la coda cavallina
16 Aprile 2010 Share

la coda cavallina

 

La coda cavallina (Equisetum arvense L.) è una pianta perenne dalla forma così caratteristica da non permettere dubbi e incertezze sulla sua identificazione.

             Il nome del genere Equisetum ha origine dai termini equus (= cavallo) e seta (= crine o setola) per l’aspetto dei fusti sterili; arvense significa “dei campi”.

             Il genere Equisetum è l’unico superstite della famiglia Equisetacee, crittogame vascolari che crescevano numerose nell’era Paleozoica (circa 250 milioni di anni fa).

             Questa strana pianta dalla chioma leggera, verde a ciuffi, cresce nei boschi umidi e nei terreni acquitrinosi, dal mare alla montagna. Presenta una particolare caratteristica: il suo sottile rizoma emette due tipi di fusti, uno fertile all’inizio della primavera ed uno sterile nell’estate. Alla sommità del fusto primaverile si forma l’organo riproduttivo, una specie di spiga che porta le spore per la riproduzione (questa pianta infatti non ha fiori, quindi non produce semi e si moltiplica mediante spore, ma più spesso mediante rizoma). Nell’estate, quando tutti i fusti fertili sono appassiti, si sviluppa la parte verde con un fusto alto, molto ramificato, sterile.

Gli equiseti contengono acido silicico, tannino, sostanze coloranti, cloruri di sodio e di potassio. Il succo fresco possiede proprietà emostatiche, antiemorragiche e cicatrizzanti e può provocare un sensibile aumento dei globuli rossi nel sangue. Grazie poi al silicio contenuto in forma solubile in acqua e quindi prontamente assimilabile, è noto da tempo il valore demineralizzante degli equiseti; valore che favorisce la decalcificazione ossea addirittura più del calcio stesso. Ecco allora che diventa prezioso nei casi di fratture ossee, rachitismo e lesioni varie.

Si possono utilizzare sia il succo fresco quando è facile procurarselo al momento del bisogno, sia il decotto preparato facendo bollire per mezz’ora 50 grammi di pianta secca in mezzo litro di acqua.

Un uso curioso dei fusti sterili è quello di immergerli nel latte appena munto e appenderli nelle stalle per attirare le mosche, le quali restano invischiate e prigioniere dell’intreccio dei rametti. Sempre i fusti sterili possono essere utilizzati anche come abrasivo per lucidare l’argenteria o disincrostare le bottiglie di vetro.

In cosmesi si può preparare un peeling all’equiseto tritando finemente un ciuffo della pianta verde o meglio ancora essiccata e ridotta in polvere. Bisogna poi unirla ad olio di oliva sufficiente a creare un composto spalmabile da applicare su gomiti, ginocchia e piedi strofinando con delicatezza e risciacquando con acqua tiepida.

In alimentazione, come sappiamo dal medico senese Mattioli, i corpi fruttiferi, cioè i fusti sterili, venivano usati dagli uomini “nei loro cibi di Quaresima, prima lessati nell’acqua e poi infarinati e cotti in padella, in cambio di pesce”. Ancora oggi, in Messico e nel Minnesota, alcune parti di questa pianta vengono considerate commestibili; in Giappone, i fusti primaverili, raccolti ancora teneri e lessati brevemente in acqua salata, sono conservati in aceto con condimenti aromatici.

L’equiseto, bollito con l’ortica (1 chilo di piante in 10 litri di acqua) e lasciato a macerare due giorni, fornisce un liquido che può essere usato per innaffiare le piante perché alle spiccate doti di fertilizzante unisce quelle di antiparassitario.

Riso pilaf con germogli di equiseto

Ingredienti (per 4 persone):

uno scalogno; 100 g di burro; 400 g di riso; brodo corrispondente al doppio del volume del riso; 600 g di turioni (fusti fertili) di equiseto; 3 uova sode; ½ bicchiere di panna; sale e pepe bianco.

Preparazione:

in una pirofila rosolare lo scalogno tritato in circa 50 g di burro, unire il riso e lasciarlo insaporire mescolando. Unire il brodo bollente (deve superare di due o tre dita il livello del riso); riportare a ebollizione; chiudere la pirofila con un coperchio e cuocere in forno preriscaldato a 200° per circa 18 minuti, senza mai mescolare. Fuori dal forno mantecare con una noce di burro il riso e sgranarlo con una forchetta. Nel frattempo mondare, lavare e lessare i turioni di equiseto, poi passarli al setaccio con le uova sode. Fare insaporire questo composto in un tegamino con una noce di burro, diluendo, se necessario, con un po’ di brodo. Incorporare la panna, mescolando spesso; regolare di sale e pepe e cuocere per circa 5 minuti. Versare il riso pilaf nel piatto di portata, fare una fossetta al centro e versarvi la salsa all’equiseto. Servire immediatamente.

Abbacchio con equiseto

Ingredienti (per 4 persone):

un Kg di abbacchio (agnello di latte); 60 g di burro; sale e pepe; 3 foglie di timo; 3 foglie di basilico; ½ bicchiere di vino bianco secco; 500 g di turioni (fusti fertili di equiseto); 2 spicchi di aglio; 2 cucchiai di olio di oliva; un cucchiaio di succo di limone; due tuorli di uovo.

Preparazione:

dividere l’abbacchio in piccoli pezzi, metterli in una casseruola con 40 g di burro e farli rosolare in modo che coloriscano in maniera omogenea. Salare, pepare e aggiungere qualche foglia di timo, il basilico spezzettato e bagnare con ½ bicchiere di vino bianco. Coprire il recipiente e far cuocere a fuoco basso per 50 minuti. Mondare, lavare i turioni di equiseto e scottarli in acqua salata. Rosolare gli spicchi di aglio in una padella con due cucchiai di olio e 20 g di burro. Eliminarli, unire l’equiseto spezzettato, coprire e cuocere per alcuni minuti. Salare e pepare. Quando la carne sarà cotta toglierla dal fuoco e unire i turioni di equiseto con il loro fondo di cottura e un cucchiaio di succo di limone filtrato. Mescolare, fare cuocere per sei minuti, poi togliere il recipiente dal fuoco. Incorporare i tuorli sbattuti, mescolare piano e rimettere sul fuoco per 2-3 minuti per legare la salsa. Servire subito l’abbacchio con la salsa a parte.

 

giannotti.gildo@gmail.com

 

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