Nella società complessa, che caratterizza ormai il vissuto del nostro stesso Molise, diviene urgente avviare una riflessione approfondita sui processi connessi al ruolo genitoriale.
La famiglia, in primis, nonostante i mutamenti e le sollecitazioni a cui è sottoposta, continua a rimanere un sistema primario di prevenzione e di relazioni complesse: qui, infatti, ogni singolo soggetto vive le sue prime esperienze relazionali; un contesto all’interno del quale la dimensione esperienziale può però racchiudere diverse connotazioni: si può, infatti, conoscere la cura, l’amore e il senso della solidarietà, così come può divenire un luogo di sofferenza, una dimensione costruita attorno a fattori di incomunicabilità, di conflitti esasperati e di violenze fisiche e psicologiche, mentre, ad essa, viene chiesto soprattutto di favorire la nascita di una comunità di persone. Un luogo attraverso il quale i genitori e i figli sono chiamati a costruire dei percorsi di crescita attraverso la nascita di una comunicazione autenticamente aperta all’altro.
Si tratta, in primo luogo, di riconoscere l’uomo nella sua dimensione valoriale: un riconoscimento volto a far acquisire la consapevolezza che l’esperienza maturata dal genitore, come quella acquisita dal figlio, diventano un momento di arricchimento reciproco. Un’azione che assurge a valore soltanto entro una dimensione di ascolto condiviso e di interazione attiva: un luogo ove ciascuno fa dono del tesoro di vita che racchiude in sé. Il rapporto, in tal modo, diviene inter-soggettivo, e reclama, a sua volta, la centralità del singolo: un processo inteso soprattutto come capacità di riflettere su se stessi, di entrare in comunicazione con il proprio mondo interiore. Bisogna, in definitiva, lasciar spazio alla riflessione sulle proprie esperienze, e su ciò che altri hanno comunicato alle nostre vite.
Si tratta di sottrarre spazi di silenzio e di calma ad una dimensione temporale, caratterizzata dalla frenesia del fare e dalla massima colonizzazione e strutturazione dei tempi di vita (dal lavoro alla palestra, dall’inglese ai rientri scolastici, dall’esasperante cura estetica al mito della carriera).
Il senso della competizione pervade la stessa educazione dei figli, tanto che molti si considerano bravi genitori solo se i ragazzi raggiungono buoni risultati negli studi e negli sport. Da qui il rischio stesso di assolutizzare, in chiave radicalmente competitiva, l’intera dinamica connessa all’educazione e alla formazione. Vi è, viceversa, la necessità di dar vita ad un processo educativo equilibrato: un intervento capace nella sua essenza di educare i figli a comunicare i sentimenti della gioia e della rabbia, della tristezza e del dolore. Ciò significa aiutare i soggetti a riconoscere e ad esprimere compiutamente il proprio vissuto. Così come diviene fondamentale evitare atteggiamenti genitoriali volti, nella loro specificità, a dar vita a forme di lassismo e di autoritarismo: si tratta, in definitiva, di stabilire delle regole motivate e razionali, ma anche di attivare dei processi di accompagnamento alla crescita, attraverso i quali far primeggiare il consiglio e il sostegno nelle scelte. Un ponte attraverso il quale ciascun ragazzo si sente tanto aiutato quanto libero di trasmettere quelle che sono le proprie aspettative e i propri timori, le proprie angosce e i propri sogni: il tutto, in un’atmosfera progettuale autonoma, all’interno della quale i desideri dei giovani non devono necessariamente coincidere con le attese dei genitori.
Un contesto di apertura e di comunicazione che chiede alle famiglie stesse di aprirsi, che sollecita a comunicare le proprie ansie e i propri conflitti, attraverso un confronto teso a coinvolgere le associazioni, le parrocchie, i comitati di quartiere e tutti quei soggetti sociali che hanno la voglia e la volontà di porsi in ascolto. Ogni famiglia è così chiamata a condividere con gli altri il proprio vissuto valoriale e di vita. Ad essa spettano spazi e tempi per incontrarsi; luoghi educativi, attraverso i quali poter contrastare l’isolamento e l’indifferenza reciproca. Si tratta, in altre parole, di costruire una dimensione comunitaria affinché alla passività e al disimpegno civile sia contrapposta la cultura della solidarietà e della condivisione. Una forma di intervento sociale che, anche attraverso la presenza di esperti, sia in grado di affrontare positivamente e con finanziamenti adeguati le difficoltà degli adulti e dei minori della nostra regione.☺
a.miccoli@cgilmolise.it
Nella società complessa, che caratterizza ormai il vissuto del nostro stesso Molise, diviene urgente avviare una riflessione approfondita sui processi connessi al ruolo genitoriale.
La famiglia, in primis, nonostante i mutamenti e le sollecitazioni a cui è sottoposta, continua a rimanere un sistema primario di prevenzione e di relazioni complesse: qui, infatti, ogni singolo soggetto vive le sue prime esperienze relazionali; un contesto all’interno del quale la dimensione esperienziale può però racchiudere diverse connotazioni: si può, infatti, conoscere la cura, l’amore e il senso della solidarietà, così come può divenire un luogo di sofferenza, una dimensione costruita attorno a fattori di incomunicabilità, di conflitti esasperati e di violenze fisiche e psicologiche, mentre, ad essa, viene chiesto soprattutto di favorire la nascita di una comunità di persone. Un luogo attraverso il quale i genitori e i figli sono chiamati a costruire dei percorsi di crescita attraverso la nascita di una comunicazione autenticamente aperta all’altro.
Si tratta, in primo luogo, di riconoscere l’uomo nella sua dimensione valoriale: un riconoscimento volto a far acquisire la consapevolezza che l’esperienza maturata dal genitore, come quella acquisita dal figlio, diventano un momento di arricchimento reciproco. Un’azione che assurge a valore soltanto entro una dimensione di ascolto condiviso e di interazione attiva: un luogo ove ciascuno fa dono del tesoro di vita che racchiude in sé. Il rapporto, in tal modo, diviene inter-soggettivo, e reclama, a sua volta, la centralità del singolo: un processo inteso soprattutto come capacità di riflettere su se stessi, di entrare in comunicazione con il proprio mondo interiore. Bisogna, in definitiva, lasciar spazio alla riflessione sulle proprie esperienze, e su ciò che altri hanno comunicato alle nostre vite.
Si tratta di sottrarre spazi di silenzio e di calma ad una dimensione temporale, caratterizzata dalla frenesia del fare e dalla massima colonizzazione e strutturazione dei tempi di vita (dal lavoro alla palestra, dall’inglese ai rientri scolastici, dall’esasperante cura estetica al mito della carriera).
Il senso della competizione pervade la stessa educazione dei figli, tanto che molti si considerano bravi genitori solo se i ragazzi raggiungono buoni risultati negli studi e negli sport. Da qui il rischio stesso di assolutizzare, in chiave radicalmente competitiva, l’intera dinamica connessa all’educazione e alla formazione. Vi è, viceversa, la necessità di dar vita ad un processo educativo equilibrato: un intervento capace nella sua essenza di educare i figli a comunicare i sentimenti della gioia e della rabbia, della tristezza e del dolore. Ciò significa aiutare i soggetti a riconoscere e ad esprimere compiutamente il proprio vissuto. Così come diviene fondamentale evitare atteggiamenti genitoriali volti, nella loro specificità, a dar vita a forme di lassismo e di autoritarismo: si tratta, in definitiva, di stabilire delle regole motivate e razionali, ma anche di attivare dei processi di accompagnamento alla crescita, attraverso i quali far primeggiare il consiglio e il sostegno nelle scelte. Un ponte attraverso il quale ciascun ragazzo si sente tanto aiutato quanto libero di trasmettere quelle che sono le proprie aspettative e i propri timori, le proprie angosce e i propri sogni: il tutto, in un’atmosfera progettuale autonoma, all’interno della quale i desideri dei giovani non devono necessariamente coincidere con le attese dei genitori.
Un contesto di apertura e di comunicazione che chiede alle famiglie stesse di aprirsi, che sollecita a comunicare le proprie ansie e i propri conflitti, attraverso un confronto teso a coinvolgere le associazioni, le parrocchie, i comitati di quartiere e tutti quei soggetti sociali che hanno la voglia e la volontà di porsi in ascolto. Ogni famiglia è così chiamata a condividere con gli altri il proprio vissuto valoriale e di vita. Ad essa spettano spazi e tempi per incontrarsi; luoghi educativi, attraverso i quali poter contrastare l’isolamento e l’indifferenza reciproca. Si tratta, in altre parole, di costruire una dimensione comunitaria affinché alla passività e al disimpegno civile sia contrapposta la cultura della solidarietà e della condivisione. Una forma di intervento sociale che, anche attraverso la presenza di esperti, sia in grado di affrontare positivamente e con finanziamenti adeguati le difficoltà degli adulti e dei minori della nostra regione.☺
Nella società complessa, che caratterizza ormai il vissuto del nostro stesso Molise, diviene urgente avviare una riflessione approfondita sui processi connessi al ruolo genitoriale.
La famiglia, in primis, nonostante i mutamenti e le sollecitazioni a cui è sottoposta, continua a rimanere un sistema primario di prevenzione e di relazioni complesse: qui, infatti, ogni singolo soggetto vive le sue prime esperienze relazionali; un contesto all’interno del quale la dimensione esperienziale può però racchiudere diverse connotazioni: si può, infatti, conoscere la cura, l’amore e il senso della solidarietà, così come può divenire un luogo di sofferenza, una dimensione costruita attorno a fattori di incomunicabilità, di conflitti esasperati e di violenze fisiche e psicologiche, mentre, ad essa, viene chiesto soprattutto di favorire la nascita di una comunità di persone. Un luogo attraverso il quale i genitori e i figli sono chiamati a costruire dei percorsi di crescita attraverso la nascita di una comunicazione autenticamente aperta all’altro.
Si tratta, in primo luogo, di riconoscere l’uomo nella sua dimensione valoriale: un riconoscimento volto a far acquisire la consapevolezza che l’esperienza maturata dal genitore, come quella acquisita dal figlio, diventano un momento di arricchimento reciproco. Un’azione che assurge a valore soltanto entro una dimensione di ascolto condiviso e di interazione attiva: un luogo ove ciascuno fa dono del tesoro di vita che racchiude in sé. Il rapporto, in tal modo, diviene inter-soggettivo, e reclama, a sua volta, la centralità del singolo: un processo inteso soprattutto come capacità di riflettere su se stessi, di entrare in comunicazione con il proprio mondo interiore. Bisogna, in definitiva, lasciar spazio alla riflessione sulle proprie esperienze, e su ciò che altri hanno comunicato alle nostre vite.
Si tratta di sottrarre spazi di silenzio e di calma ad una dimensione temporale, caratterizzata dalla frenesia del fare e dalla massima colonizzazione e strutturazione dei tempi di vita (dal lavoro alla palestra, dall’inglese ai rientri scolastici, dall’esasperante cura estetica al mito della carriera).
Il senso della competizione pervade la stessa educazione dei figli, tanto che molti si considerano bravi genitori solo se i ragazzi raggiungono buoni risultati negli studi e negli sport. Da qui il rischio stesso di assolutizzare, in chiave radicalmente competitiva, l’intera dinamica connessa all’educazione e alla formazione. Vi è, viceversa, la necessità di dar vita ad un processo educativo equilibrato: un intervento capace nella sua essenza di educare i figli a comunicare i sentimenti della gioia e della rabbia, della tristezza e del dolore. Ciò significa aiutare i soggetti a riconoscere e ad esprimere compiutamente il proprio vissuto. Così come diviene fondamentale evitare atteggiamenti genitoriali volti, nella loro specificità, a dar vita a forme di lassismo e di autoritarismo: si tratta, in definitiva, di stabilire delle regole motivate e razionali, ma anche di attivare dei processi di accompagnamento alla crescita, attraverso i quali far primeggiare il consiglio e il sostegno nelle scelte. Un ponte attraverso il quale ciascun ragazzo si sente tanto aiutato quanto libero di trasmettere quelle che sono le proprie aspettative e i propri timori, le proprie angosce e i propri sogni: il tutto, in un’atmosfera progettuale autonoma, all’interno della quale i desideri dei giovani non devono necessariamente coincidere con le attese dei genitori.
Un contesto di apertura e di comunicazione che chiede alle famiglie stesse di aprirsi, che sollecita a comunicare le proprie ansie e i propri conflitti, attraverso un confronto teso a coinvolgere le associazioni, le parrocchie, i comitati di quartiere e tutti quei soggetti sociali che hanno la voglia e la volontà di porsi in ascolto. Ogni famiglia è così chiamata a condividere con gli altri il proprio vissuto valoriale e di vita. Ad essa spettano spazi e tempi per incontrarsi; luoghi educativi, attraverso i quali poter contrastare l’isolamento e l’indifferenza reciproca. Si tratta, in altre parole, di costruire una dimensione comunitaria affinché alla passività e al disimpegno civile sia contrapposta la cultura della solidarietà e della condivisione. Una forma di intervento sociale che, anche attraverso la presenza di esperti, sia in grado di affrontare positivamente e con finanziamenti adeguati le difficoltà degli adulti e dei minori della nostra regione.☺
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