paura liquida
22 Marzo 2010 Share

paura liquida

 

Quando concepimmo una possibile accoglienza per chi soffriva a causa di dipendenze o di disagi familiari, oppure quando progettammo “la convivialità delle differenze” a sostegno dei detenuti, in particolare immigrati, ci ponemmo il problema dell’emarginazione oggi, in un clima di insicurezza diffusa e di paura liquida, ma ci sembrava che fossero soprattutto gli altri a rischio di emarginazione. Quando però si sente, sulla propria pelle, che cosa significa essere additati come diverso, come fastidio, come ostacolo alla sicurezza ed alla tranquillità, allora ci si rende conto di quanto debba far male quella sofferenza subìta da chi non ha diritti.

Forse il mostro che rappresentava “il nulla” del famoso romanzo sceneggiato nella fortunata serie di “Fantasia” è arrivato. Un “nulla” che si alimenta di un ridimensionamento del senso e dell’importan- za della cultura, ma soprattutto di una contrazione del senso e del rispetto per la dignità della persona.

Fatichi a credere che ci si possa scagliare proprio contro di te con le stesse argomentazioni, la minaccia alla sicurezza, che vengono utilizzate con altre persone in quanto categorie della paura. Ho assistito a scene surreali in cui la corsa semplicistica all’eliminazione dell’altro, solo perché diverso, o perché svolge un’attività professionale normalissima all’interno di un condominio, e per ciò stesso fastidiosa in quanto foriera di potenziali rischi, fa scattare istinti che trasformano brave ed innocue persone in masse impaurite e facilmente fomentabili.

Pochi si soffermano sulla direzione verso cui è diretta quella strada della negazione del dialogo e della relazione. Basterebbe un semplice: “mi da fastidio… potrebbe cortesemente porvi rimedio?” Invece si ricorre ad amministratori che alimentano conflitti e ad avvocati che acuiscono litigi invece di gestirli con senso di accoglienza e lungimiranza.

Uno spaccato dell’Italia, quella dei microcosmi familiari o condominiali, che angoscia, preoccupa. Vien voglia di gridare: “fermatevi, riflettete con la vostra testa, confrontiamoci, avviamo una possibile soluzione”. Ed invece si oltrepassa, in poco tempo, quella sottile linea tra l’accoglienza ed il rifiuto. Si diventa bersagli di un malessere diffuso che vorremmo fuori di noi.

Quando questa strategia la applichiamo ai microcosmi o alla collettività, si instaurano vere e proprie violenze di gruppo sugli indesiderabili, i vulnerabili, i diversi. Per chi la subisce è un incubo perché si respira la bruciante ostilità degli altri. Ci si rende conto di come i diritti che la Costituzione sancisce vengano disattesi e, nel caso in specie, che questa “non è più una Repubblica fondata sul lavoro”. Il lavoro è stato esiliato come un nemico che non deve varcare la soglia della nostra sicurezza e tranquillità.

Sono testimone di situazioni in cui persone che convivono nello stesso spazio ritraggono la mano pur di non salutarti appena scoprono che potrebbero toccare il proprio “nemico”.

Un “Grande fratello” o una “Talpa” in cui con un sì o un no si gioca ad eliminare il prossimo, illudendosi che non ci sia nulla di personale, ma che tutto è rivolto alla categoria o a dati oggettivi, come se dietro le categorie non ci fossero uomini e donne fatti di carne ed ossa. E qui si apre un capitolo enorme di possibili risposte, tra le quali prediligo quella della nonviolenza.

Ti vien voglia di reagire con forza, ma ti accorgi che le forze ti stanno lasciando e che ti sovrasta una stanchezza che anela riposi improbabili o fughe pericolose.

“Non affliggetevi come quelli senza speranza”, è la frase di S. Paolo, scritta sulla lapide di mio padre ove ritorno per risentirla come parole che il mio amato mi sussurra ancora oggi. Mi danno una forza d’animo o una resilienza che toccano ogni parte del mio corpo, psiche e spirito. Non mi sento più forte, ma non sento più la forza invincibile dei “nemici”.

Vorrei vivere in pace e mi rendo conto che solo la verità, la libertà, la giustizia e l’amore conducono ad essa. Quando le persone si stancano di percorrere tali sentieri e scelgono le “discese” della semplificazione, dell’irrazionalità e dell’incomuni- cabilità, allora sinistri ricordi affollano la mente ed hai voglia di abbracciare qualcuno per dirgli che esiste un’altra strada impervia, ma più “alta” che è quella dei diritti che accolgono, promuovono, sostengono e creano le opportunità senza calpestare, ma rispettando la dignità inviolabile di ogni persona. ☺ adelellis@virgilio.it

 

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