Il mio ciliegio ha più di 20 anni e così bello non l’avevo visto mai. Aprile ha appena finito il suo lavoro di vestizione: la chioma di abbagliante candore è una nuvola impigliata tra i rami, il tronco, qua e là screziato da tenero verde, è adorno di perle di resina ambrata, ai piedi è steso un intaglio di ombra leggera. Ho interrotto ogni da fare e mi ci sono seduta di fronte in silenzio e solitudine. Ci guardiamo a lungo estasiati entrambi: io dalla sua magnificenza, lui dalla mia meraviglia. Per me esso è un segno sacramentale: evoca un Altro, rimanda a un oltre. Gioia mista a malinconia sembrano accompagnare il suo splendore: forse già domani i suoi delicati, incontabili fiori si disferanno al vento e cadranno dall’alto come neve da un cielo invernale che si posa a imbiancare la terra.
I giapponesi, la cui cultura è fortemente simbolica, trovano nella fioritura dei ciliegi una sublimazione dell’esperienza della vita, della sua caducità, della sua sfuggente bellezza: è il loro hanami che consiste nell’ammirare per ore e ore i fiori e soprattutto il commovente cadere dei loro petali trasportati dalla brezza primaverile nel breve viaggio che li separa dal freddo suolo; un modo dolce e un po’ triste per ricordare che il tempo scorre e che tutto è in continuo fluire: piante, stelle, noi…
Ho già versato abbastanza parole e torno in me in profonda gratitudine per ciò che ho visto, per ciò su cui ho riflettuto: accettare la natura effimera, transitoria delle cose, il loro fatale finire; affrontare i cambiamenti e le inevitabili perdite.
Il mio ciliegio ha più di 20 anni e così bello non l’avevo visto mai. Aprile ha appena finito il suo lavoro di vestizione: la chioma di abbagliante candore è una nuvola impigliata tra i rami, il tronco, qua e là screziato da tenero verde, è adorno di perle di resina ambrata, ai piedi è steso un intaglio di ombra leggera. Ho interrotto ogni da fare e mi ci sono seduta di fronte in silenzio e solitudine. Ci guardiamo a lungo estasiati entrambi: io dalla sua magnificenza, lui dalla mia meraviglia. Per me esso è un segno sacramentale: evoca un Altro, rimanda a un oltre. Gioia mista a malinconia sembrano accompagnare il suo splendore: forse già domani i suoi delicati, incontabili fiori si disferanno al vento e cadranno dall’alto come neve da un cielo invernale che si posa a imbiancare la terra.
I giapponesi, la cui cultura è fortemente simbolica, trovano nella fioritura dei ciliegi una sublimazione dell’esperienza della vita, della sua caducità, della sua sfuggente bellezza: è il loro hanami che consiste nell’ammirare per ore e ore i fiori e soprattutto il commovente cadere dei loro petali trasportati dalla brezza primaverile nel breve viaggio che li separa dal freddo suolo; un modo dolce e un po’ triste per ricordare che il tempo scorre e che tutto è in continuo fluire: piante, stelle, noi…
Ho già versato abbastanza parole e torno in me in profonda gratitudine per ciò che ho visto, per ciò su cui ho riflettuto: accettare la natura effimera, transitoria delle cose, il loro fatale finire; affrontare i cambiamenti e le inevitabili perdite.
Il mio ciliegio ha più di 20 anni e così bello non l’avevo visto mai. Aprile ha appena finito il suo lavoro di vestizione: la chioma di abbagliante candore è una nuvola impigliata tra i rami, il tronco, qua e là screziato da tenero verde, è adorno di perle di resina ambrata, ai piedi è steso un intaglio di ombra leggera. Ho interrotto ogni da fare e mi ci sono seduta di fronte in silenzio e solitudine. Ci guardiamo a lungo estasiati entrambi: io dalla sua magnificenza, lui dalla mia meraviglia. Per me esso è un segno sacramentale: evoca un Altro, rimanda a un oltre. Gioia mista a malinconia sembrano accompagnare il suo splendore: forse già domani i suoi delicati, incontabili fiori si disferanno al vento e cadranno dall’alto come neve da un cielo invernale che si posa a imbiancare la terra.
I giapponesi, la cui cultura è fortemente simbolica, trovano nella fioritura dei ciliegi una sublimazione dell’esperienza della vita, della sua caducità, della sua sfuggente bellezza: è il loro hanami che consiste nell’ammirare per ore e ore i fiori e soprattutto il commovente cadere dei loro petali trasportati dalla brezza primaverile nel breve viaggio che li separa dal freddo suolo; un modo dolce e un po’ triste per ricordare che il tempo scorre e che tutto è in continuo fluire: piante, stelle, noi…
Ho già versato abbastanza parole e torno in me in profonda gratitudine per ciò che ho visto, per ciò su cui ho riflettuto: accettare la natura effimera, transitoria delle cose, il loro fatale finire; affrontare i cambiamenti e le inevitabili perdite.
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