senza cognizione di causa
13 Aprile 2010 Share

senza cognizione di causa

 

Caro ministro Gelmini,

complimenti. Almeno un obiettivo l’ha centrato in pieno e subito: la conquista di una popolarità mediatica di tutto rispetto. Chi aveva fin ora intravisto sui quotidiani, sui settimanali, sul web, solo una pallida e sfocata trentacinquenne in castigato tailleur, ora ha di certo acquisito una indiscutibile familiarità con quel sorriso da prima della classe, la montatura lilla (o blu? Dipende dalle inquadrature…), il capello adeguatamente curato e adagiato sulle spalle. Magari in posa in mezzo a una folla di ignari bambini coinvolti in qualche foto di gruppo stile “famiglia felice”, che poco sanno – nulla, per la precisione – del grigio futuro disegnato per loro dal suo decreto legge.

Lei che ha persino denunciato una loro “strumentalizzazione” quando alcuni nostri colleghi hanno “festeggia- to” la riapertura di quest’anno scolastico con un segno di lutto al braccio. Mi dispiace che l’abbiano scandalizzata ma… mi aggiorni: la libertà di manifestazione del proprio pensiero oggi si chiama così? O forse le fanno rabbia quelle persone che un pensiero ce l’hanno, lo esercitano come un diritto con dignità, e non si lasciano trattare come burattini appesi a un filo e mossi dalle abili mani di un Mangiafuoco?

Caro ministro, mi aiuti a rispondere a certe domande che da un po’ di tempo mi prudono e forse fanno dormire meno tranquilli e più arrabbiati tanti miei giovani e meno giovani colleghi: innanzitutto mi chiedo da quanto tempo lei non mette piede in un’aula scolastica. Scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di I o II grado… faccia lei, poco importa. Ciò che conta è la distanza siderale che, intuisco forse maliziosamente, la separa dalla vita della scuola pubblica – duramente e orgogliosamente pubblica, ministro -, la vita reale, autentica.

Quella dove ogni giorno si scivola sul pavimento per la condensa, nei giorni di pioggia; quella dove ogni giorno si entra in classe da docenti e poi – come i migliori trasformisti – ci si tramuta in sociologi, psicologi, logopedisti, pedagogisti, mamme e papà. Quella dove le fotocopie per quel bell’approfon- dimento che avevo programmato non le posso fare perché il toner e le risme sembra costino più di un trilogy alla segreteria.

Quella dove le lavagne luminose, i computer, i videoproiettori, gli strumenti compensativi per la disabilità e i disturbi dell’apprendimento (sa quella cosa che si chiama dislessia, tanto per fare un esempio?)… insomma tutte queste leccornie sono tentata di chiederle alla befana per il prossimo Natale.

Quella dove la collaborazione con figure specializzate per un approccio ed un intervento sistemico ai problemi degli alunni (sul piano cognitivo, relazionale, comportamentale) siamo costretti a sognarla come una bimba agogna una bambola nuova.

Quella dove i programmi e i contenuti sono obsoleti, poco agganciati alle competenze che il mondo là fuori esige, del tutto chiusi – salvo qualche sporadico, isolato e malconcio tentativo di progetto extracurriculare sganciato dal resto – ad una educazione e ad una mentalità interculturale, aperta, libera, capace di guardare appena più in là del proprio naso etnocentrico.

Quella in cui col bullo – faticosamente, tra la frustrazione di tutte le sfide difficili e l’amore che solo un insegnante sa avere e conservare per uno che le smonta la classe, la minaccia e le si rivolta quotidianamente contro – si cerca di instaurare un dialogo, di aprire un rapporto di corresponsabilità, una relazione di aiuto. Ma l’ha sentito dire da qualche parte, ministro, che il bullo è una vittima e che, per quanto indigesti siano, i comportamenti “indisciplinati” vanno affrontati come una piaga – di natura individuale e collettiva – che richiede risposte e interventi di ampio respiro, non di corte e sbrigative e vedute come lo spauracchio del voto in condotta? Ma mi dica, in confidenza: lei crede davvero che basti, ad un giovane problematico, il timore di un cinque in quella casellina della pagella? Senza tener conto che per molti diventa una sfida, se il rispetto delle regole non viene insegnato come un valore. Comportarsi “bene” dev’essere il frutto della paura? O forse un espediente per la promozione? Mi lasci il beneficio del dubbio, e se lo conceda anche lei.

Via, signorina Maria Stella Gelmini, che mi combina di fronte a questa scuola, ricca solo della passione, della dedizione e dell’incurabile manìa del volontariato di una truppa di insegnanti malpagati e bistrattati? Mi viene a parlare – anzi ci fa sopra un decretino di fine estate – di maestro unico (così, sotto i bei discorsi della “figura di riferimento unica” per i bambini, nascondiamo lo scempio di decine di migliaia di tagli, è vero? Nonché l’impoverimento di qualifiche specialistiche per le maestre), di educazione civica (non mi ricordo come la chiama lei, ma insomma tutti sappiamo di cosa si tratta. Ma perché ogni legislatura le dà un nome diverso? Credete di darvi un tono in questo modo? Noi la insegniamo da una vita, sa? E’ solo che vorremmo un monte-ore più elevato, perché non possiamo fare i funamboli e spremere come un limone quelle poche che ci ha lasciato Letizia Moratti), di voti decimali alle elementari e alle medie (numeri! Ecco la soluzione alla lunga serie di problemi di cui sopra! Ma come abbiamo fatto a non pensarci prima?), di voto in condotta (pregasi rileggere velocemente quanto scritto a proposito dei bulli e compagni).

Lei mi viene a offendere i docenti del Mezzogiorno, poi si rimangia quello che ha detto, poi aggiunge che sono gli esiti delle prove Invalsi ad attribuire risultati più scadenti agli alunni del sud e che dunque sarà bene fornire loro “degli eserciziari” per “aiutarli a superare quei test”. Eserciziari, ministro? E perché non qualche bignamino di antica memoria? E perché non un bel tascabile di temi svolti? Signorina Gelmini, ma lei si rende conto di ciò che dice o chi la imbecca è tanto potente da non poter essere contraddetto? Voglio dire… Se è farina del suo sacco è grave – perché l’incompetenza lascia sgomenti – , ma se non lo è, lei ci perde anche la dignità.

Mi fermo qui. Basta così.

Noi insegnanti siamo abituati a lavorare quasi gratis, ma questo non ci qualifica come gli scemi del villaggio sa? Forse la sinistra non ha detto nulla di sinistra di fronte alle sue scempiaggini, forse questo silenzio, a pensarci bene, sta diventando un po’ assordante e un ministro come lei la sinistra se lo merita quasi. Ma chissà: magari impareremo a difenderci da soli, magari i sindacati ci aiuteranno a non tacere, a compattarci indignati. Forse non ci limiteremo alle solite assemblee stile-rionale, con uno che parla nel mormorìo generale, molti che arrivano in ritardo, la maggior parte che non arriva proprio. Forse lei ci aiuterà a recuperare, senza volerlo, un briciolo di quella dignità professionale che, se non è cara a noi, non può essere tutelata da un ministro che ha messo piede nella scuola, l’ultima volta, in occasione dei suoi esami di maturità (lasciamo perdere le foto di gruppo eh?). E a quel punto la dovremo pure ringraziare.

Auguri di buon anno scolastico. A chi non ha intenzione di mollare. ☺

gadelis@libero.it

 

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