Vogliamo segnalare una pronuncia della Suprema Corte (Cassazione n. 1893 del 30 gennaio 2007) che, benché un po’ datata, inquadra perfettamente la questione qualificatoria in ordine all’annosa distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e rapporto di lavoro subordinato.
Nel caso di specie la Corte ha confermato le precedenti sentenze di merito che avevano considerato quali lavoratori subordinati gli “oltre 500 collaboratori” di cui una società si era avvalsa nel ruolo di hostess congressuali, nonostante il contratto formalmente stipulato tra le parti indicasse la natura autonoma della prestazione.
Nel respingere il ricorso promosso dal datore di lavoro, la Corte ha avuto modo di indugiare sull’elencazione dei criteri utilizzati dai Tribunali di merito per definire le controversie sulla sussistenza o meno del vincolo di subordinazione. In particolare, viene sconfessata la formula ormai tralatizia secondo cui l’elemento che assume “la funzione di parametro normativo di individuazione della natura subordinata del rapporto stesso, è il vincolo di soggezione personale del lavoratore – che necessita della prova di idonei indici rivelatori, incombente sullo stesso lavoratore – al potere organizzativo direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale”. Quindi l’elemento della c.d. eterodeterminazione – secondo l’impostazione oggetto di rivisitazione da parte della Cassazione – si manifesta nel vincolo di soggezione al potere datoriale di natura organizzativa, direttiva e disciplinare.
Non viene preso in considerazione – nella pronuncia – neanche il metodo alternativo a quello sin ora esposto, al quale si ricorre di solito quando non vi è la possibilità di provare direttamente l’esercizio dei tipici poteri datoriali e la conseguente soggezione si evince da una serie di elementi indiziari (l’inserimento nella struttura gerarchica e/o organizzativa e/o produttiva dell’azienda, il vincolo ad un orario di lavoro fisso e predeterminato dal datore di lavoro, la corresponsione di una retribuzione mensile fissa e non commisurata al risultato della prestazione, le modalità di esecuzione e la tipologia delle prestazioni lavorative, l’assenza di rischio economico in capo al lavoratore) che, seppure hanno natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire gli indici rivelatori complessivamente considerati attraverso i quali diviene evidente nel caso concreto l’essenza del rapporto, e cioè la subordinazione, mediante una valutazione non atomistica ma complessiva delle risultanze processuali.
Il criterio adoperato nel caso di specie, che rappresenta la vera innovazione – è rappresentato dal fatto che la sussistenza della subordinazione – in particolare di hostess congressuali, che hanno, come è noto, un’ampia autonomia nello svolgimento delle prestazioni lavorative – può essere rivelata anche in presenza di direttive di massima, purché queste risultino funzionali e strumentali ai fini economici dell’impresa.
Tale lettura appare volta all’individuazione del vincolo della subordinazione per i casi sempre più numerosi in cui il potere direttivo, generalmente ritenuto il criterio tipico del lavoro subordinato, non può più dare risposte univoche in tema di qualificazione, considerata l’evoluzione dei sistemi di organizzazione del lavoro.
Da un punto di vista generale, in ogni caso, non vi è dubbio che se prendesse campo tale orientamento, numerose forme di collaborazione “ai margini della subordinazione” potrebbero effettivamente essere ricondotte più agevolmente nell’alveo del lavoro dipendente. ☺
marx73@virgilio.it
Vogliamo segnalare una pronuncia della Suprema Corte (Cassazione n. 1893 del 30 gennaio 2007) che, benché un po’ datata, inquadra perfettamente la questione qualificatoria in ordine all’annosa distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e rapporto di lavoro subordinato.
Nel caso di specie la Corte ha confermato le precedenti sentenze di merito che avevano considerato quali lavoratori subordinati gli “oltre 500 collaboratori” di cui una società si era avvalsa nel ruolo di hostess congressuali, nonostante il contratto formalmente stipulato tra le parti indicasse la natura autonoma della prestazione.
Nel respingere il ricorso promosso dal datore di lavoro, la Corte ha avuto modo di indugiare sull’elencazione dei criteri utilizzati dai Tribunali di merito per definire le controversie sulla sussistenza o meno del vincolo di subordinazione. In particolare, viene sconfessata la formula ormai tralatizia secondo cui l’elemento che assume “la funzione di parametro normativo di individuazione della natura subordinata del rapporto stesso, è il vincolo di soggezione personale del lavoratore – che necessita della prova di idonei indici rivelatori, incombente sullo stesso lavoratore – al potere organizzativo direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale”. Quindi l’elemento della c.d. eterodeterminazione – secondo l’impostazione oggetto di rivisitazione da parte della Cassazione – si manifesta nel vincolo di soggezione al potere datoriale di natura organizzativa, direttiva e disciplinare.
Non viene preso in considerazione – nella pronuncia – neanche il metodo alternativo a quello sin ora esposto, al quale si ricorre di solito quando non vi è la possibilità di provare direttamente l’esercizio dei tipici poteri datoriali e la conseguente soggezione si evince da una serie di elementi indiziari (l’inserimento nella struttura gerarchica e/o organizzativa e/o produttiva dell’azienda, il vincolo ad un orario di lavoro fisso e predeterminato dal datore di lavoro, la corresponsione di una retribuzione mensile fissa e non commisurata al risultato della prestazione, le modalità di esecuzione e la tipologia delle prestazioni lavorative, l’assenza di rischio economico in capo al lavoratore) che, seppure hanno natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire gli indici rivelatori complessivamente considerati attraverso i quali diviene evidente nel caso concreto l’essenza del rapporto, e cioè la subordinazione, mediante una valutazione non atomistica ma complessiva delle risultanze processuali.
Il criterio adoperato nel caso di specie, che rappresenta la vera innovazione – è rappresentato dal fatto che la sussistenza della subordinazione – in particolare di hostess congressuali, che hanno, come è noto, un’ampia autonomia nello svolgimento delle prestazioni lavorative – può essere rivelata anche in presenza di direttive di massima, purché queste risultino funzionali e strumentali ai fini economici dell’impresa.
Tale lettura appare volta all’individuazione del vincolo della subordinazione per i casi sempre più numerosi in cui il potere direttivo, generalmente ritenuto il criterio tipico del lavoro subordinato, non può più dare risposte univoche in tema di qualificazione, considerata l’evoluzione dei sistemi di organizzazione del lavoro.
Da un punto di vista generale, in ogni caso, non vi è dubbio che se prendesse campo tale orientamento, numerose forme di collaborazione “ai margini della subordinazione” potrebbero effettivamente essere ricondotte più agevolmente nell’alveo del lavoro dipendente. ☺
Vogliamo segnalare una pronuncia della Suprema Corte (Cassazione n. 1893 del 30 gennaio 2007) che, benché un po’ datata, inquadra perfettamente la questione qualificatoria in ordine all’annosa distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e rapporto di lavoro subordinato.
Nel caso di specie la Corte ha confermato le precedenti sentenze di merito che avevano considerato quali lavoratori subordinati gli “oltre 500 collaboratori” di cui una società si era avvalsa nel ruolo di hostess congressuali, nonostante il contratto formalmente stipulato tra le parti indicasse la natura autonoma della prestazione.
Nel respingere il ricorso promosso dal datore di lavoro, la Corte ha avuto modo di indugiare sull’elencazione dei criteri utilizzati dai Tribunali di merito per definire le controversie sulla sussistenza o meno del vincolo di subordinazione. In particolare, viene sconfessata la formula ormai tralatizia secondo cui l’elemento che assume “la funzione di parametro normativo di individuazione della natura subordinata del rapporto stesso, è il vincolo di soggezione personale del lavoratore – che necessita della prova di idonei indici rivelatori, incombente sullo stesso lavoratore – al potere organizzativo direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale”. Quindi l’elemento della c.d. eterodeterminazione – secondo l’impostazione oggetto di rivisitazione da parte della Cassazione – si manifesta nel vincolo di soggezione al potere datoriale di natura organizzativa, direttiva e disciplinare.
Non viene preso in considerazione – nella pronuncia – neanche il metodo alternativo a quello sin ora esposto, al quale si ricorre di solito quando non vi è la possibilità di provare direttamente l’esercizio dei tipici poteri datoriali e la conseguente soggezione si evince da una serie di elementi indiziari (l’inserimento nella struttura gerarchica e/o organizzativa e/o produttiva dell’azienda, il vincolo ad un orario di lavoro fisso e predeterminato dal datore di lavoro, la corresponsione di una retribuzione mensile fissa e non commisurata al risultato della prestazione, le modalità di esecuzione e la tipologia delle prestazioni lavorative, l’assenza di rischio economico in capo al lavoratore) che, seppure hanno natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire gli indici rivelatori complessivamente considerati attraverso i quali diviene evidente nel caso concreto l’essenza del rapporto, e cioè la subordinazione, mediante una valutazione non atomistica ma complessiva delle risultanze processuali.
Il criterio adoperato nel caso di specie, che rappresenta la vera innovazione – è rappresentato dal fatto che la sussistenza della subordinazione – in particolare di hostess congressuali, che hanno, come è noto, un’ampia autonomia nello svolgimento delle prestazioni lavorative – può essere rivelata anche in presenza di direttive di massima, purché queste risultino funzionali e strumentali ai fini economici dell’impresa.
Tale lettura appare volta all’individuazione del vincolo della subordinazione per i casi sempre più numerosi in cui il potere direttivo, generalmente ritenuto il criterio tipico del lavoro subordinato, non può più dare risposte univoche in tema di qualificazione, considerata l’evoluzione dei sistemi di organizzazione del lavoro.
Da un punto di vista generale, in ogni caso, non vi è dubbio che se prendesse campo tale orientamento, numerose forme di collaborazione “ai margini della subordinazione” potrebbero effettivamente essere ricondotte più agevolmente nell’alveo del lavoro dipendente. ☺
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