Il percorso semantico, sintetico e non esaustivo, attraverso l’esame dei cambiamenti di significato avvenuti nelle parole «laico, laicità, laicismo», si completa con una riflessione sulla parola corrispettiva e antagonista di chierico o clero.
Il popolo (laos da cui laico) è stato il termine utilizzato dal cristianesimo delle origini, perché ha dato di comporre significati derivati sia dalla matrice religiosa ebraica, il popolo di Dio, fondato sul dono dell’alleanza e sulla risposta della fede, che dalla tradizione greco-romana, il popolo come definizione di un gruppo omogeneo, ad es. popolo ateniese, popolo romano. Era noto come i romani concedessero il titolo di “cittadino romano” a chi nell’impero si assimilava totalmente a Roma. Ciò ha consentito ai primi cristiani di sganciasi dal legame etnico con Israele, in quanto non conta più essere discendenti di Abramo secondo la carne (l’antico Israele unico popolo di Dio) e di valorizzare l’aspetto religioso della fede di Abramo, riconosciuto “padre dei credenti”. Si conservano le “Scritture” ebraiche, denominate in seguito “Antico Testamento”, ma unite alla memoria, prima orale e poi scritta, dei “detti” e dei “fatti” di Gesù il Cristo (i quattro vangeli), dell’insegnamento dei dodici (Lettere ed Apocalisse) e da un racconto storico dei primi passi della comunità dei discepoli (Atti degli Apostoli): formeranno il nuovo “libro” (Biblos – Bibbia) dei credenti in Gesù Cristo.
La prima comunità di Gerusalemme non aveva ancora un nome proprio, né un luogo proprio. I discepoli frequentavano il tempio, ma non partecipavano più ai sacrifici rituali; leggevano le Scritture ma in Gesù il Cristo ne proclamavano il compimento; non praticavano più l’osservanza dei 613 precetti della tradizione giudaica; assumevano una libertà inaudita per i giudei. Fondati sulla predicazione dei dodici detti “apostoli” (i testimoni) tra loro si chiamano “fratelli”, mettono insieme i beni in una esperienza di “comunione” entusiasta che rende visibile un nuovo modo di vivere le relazioni interumane, non legate all’etnia, ai ruoli sociali, al possesso di beni materiali, ai ruoli cultuali dei giudei. Segni particolari della loro novità, sono la fede in Gesù morto e risorto, proclamato il Messia/Cristo, il battesimo nel nome di Gesù il Cristo (distinto dal battesimo di Giovanni) e la frequentazione della “cena del Signore”. Ad Antiochia di Siria, il gruppo di «discepoli», misto di giudei e pagani convertiti, per la prima volta sarà detto dei «cristiani».
Dopo la rottura dei rapporti con la Sinagoga ebraica, il primo cristianesimo non pubblico, ostacolato fino alla persecuzione dal potere, si articola con un uso di parole mutuato dal linguaggio comune del tempo: il greco della “Koiné” (universale). I credenti si riconoscono «fratelli» (adelfoi), i responsabili che presiedono le piccole comunità sono chiamati «anziani» (presbiteroi) secondo il costume del tempo quando l’anziano godeva di autorità e autorevolezza necessaria, i dotati di «capacità particolari» (karismata) donate da Dio sono tenuti ad esercitarli per il bene della comunità e non per sé, coloro che svolgono un «ruolo particolare» (ministeria) devono svolgerlo come servizio alla comunità, coloro che attuano un servizio continuativo alle esigenze degli ultimi (orfani e vedove) sono detti «servitori» (diakonoi), coloro che sovrintendono un territorio di più comunità, assumendo, man mano, il ruolo che fu dei dodici e assicurando la «continuità apostolica» sono detti «ispettori» (epìskopoi). Tutti termini del linguaggio comune connotati da un proprio significato i cui contenuti vanno vissuti “in Cristo”.
Appare la struttura trinitaria della vita di questo gruppo nascente: la fede costituisce in unico popolo le piccole comunità/società (ekklesia) dei “figli” di un unico Padre, l’esperienza esistenziale è determinata dal seguire Gesù Cristo e il suo Vangelo (discepoli poi cristiani), la libertà personale non si ispira né al mondo contemporaneo (costumi dominanti), né alla carne (legami etnici o pulsioni passionali) né a leggi particolari (non c’è una legge religiosa scritta) ma deve essere pneumatica, ovvero, vissuta in ascolto e in obbedienza allo Spirito (pneuma = spirito), orientata a generare un’umanità fraterna e riconciliata dalla croce di Cristo. Le comunità si comprendono come organico “corpo vivente” di Cristo, come unico “popolo nuovo”, radunato in “chiese” molteplici sparse sulla terra, guidate da “ministri”. La parola “chiesa”, quasi subito, denominerà il mondo cristiano in modo quasi esclusivo, mettendo in sordina le altre.
Alla fine del primo secolo, negli scritti di Clemente I, vescovo di Roma (dal 92 al 101) e di Tertulliano, a cavallo del II e III secolo, comincia ad apparire la distinzione “chierici” e “laici” per indicare due categorie di battezzati all’interno dell’unica chiesa: i primi sono i pochi che svolgono un ministero “ordinato” e i secondi il resto dei battezzati. Il popolo dei credenti comincia a strutturarsi in senso verticale o “gerarchico” con la comprensione che alla gerarchia (ministri ordinati o chierici) spetta il compito di dare indicazioni e ai laici di riceverle e di attuarle.
Tale processo continuo, nel cuore del Medioevo con la nascita delle Università, perverrà alla codificazione giuridica: il Codice di Diritto Canonico. La chiesa è sempre composta da chierici e laici, ma per la crescita e l’espandersi degli ordini monastici il codice distingue tre «stati di vita»: clericale, monastico e laicale; codifica spazi esclusivi (privilegi) che agli uni competono e ad altri no. Tale distinzione nel secondo millennio, avrà una piccola variazione: con la nascita delle “congregazioni” religiose si parlerà di chierici ordinati (Vescovi, presbiteri, detti sempre più sacerdoti, e diaconi) religiosi (monaci e “consacrati”) e laici (il resto dei battezzati). Con questa terminologia si arriva fino al Concilio Vaticano II del 1962-65. ☺
Il percorso semantico, sintetico e non esaustivo, attraverso l’esame dei cambiamenti di significato avvenuti nelle parole «laico, laicità, laicismo», si completa con una riflessione sulla parola corrispettiva e antagonista di chierico o clero.
Il popolo (laos da cui laico) è stato il termine utilizzato dal cristianesimo delle origini, perché ha dato di comporre significati derivati sia dalla matrice religiosa ebraica, il popolo di Dio, fondato sul dono dell’alleanza e sulla risposta della fede, che dalla tradizione greco-romana, il popolo come definizione di un gruppo omogeneo, ad es. popolo ateniese, popolo romano. Era noto come i romani concedessero il titolo di “cittadino romano” a chi nell’impero si assimilava totalmente a Roma. Ciò ha consentito ai primi cristiani di sganciasi dal legame etnico con Israele, in quanto non conta più essere discendenti di Abramo secondo la carne (l’antico Israele unico popolo di Dio) e di valorizzare l’aspetto religioso della fede di Abramo, riconosciuto “padre dei credenti”. Si conservano le “Scritture” ebraiche, denominate in seguito “Antico Testamento”, ma unite alla memoria, prima orale e poi scritta, dei “detti” e dei “fatti” di Gesù il Cristo (i quattro vangeli), dell’insegnamento dei dodici (Lettere ed Apocalisse) e da un racconto storico dei primi passi della comunità dei discepoli (Atti degli Apostoli): formeranno il nuovo “libro” (Biblos – Bibbia) dei credenti in Gesù Cristo.
La prima comunità di Gerusalemme non aveva ancora un nome proprio, né un luogo proprio. I discepoli frequentavano il tempio, ma non partecipavano più ai sacrifici rituali; leggevano le Scritture ma in Gesù il Cristo ne proclamavano il compimento; non praticavano più l’osservanza dei 613 precetti della tradizione giudaica; assumevano una libertà inaudita per i giudei. Fondati sulla predicazione dei dodici detti “apostoli” (i testimoni) tra loro si chiamano “fratelli”, mettono insieme i beni in una esperienza di “comunione” entusiasta che rende visibile un nuovo modo di vivere le relazioni interumane, non legate all’etnia, ai ruoli sociali, al possesso di beni materiali, ai ruoli cultuali dei giudei. Segni particolari della loro novità, sono la fede in Gesù morto e risorto, proclamato il Messia/Cristo, il battesimo nel nome di Gesù il Cristo (distinto dal battesimo di Giovanni) e la frequentazione della “cena del Signore”. Ad Antiochia di Siria, il gruppo di «discepoli», misto di giudei e pagani convertiti, per la prima volta sarà detto dei «cristiani».
Dopo la rottura dei rapporti con la Sinagoga ebraica, il primo cristianesimo non pubblico, ostacolato fino alla persecuzione dal potere, si articola con un uso di parole mutuato dal linguaggio comune del tempo: il greco della “Koiné” (universale). I credenti si riconoscono «fratelli» (adelfoi), i responsabili che presiedono le piccole comunità sono chiamati «anziani» (presbiteroi) secondo il costume del tempo quando l’anziano godeva di autorità e autorevolezza necessaria, i dotati di «capacità particolari» (karismata) donate da Dio sono tenuti ad esercitarli per il bene della comunità e non per sé, coloro che svolgono un «ruolo particolare» (ministeria) devono svolgerlo come servizio alla comunità, coloro che attuano un servizio continuativo alle esigenze degli ultimi (orfani e vedove) sono detti «servitori» (diakonoi), coloro che sovrintendono un territorio di più comunità, assumendo, man mano, il ruolo che fu dei dodici e assicurando la «continuità apostolica» sono detti «ispettori» (epìskopoi). Tutti termini del linguaggio comune connotati da un proprio significato i cui contenuti vanno vissuti “in Cristo”.
Appare la struttura trinitaria della vita di questo gruppo nascente: la fede costituisce in unico popolo le piccole comunità/società (ekklesia) dei “figli” di un unico Padre, l’esperienza esistenziale è determinata dal seguire Gesù Cristo e il suo Vangelo (discepoli poi cristiani), la libertà personale non si ispira né al mondo contemporaneo (costumi dominanti), né alla carne (legami etnici o pulsioni passionali) né a leggi particolari (non c’è una legge religiosa scritta) ma deve essere pneumatica, ovvero, vissuta in ascolto e in obbedienza allo Spirito (pneuma = spirito), orientata a generare un’umanità fraterna e riconciliata dalla croce di Cristo. Le comunità si comprendono come organico “corpo vivente” di Cristo, come unico “popolo nuovo”, radunato in “chiese” molteplici sparse sulla terra, guidate da “ministri”. La parola “chiesa”, quasi subito, denominerà il mondo cristiano in modo quasi esclusivo, mettendo in sordina le altre.
Alla fine del primo secolo, negli scritti di Clemente I, vescovo di Roma (dal 92 al 101) e di Tertulliano, a cavallo del II e III secolo, comincia ad apparire la distinzione “chierici” e “laici” per indicare due categorie di battezzati all’interno dell’unica chiesa: i primi sono i pochi che svolgono un ministero “ordinato” e i secondi il resto dei battezzati. Il popolo dei credenti comincia a strutturarsi in senso verticale o “gerarchico” con la comprensione che alla gerarchia (ministri ordinati o chierici) spetta il compito di dare indicazioni e ai laici di riceverle e di attuarle.
Tale processo continuo, nel cuore del Medioevo con la nascita delle Università, perverrà alla codificazione giuridica: il Codice di Diritto Canonico. La chiesa è sempre composta da chierici e laici, ma per la crescita e l’espandersi degli ordini monastici il codice distingue tre «stati di vita»: clericale, monastico e laicale; codifica spazi esclusivi (privilegi) che agli uni competono e ad altri no. Tale distinzione nel secondo millennio, avrà una piccola variazione: con la nascita delle “congregazioni” religiose si parlerà di chierici ordinati (Vescovi, presbiteri, detti sempre più sacerdoti, e diaconi) religiosi (monaci e “consacrati”) e laici (il resto dei battezzati). Con questa terminologia si arriva fino al Concilio Vaticano II del 1962-65. ☺
Il percorso semantico, sintetico e non esaustivo, attraverso l’esame dei cambiamenti di significato avvenuti nelle parole «laico, laicità, laicismo», si completa con una riflessione sulla parola corrispettiva e antagonista di chierico o clero.
Il popolo (laos da cui laico) è stato il termine utilizzato dal cristianesimo delle origini, perché ha dato di comporre significati derivati sia dalla matrice religiosa ebraica, il popolo di Dio, fondato sul dono dell’alleanza e sulla risposta della fede, che dalla tradizione greco-romana, il popolo come definizione di un gruppo omogeneo, ad es. popolo ateniese, popolo romano. Era noto come i romani concedessero il titolo di “cittadino romano” a chi nell’impero si assimilava totalmente a Roma. Ciò ha consentito ai primi cristiani di sganciasi dal legame etnico con Israele, in quanto non conta più essere discendenti di Abramo secondo la carne (l’antico Israele unico popolo di Dio) e di valorizzare l’aspetto religioso della fede di Abramo, riconosciuto “padre dei credenti”. Si conservano le “Scritture” ebraiche, denominate in seguito “Antico Testamento”, ma unite alla memoria, prima orale e poi scritta, dei “detti” e dei “fatti” di Gesù il Cristo (i quattro vangeli), dell’insegnamento dei dodici (Lettere ed Apocalisse) e da un racconto storico dei primi passi della comunità dei discepoli (Atti degli Apostoli): formeranno il nuovo “libro” (Biblos – Bibbia) dei credenti in Gesù Cristo.
La prima comunità di Gerusalemme non aveva ancora un nome proprio, né un luogo proprio. I discepoli frequentavano il tempio, ma non partecipavano più ai sacrifici rituali; leggevano le Scritture ma in Gesù il Cristo ne proclamavano il compimento; non praticavano più l’osservanza dei 613 precetti della tradizione giudaica; assumevano una libertà inaudita per i giudei. Fondati sulla predicazione dei dodici detti “apostoli” (i testimoni) tra loro si chiamano “fratelli”, mettono insieme i beni in una esperienza di “comunione” entusiasta che rende visibile un nuovo modo di vivere le relazioni interumane, non legate all’etnia, ai ruoli sociali, al possesso di beni materiali, ai ruoli cultuali dei giudei. Segni particolari della loro novità, sono la fede in Gesù morto e risorto, proclamato il Messia/Cristo, il battesimo nel nome di Gesù il Cristo (distinto dal battesimo di Giovanni) e la frequentazione della “cena del Signore”. Ad Antiochia di Siria, il gruppo di «discepoli», misto di giudei e pagani convertiti, per la prima volta sarà detto dei «cristiani».
Dopo la rottura dei rapporti con la Sinagoga ebraica, il primo cristianesimo non pubblico, ostacolato fino alla persecuzione dal potere, si articola con un uso di parole mutuato dal linguaggio comune del tempo: il greco della “Koiné” (universale). I credenti si riconoscono «fratelli» (adelfoi), i responsabili che presiedono le piccole comunità sono chiamati «anziani» (presbiteroi) secondo il costume del tempo quando l’anziano godeva di autorità e autorevolezza necessaria, i dotati di «capacità particolari» (karismata) donate da Dio sono tenuti ad esercitarli per il bene della comunità e non per sé, coloro che svolgono un «ruolo particolare» (ministeria) devono svolgerlo come servizio alla comunità, coloro che attuano un servizio continuativo alle esigenze degli ultimi (orfani e vedove) sono detti «servitori» (diakonoi), coloro che sovrintendono un territorio di più comunità, assumendo, man mano, il ruolo che fu dei dodici e assicurando la «continuità apostolica» sono detti «ispettori» (epìskopoi). Tutti termini del linguaggio comune connotati da un proprio significato i cui contenuti vanno vissuti “in Cristo”.
Appare la struttura trinitaria della vita di questo gruppo nascente: la fede costituisce in unico popolo le piccole comunità/società (ekklesia) dei “figli” di un unico Padre, l’esperienza esistenziale è determinata dal seguire Gesù Cristo e il suo Vangelo (discepoli poi cristiani), la libertà personale non si ispira né al mondo contemporaneo (costumi dominanti), né alla carne (legami etnici o pulsioni passionali) né a leggi particolari (non c’è una legge religiosa scritta) ma deve essere pneumatica, ovvero, vissuta in ascolto e in obbedienza allo Spirito (pneuma = spirito), orientata a generare un’umanità fraterna e riconciliata dalla croce di Cristo. Le comunità si comprendono come organico “corpo vivente” di Cristo, come unico “popolo nuovo”, radunato in “chiese” molteplici sparse sulla terra, guidate da “ministri”. La parola “chiesa”, quasi subito, denominerà il mondo cristiano in modo quasi esclusivo, mettendo in sordina le altre.
Alla fine del primo secolo, negli scritti di Clemente I, vescovo di Roma (dal 92 al 101) e di Tertulliano, a cavallo del II e III secolo, comincia ad apparire la distinzione “chierici” e “laici” per indicare due categorie di battezzati all’interno dell’unica chiesa: i primi sono i pochi che svolgono un ministero “ordinato” e i secondi il resto dei battezzati. Il popolo dei credenti comincia a strutturarsi in senso verticale o “gerarchico” con la comprensione che alla gerarchia (ministri ordinati o chierici) spetta il compito di dare indicazioni e ai laici di riceverle e di attuarle.
Tale processo continuo, nel cuore del Medioevo con la nascita delle Università, perverrà alla codificazione giuridica: il Codice di Diritto Canonico. La chiesa è sempre composta da chierici e laici, ma per la crescita e l’espandersi degli ordini monastici il codice distingue tre «stati di vita»: clericale, monastico e laicale; codifica spazi esclusivi (privilegi) che agli uni competono e ad altri no. Tale distinzione nel secondo millennio, avrà una piccola variazione: con la nascita delle “congregazioni” religiose si parlerà di chierici ordinati (Vescovi, presbiteri, detti sempre più sacerdoti, e diaconi) religiosi (monaci e “consacrati”) e laici (il resto dei battezzati). Con questa terminologia si arriva fino al Concilio Vaticano II del 1962-65. ☺
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