Sono le parole, in francese antico, che Carlo di Valois-Orléans, detenuto per venticinque anni nella Torre di Londra in seguito alla sconfitta nella battaglia di Azincourt (1415), durante la Guerra dei Cento anni, rivolgeva a sua moglie. Il duca francese, che compose circa cinquecento opere poetiche e che fu poi immortalato nell’Enrico V di Shakespeare, non poteva immaginare di aver dato vita, con queste parole, a quella che è considerata la più antica “valentina” di cui ci sia rimasta traccia. Le “valentine” sono i bigliettini, affettuosi o scherzosi, che gli innamorati, a partire da una moda lanciata nel XIX secolo negli Stati Uniti e poi nel Regno Unito, si scambiano il 14 febbraio, giorno di san Valentino.
Ma questa ricorrenza, trasformata oggi in una di quelle feste dal consumo indotto, in cui sono d’obbligo il regalo costoso e gli sprechi, trae probabilmente origine da un antico rito pagano, conosciuto con il nome latino di Lupercalia. I Lupercali si celebravano a Roma in onore del dio Fauno Luperco, che proteggeva il bestiame dagli attacchi dei lupi, fra il 13 e il 15 febbraio, ovvero al culmine del periodo invernale, in cui i lupi si avvicinavano particolarmente affamati agli ovili e alle stalle. La celebrazione avveniva in una grotta sacra, chiamata Lupercale, alle pendici del monte Palatino, dove, secondo la leggenda della fondazione di Roma, una lupa avrebbe allattato Romolo e Remo. Quanto al rito che vi si svolgeva, è lo scrittore greco Plutarco a descriverlo nel dettaglio: due ragazzi patrizi, detti Luperci, cioè “lupacchiot- ti”, dopo aver sacrificato una capra nel Lupercale ed esser stati sottoposti ad un lavaggio purificatorio, dovevano correre nudi attorno al Palatino, colpendo con strisce ottenute dalla pelle della capra appena sacrificata, e usate come fruste di cuoio, i passanti, e in particolare le donne, per propiziarne la fertilità.
Per questo si è supposto che i Lupercalia siano riti di fecondazione simbolica. E per questo potrebbero essere all’origine della festa degli innamorati, che nel 496 papa Gelasio I fissò al 14 febbraio, nel tentativo di estirpare un’antica tradizione pagana che la popolazione, ormai quasi interamente cristiana, continuava a celebrare. E siccome proprio quel giorno si festeggiava san Valentino, il vescovo di Terni sarebbe diventato il protettore degli innamorati.
Il rito di purificazione, presente nei Lupercalia e intrecciato con quello di fecondazione simbolica, sarebbe invece stato recuperato e riassorbito in un’altra ricorrenza cristiana, che cade il 2 febbraio: la cosiddetta “Candelora”. È il giorno in cui si benedicono e si distribuiscono ai fedeli delle candele alle quali viene attribuita la virtù di proteggere dalle calamità con il loro fuoco purificatore.
Ma il cero acceso in occasione della Candelora è anche il simbolo del nuovo fuoco vitale che riappare nella natura e che prelude alla primavera. Non a caso, in questo intreccio di festività pagane e cristiane, di purificazione e di fecondazione, nel tardo Medioevo nacquero altri due frammenti di saggezza popolare, consegnati a due proverbi: “Per san Valentino la primavera sta vicino” e “Per san Valentino fiorisce lo spino”.
Sono le parole, in francese antico, che Carlo di Valois-Orléans, detenuto per venticinque anni nella Torre di Londra in seguito alla sconfitta nella battaglia di Azincourt (1415), durante la Guerra dei Cento anni, rivolgeva a sua moglie. Il duca francese, che compose circa cinquecento opere poetiche e che fu poi immortalato nell’Enrico V di Shakespeare, non poteva immaginare di aver dato vita, con queste parole, a quella che è considerata la più antica “valentina” di cui ci sia rimasta traccia. Le “valentine” sono i bigliettini, affettuosi o scherzosi, che gli innamorati, a partire da una moda lanciata nel XIX secolo negli Stati Uniti e poi nel Regno Unito, si scambiano il 14 febbraio, giorno di san Valentino.
Ma questa ricorrenza, trasformata oggi in una di quelle feste dal consumo indotto, in cui sono d’obbligo il regalo costoso e gli sprechi, trae probabilmente origine da un antico rito pagano, conosciuto con il nome latino di Lupercalia. I Lupercali si celebravano a Roma in onore del dio Fauno Luperco, che proteggeva il bestiame dagli attacchi dei lupi, fra il 13 e il 15 febbraio, ovvero al culmine del periodo invernale, in cui i lupi si avvicinavano particolarmente affamati agli ovili e alle stalle. La celebrazione avveniva in una grotta sacra, chiamata Lupercale, alle pendici del monte Palatino, dove, secondo la leggenda della fondazione di Roma, una lupa avrebbe allattato Romolo e Remo. Quanto al rito che vi si svolgeva, è lo scrittore greco Plutarco a descriverlo nel dettaglio: due ragazzi patrizi, detti Luperci, cioè “lupacchiot- ti”, dopo aver sacrificato una capra nel Lupercale ed esser stati sottoposti ad un lavaggio purificatorio, dovevano correre nudi attorno al Palatino, colpendo con strisce ottenute dalla pelle della capra appena sacrificata, e usate come fruste di cuoio, i passanti, e in particolare le donne, per propiziarne la fertilità.
Per questo si è supposto che i Lupercalia siano riti di fecondazione simbolica. E per questo potrebbero essere all’origine della festa degli innamorati, che nel 496 papa Gelasio I fissò al 14 febbraio, nel tentativo di estirpare un’antica tradizione pagana che la popolazione, ormai quasi interamente cristiana, continuava a celebrare. E siccome proprio quel giorno si festeggiava san Valentino, il vescovo di Terni sarebbe diventato il protettore degli innamorati.
Il rito di purificazione, presente nei Lupercalia e intrecciato con quello di fecondazione simbolica, sarebbe invece stato recuperato e riassorbito in un’altra ricorrenza cristiana, che cade il 2 febbraio: la cosiddetta “Candelora”. È il giorno in cui si benedicono e si distribuiscono ai fedeli delle candele alle quali viene attribuita la virtù di proteggere dalle calamità con il loro fuoco purificatore.
Ma il cero acceso in occasione della Candelora è anche il simbolo del nuovo fuoco vitale che riappare nella natura e che prelude alla primavera. Non a caso, in questo intreccio di festività pagane e cristiane, di purificazione e di fecondazione, nel tardo Medioevo nacquero altri due frammenti di saggezza popolare, consegnati a due proverbi: “Per san Valentino la primavera sta vicino” e “Per san Valentino fiorisce lo spino”.
“Je suis desja d'amour tanné, ma tres doulce Valentinée” (Io sono ormai dall'amore sconvolto, mia dolcissima Valentina)
Sono le parole, in francese antico, che Carlo di Valois-Orléans, detenuto per venticinque anni nella Torre di Londra in seguito alla sconfitta nella battaglia di Azincourt (1415), durante la Guerra dei Cento anni, rivolgeva a sua moglie. Il duca francese, che compose circa cinquecento opere poetiche e che fu poi immortalato nell’Enrico V di Shakespeare, non poteva immaginare di aver dato vita, con queste parole, a quella che è considerata la più antica “valentina” di cui ci sia rimasta traccia. Le “valentine” sono i bigliettini, affettuosi o scherzosi, che gli innamorati, a partire da una moda lanciata nel XIX secolo negli Stati Uniti e poi nel Regno Unito, si scambiano il 14 febbraio, giorno di san Valentino.
Ma questa ricorrenza, trasformata oggi in una di quelle feste dal consumo indotto, in cui sono d’obbligo il regalo costoso e gli sprechi, trae probabilmente origine da un antico rito pagano, conosciuto con il nome latino di Lupercalia. I Lupercali si celebravano a Roma in onore del dio Fauno Luperco, che proteggeva il bestiame dagli attacchi dei lupi, fra il 13 e il 15 febbraio, ovvero al culmine del periodo invernale, in cui i lupi si avvicinavano particolarmente affamati agli ovili e alle stalle. La celebrazione avveniva in una grotta sacra, chiamata Lupercale, alle pendici del monte Palatino, dove, secondo la leggenda della fondazione di Roma, una lupa avrebbe allattato Romolo e Remo. Quanto al rito che vi si svolgeva, è lo scrittore greco Plutarco a descriverlo nel dettaglio: due ragazzi patrizi, detti Luperci, cioè “lupacchiot- ti”, dopo aver sacrificato una capra nel Lupercale ed esser stati sottoposti ad un lavaggio purificatorio, dovevano correre nudi attorno al Palatino, colpendo con strisce ottenute dalla pelle della capra appena sacrificata, e usate come fruste di cuoio, i passanti, e in particolare le donne, per propiziarne la fertilità.
Per questo si è supposto che i Lupercalia siano riti di fecondazione simbolica. E per questo potrebbero essere all’origine della festa degli innamorati, che nel 496 papa Gelasio I fissò al 14 febbraio, nel tentativo di estirpare un’antica tradizione pagana che la popolazione, ormai quasi interamente cristiana, continuava a celebrare. E siccome proprio quel giorno si festeggiava san Valentino, il vescovo di Terni sarebbe diventato il protettore degli innamorati.
Il rito di purificazione, presente nei Lupercalia e intrecciato con quello di fecondazione simbolica, sarebbe invece stato recuperato e riassorbito in un’altra ricorrenza cristiana, che cade il 2 febbraio: la cosiddetta “Candelora”. È il giorno in cui si benedicono e si distribuiscono ai fedeli delle candele alle quali viene attribuita la virtù di proteggere dalle calamità con il loro fuoco purificatore.
Ma il cero acceso in occasione della Candelora è anche il simbolo del nuovo fuoco vitale che riappare nella natura e che prelude alla primavera. Non a caso, in questo intreccio di festività pagane e cristiane, di purificazione e di fecondazione, nel tardo Medioevo nacquero altri due frammenti di saggezza popolare, consegnati a due proverbi: “Per san Valentino la primavera sta vicino” e “Per san Valentino fiorisce lo spino”.
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