo concerto in esilio. ☺

chrigio@arcor.de

 

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