ninna nanna per elvio
21 Marzo 2010 Share

ninna nanna per elvio

 

Se si riuscisse davvero a pensare ad altro, a concentrarsi su qualche tema, problema, urgenza, provocazione che non appartenga a quel viso, questa rubrica mensile avrebbe un altro titolo e un altro contenuto. Uno spazio che vuole timidamente affacciarsi sull’educazione ai diritti umani non ha che da districarsi, mese per mese, in una selva fittissima di notizie, allarmi, stimoli, denunce, buone pratiche, proposte.

Ma lasciate che vi dica, cari lettori, che gli occhi di Elvio non mi lasciano in pace, e credo che non me ne vorrete se – forse in maniera terapeutica, cioè nel modo in cui spesso utilizzo la scrittura – è a lui che dedico queste righe, oggi. D’altra parte di quale diritto, se non quello alla vita, è stato privato quello studente? E quale diritto, se non quello alla sicurezza, è stato seppellito insieme alle macerie la notte del 6 aprile scorso?

Nelle prime, convulse ore del post-sisma – quando a un passo dall’alba, noi incollati al televisore, la nebbia confusa delle prime notizie frammentarie si diradava in modo sempre più inquietante lasciando il posto ad un dramma di proporzioni inimmaginabili – mi chiedevo con lo sgomento e la rabbia dell’ennesima carneficina italiana: ma perché non dev’essere questa l’ora della polemica? Ma perché non deve alzarsi subito, indignata e accorata, la denuncia? Ma perché bisogna continuare a illudere la gente che siano i terremoti – e non l’imprevidenza, la superficialità, la corruzione degli uomini e delle istituzioni – a uccidere uno studente nel fiore degli anni e delle speranze, una mamma col suo bimbo, un papà di famiglia, una suora che fa scudo ai piccoli ospiti di una casa famiglia? Ma perché non li aboliamo questi funerali di stato, in cui le vittime vengono omaggiate – e stavolta con lodevole talento teatrale del premier, commosso e turbato quanto un consumato attore non saprebbe essere – proprio da chi le ha lasciate morire?

E intanto le ore passano e la speranza si aggrappa a quelle mani che scavano senza sosta tra le pietre, i calcinacci, i blocchi di cemento: qualcuno viene estratto, vivo, applausi, commozione. Qualcuno non ce la fa, si cominciano a contare i dispersi. Le vittime prendono forma, cominciano ad avere nomi, volti.

Lo strazio è per tutti, ma forse non a torto questo verrà ricordato come il terremoto “degli studenti”, come quello del 31 ottobre 2002 resterà per sempre quello dei bambini: grappoli di ragazzi dai volti sorridenti, che sono andati a studiare a L’Aquila dalle regioni più povere d’Italia, e che stanno per tornare a casa alla vigilia delle vacanze di Pasqua. Molti sono ancora lì, qualcuno si attarda un paio di giorni per sbrigare una pratica, qualcun altro per fare un esame, affacciarsi in segreteria per quella faccenda, salutare meglio gli amici. Qualcuno sta dormendo già, alle 3.32 del 6 aprile, qualcun altro ha appena lasciato face book e forse circola per casa con un bicchiere d’acqua. Gli stessi che, poco tempo prima, avevano alzato la voce, chiesto di far luce su quelle crepe che al quarto piano della Casa dello studente li avevano impensieriti, ed erano stati rassicurati: è tutto a posto, ragazzi, e poi gli aquilani sono abituati a questi sciami, tornate a dormire.

Elvio, Danilo, Vittorio, e gli altri. Chi non li conosceva, ora porta nel cuore un lutto privato, personale, intimo. Elvio, Danilo, Vittorio, e gli altri: i figli di tutti, i fratelli di tutti, i fidanzati di tutti. Il terremoto è di tutti, come sempre, come gli altri. Questo, forse, più degli altri, perché dopo le 27 bare di S. Giuliano ciascuno si era illuso che dare un senso alla scomparsa di quei piccini significasse pagare per l’ultima volta l’incuria degli uomini. Ma quella casa dello studente, quella cupola sventrata, quell’ospedale a pezzi, le occhiaie vuote e macabre di quelle case, i cumuli di cemento e sabbia, le mura sbriciolate da cui spuntano libri, scarpe, stufe, lampade, ci dicono che non è andata così. Il malgoverno degli ultimi cinquant’anni, che non ha mai dato la priorità ad un serio piano di investimenti per la prevenzione e la messa in sicurezza, è continuato nelle amministrazioni di tutti i colori, e le norme antisismiche – che pure ci sono – vengono rinviate, trascurate, dimenticate, violate. Il commosso premier non ha detto l’unica cosa che doveva dire e che lo avrebbe reso tollerabile agli occhi degli italiani: e cioè che i colpevoli saranno trovati, che i responsabili – a tutti i livelli – dovranno pagare.

Una Pasqua mesta, silenziosa, questa del 2009. Un ritorno al lavoro faticoso, sgomento, con un magone nel cuore che la quotidianità non riesce a ridimensionare. Anche una risata suona stonata, l’uovo di Pasqua si apre solo per i bambini di casa, si spizzica una briciola di cioccolato ma senza golosità, quasi per dovere.

Su YouTube, l’altro ieri, trovo un filmato dedicato ad Elvio, una ninna-nanna tenera, mentre scorrono le immagini che nessuno avrebbe voluto vedere. Piango. Non conosco la sua voce eppure ho l’impressione di aver perso un amico.

Fra non molto, fra troppo poco, le luci si spegneranno sull’ennesima tragedia italiana, sull’ennesimo lutto nazionale. Non dimentichiamo, non andiamo in vacanza insieme al calendario. L’estate è vicina, ma allontaniamoci dal pericolo del dimenticatoio. Non cadiamo nella trappola del torpore. Lasciamoci svegliare ancora, nel cuore della notte, da una scossa violenta, che non lascia dormire e costringe a correre per strada: come ha scritto, mirabilmente, il nostro direttore in un augurio pasquale, la “speranza indignata” si faccia memoria operosa, solidarietà, coraggio, denuncia. Si faccia impegno. ☺

gadelis@libero.it

 

eoc

eoc