l’acqua e il debito   di Antonio De Lellis
1 Dicembre 2011 Share

l’acqua e il debito di Antonio De Lellis

 

Le recenti manovre finanziarie, sulla spinta di quanto imposto dall’Europa, hanno riproposto l’obbligatorietà delle privatizzazioni dei servizi pubblici locali, come condizione per poter accedere a fondi di investimento in deroga ai patti di stabilità. Insomma, se vuoi asfaltare una strada e non te lo puoi permettere, perché non rispetti il patto di stabilità, privatizza un servizio pubblico e lo Stato centrale ti dà in dote l’accesso a fondi di investimento. Perché tutto questo? Perché il debito pubblico – dicono- , che è composto anche dai Municipi e da tutti i servizi erogati, incluso quello idrico, è troppo elevato. Ma i servizi non vengono erogati dietro pagamento di tariffe? E non sono in regime di monopolio naturale ovvero io non posso scegliere la tubazione o l’acqua e neanche la ditta per la raccolta dei rifiuti, perché è la stessa per tutta la città? Ascoltatemi una volta per tutte!

Tutte le volte che vogliono “darcela da bere” con la favola che l’acqua è un debito è perché qualcuno vuole arricchirsi con le nostre risorse naturali, mentre sono proprio queste che possono costituire per i Municipi quelle miniere di risorse finanziarie mai così necessarie in tempi di tagli lineari. E poi gli italiani non si erano espressi, con i recenti Referendum, per la non obbligatorietà delle privatizzazioni dei servizi pubblici locali? La volontà popolare conta ancora qualcosa o viene utilizzata solo per sostenere, con molta solennità, la tesi secondo la quale “un governo è legittimato in quanto espresso dalla sovranità popolare”?

Proviamo a capirci di più. Il Patto di stabilità e crescita (PSC) è un accordo stipulato dai paesi membri dell'Unione Europea, inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all'Unione Economica e Monetaria europea (Eurozona). Insomma quando decisero per l’introduzione dell’Euro si accordarono su come non spendere e indebitarsi troppo. Da più parti si è sottolineata l'eccessiva rigidità del Patto. Molti critici affermano, poi, che il PSC non promuoverebbe né la crescita né la stabilità. Ma diamo qualche concetto. Il deficit o disavanzo pubblico è l'ammontare della spesa pubblica non coperta dalle entrate. Mentre il surplus di PIL è l’incremento rispetto all’anno precedente. Quando divido il deficit (-) per il surplus annuo rispetto al PIL ottengo un dato negativo che non dovrebbe superare (per l’Euro) il -3%. L’Italia attualmente è al -4,6%, la Francia è al -7%, l’Irlanda è al -32,4%, la Grecia al -10,5%, la Spagna al -9.2%, la Germania al -3,3%. Per debito pubblico si intende il debito dello Stato nei confronti di altri soggetti, individui, imprese, banche o stati esteri, che hanno sottoscritto un credito allo Stato sotto forma di obbligazioni o titoli di stato (quali BOT, BTP, CCT) destinate a coprire il disavanzo del fabbisogno finanziario statale oppure coprire l'eventuale deficit pubblico nel bilancio dello Stato. La presenza di un debito nei conti pubblici statali impone la necessità, da parte dello Stato, oltre alla sua copertura finanziaria nei tempi e modalità di scadenza prestabilite dai titoli stessi, di tenerlo sotto controllo per non cadere nel rischio insolvenza ovvero fallimento dello stesso. Il rapporto tra debito pubblico e PIL in Italia è al 119%, il più alto d’Europa. In periodi di crescita bassa (PIL sotto 1%) l’indice tende a peggiorare.

In generale dunque per la riduzione della crescita del debito si può agire puntando sul risanamento dei conti pubblici attraverso tagli, entrate con prelievo fiscale, privatizzazioni di enti pubblici, ecc. In alternativa si può finanziare il debito con il debito ovvero con l'emissione di nuovi titoli di stato con l'inconveniente però di aumentarne il rendimento atteso dal finanziatore/investitore e quindi la spesa per interessi. Tutto questo è aggravato se la guida degli Stati è inaffidabile perché allora la speculazione (buona  e cattiva) si accanisce, si libera dei Titoli statali e in cambio bisogna promettere rendimenti elevati. In questo quadro è necessario stabilire cosa sono i beni comuni (finanza globale, istruzione, salute, alimentazione e acqua, casa, accoglienza della vita, ambiente salvaguardato, giustizia equa, informazione libera, energia pulita, ecc.) e che il lavoro è il modo concreto in cui contribuiamo al bene comune. Quando i beni comuni sono gestiti senza sprechi e per il bene dei destinatari, non sono debiti, ma diritti umani universali ed inalienabili che necessitano di una democrazia partecipata. Tutto il resto  lo possiamo tagliare (spesa politica in eccesso, compreso il costo del voto di scambio ed il costo di nomine che modellano i servizi essenziali, stipendi e pensioni troppo alte, spese militari per false azioni umanitarie, ecc).

Abbiamo bisogno di avviare questo percorso che si chiama di “costituzione civile” senza il quale rischiamo di perdere le vie della civiltà. Nessun “governo di professori” ci potrà restituire quello che noi stessi abbiamo smarrito: il senso della vera politica.☺

adelellis@virgilio.it

 

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