La voce della dottoressa Selay Ghaffar da Kabul suona piena di rabbia: «Da oggi le donne afgane possono essere stuprate. A patto che a farlo sia il marito. Questo dice la legge che è stata firmata dal presidente Karzai. Ma noi non lo permetteremo. È contrario ai principi sanciti nella Costituzione. È contrario ai principi dei trattati internazionali sottoscritti dall´Afghanistan. È contrario a tutto quello in cui crediamo». I peggiori incubi che qualche settimana fa le donne afgane raccontavano nelle vie di Kabul sono diventati realtà ieri e chi, come Selay, ha combattuto tutta la vita contro abusi e discriminazioni, in queste ore non può ancora crederci. Il presidente afgano Hamid Karzai ha firmato nei giorni scorsi – ma la notizia è trapelata solo ieri, quando è stata pubblicata dalla stampa locale prima e da quella internazionale poi – una legge che autorizza gli uomini afgani appartenenti alla minoranza sciita ad avere rapporti sessuali con le proprie mogli anche quando non sono consenzienti. Il testo prevede inoltre che le donne non possano uscire di casa da sole, e possano recarsi dal medico o cercare un lavoro solo con l´autorizzazione di un parente maschio. «È peggio che durante il regime dei Taliban», ha tuonato la senatrice Humaira Namati, una delle poche che si sono battute per fermare il provvedimento. La legge in questione è il codice che regolamenta il diritto della famiglia per la minoranza sciita afgana. Bloccata per ben due volte nei mesi scorsi dall´opposizione della società civile e dai politici progressisti, la legge è stata ripresentata a febbraio e approvata in tempi record dal Parlamento afgano. Il presidente Karzai l´ha firmata prima di partire per la conferenza internazionale dell´Aja: la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale è l´ultimo passo che manca perché diventi effettiva. Ormai, stimano gli esperti, è questione di giorni: o di settimane al massimo.
«Non riesco quasi a crederci. È uno shock. Non solo per le donne sciite, ma per tutte noi afgane. Questo è un precedente che dice quanto il nostro governo sia pronto a dimenticarsi dei diritti umani fondamentali pur di raccogliere consensi politici», prosegue Selay, una delle prime laureate dell´Afghanistan post-Taliban e oggi direttrice di Hawca, associazione che si batte per i diritti femminili.
Il testo sancisce che le donne sciite non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il marito, che non sono autorizzate a uscire di casa o a cercare un lavoro senza il consenso di un uomo. Che non possono cantare o suonare in pubblico. Che le ragazze possono essere sposate a 16 anni e che esclusivamente al padre – e in seconda battuta al nonno – è affidata la custodia e l´educazione dei figli. È opinione diffusa fra gli osservatori di cose afgane che Karzai l´abbia firmato per conquistare il voto degli sciiti alle presidenziali di agosto. Ma il segnale che ne esce è chiaro: pur di garantire appoggi al suo traballante esecutivo, il presidente è pronto a fare concessioni ai settori più retrogradi della società afgana. Taliban compresi. A Kabul, circa 200 donne afghane sono scese in piazza per protestare contro la nuova legge sul diritto di famiglia, firmata il mese scorso dal presidente Hamid Karzai. Una legge che, secondo le associazioni che si occupano di diritti umani, legalizza di fatto lo stupro tra le mura domestiche e vieta alle donne di cercare lavoro, istruirsi o farsi visitare da un medico, senza aver prima il permesso del coniuge.
Obiettivo della protesta, l'imponente moschea Khatam al Nabi, dove era in corso un seminario tenuto da Mohammad Asif Mohseni, il religioso sciita che è stato uno dei principali promotori della nuova legge. Mentre le donne lanciavano slogan contro la decisione del governo di Karzai, si sono fatti avanti altri manifestanti, che avevano organizzato una controprotesta al grido di «Allah Akbar» (Dio è grande). Fra questi, anche diverse donne, che accusavano le altre di fare il gioco dei paesi occidentali che vorrebbero imporre all'Afghanistan i loro valori culturali. Vi sono stati tafferugli e, secondo fonti di polizia, le donne che protestavano contro la nuova legge sarebbero state prese a sassate.
Alla notizia della firma del provvedimento di Karzai, forte contrarietà è stata espressa da molti esponenti dei governi occidentali che pure sostengono il presidente afghano.
Anche in Afghanistan, numerose erano state le proteste come quelle della parlamentare Humairi Namati, che aveva accusato il presidente di aver firmato un provvedimento «peggiore di quelli dei Taleban». I tanti che si sono opposti alla nuova legge hanno accusato Karzai di averla approvata solo per assicurarsi i voti dei settori più conservatori della popolazione, come la minoranza hazara, in vista delle elezioni presidenziali che si terranno in Afghanistan ad agosto. Urge una «rete» di donne musulmane «rappresentative» che intervenga per difendere i diritti delle donne afghane – ha detto l'euro-parlamentare del Pd Patrizia Toia, che ha formalizzato la proposta in un'interrogazione parlamentare alla commissione Ue. L'euro-parlamentare, assieme ad altre deputate, intende «promuovere un'iniziativa per istituire una rete che raccolga tutte le donne musulmane più rappresentative, perché si impegnino pubblicamente a favore delle donne afghane, anche attraverso azioni presso il governo del paese».
Mi piace finire con i versi di una donna afghana scritti nell’8 marzo 1999: Zieba Shorish-Shamley: “Dedicato alle mie sorelle afgane e tutte le altre donne nel mondo la cui vita è stata stritolata dalla Guerra”.
Io devo parlare della mia storia impressionante, loro mi tengono al buio, in una cella terrificante,
mi è negata la luce del sole, sia che ci sia l’estate, la brezza del vento.
Loro dicono che così devo vivere, che questi sono i miei costumi e la mia cultura:
le mie finestre sono dipinte di nero, è stata strappata via la mia possibilità di scelta:
tutta di me, della mia vita è stato velato, la mia identità è stata strangolata…
Non ho nessuno con cui parlare, il dolore è grande e mi tormenta.
Non vedo le stagioni: né inverno, estate o autunno.
Non ho finestre per guardar fuori, mi hanno circondata con quattro mura.
Oh parlami della foresta, del mormorio di una corsa primaverile, su un prato, quando gli uccelli cantano.
Parlami della musica, della melodia delle canzoni… parlami della luce del sole, del suo calore, parlami della pioggia, dei bambini con aquilone.
Loro ci rubarono come ladri, nessuno castigò i loro Cannoni di peccato,
rumore continuo di Tuono di battaglia…
Noi sconfiggeremo il Potere, con unità e pazienza.
Noi libereremo la nostra terra. Noi sconfiggeremo gli invasori, il mondo sarà testimone.☺
ninive@aliceposta.it
La voce della dottoressa Selay Ghaffar da Kabul suona piena di rabbia: «Da oggi le donne afgane possono essere stuprate. A patto che a farlo sia il marito. Questo dice la legge che è stata firmata dal presidente Karzai. Ma noi non lo permetteremo. È contrario ai principi sanciti nella Costituzione. È contrario ai principi dei trattati internazionali sottoscritti dall´Afghanistan. È contrario a tutto quello in cui crediamo». I peggiori incubi che qualche settimana fa le donne afgane raccontavano nelle vie di Kabul sono diventati realtà ieri e chi, come Selay, ha combattuto tutta la vita contro abusi e discriminazioni, in queste ore non può ancora crederci. Il presidente afgano Hamid Karzai ha firmato nei giorni scorsi – ma la notizia è trapelata solo ieri, quando è stata pubblicata dalla stampa locale prima e da quella internazionale poi – una legge che autorizza gli uomini afgani appartenenti alla minoranza sciita ad avere rapporti sessuali con le proprie mogli anche quando non sono consenzienti. Il testo prevede inoltre che le donne non possano uscire di casa da sole, e possano recarsi dal medico o cercare un lavoro solo con l´autorizzazione di un parente maschio. «È peggio che durante il regime dei Taliban», ha tuonato la senatrice Humaira Namati, una delle poche che si sono battute per fermare il provvedimento. La legge in questione è il codice che regolamenta il diritto della famiglia per la minoranza sciita afgana. Bloccata per ben due volte nei mesi scorsi dall´opposizione della società civile e dai politici progressisti, la legge è stata ripresentata a febbraio e approvata in tempi record dal Parlamento afgano. Il presidente Karzai l´ha firmata prima di partire per la conferenza internazionale dell´Aja: la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale è l´ultimo passo che manca perché diventi effettiva. Ormai, stimano gli esperti, è questione di giorni: o di settimane al massimo.
«Non riesco quasi a crederci. È uno shock. Non solo per le donne sciite, ma per tutte noi afgane. Questo è un precedente che dice quanto il nostro governo sia pronto a dimenticarsi dei diritti umani fondamentali pur di raccogliere consensi politici», prosegue Selay, una delle prime laureate dell´Afghanistan post-Taliban e oggi direttrice di Hawca, associazione che si batte per i diritti femminili.
Il testo sancisce che le donne sciite non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il marito, che non sono autorizzate a uscire di casa o a cercare un lavoro senza il consenso di un uomo. Che non possono cantare o suonare in pubblico. Che le ragazze possono essere sposate a 16 anni e che esclusivamente al padre – e in seconda battuta al nonno – è affidata la custodia e l´educazione dei figli. È opinione diffusa fra gli osservatori di cose afgane che Karzai l´abbia firmato per conquistare il voto degli sciiti alle presidenziali di agosto. Ma il segnale che ne esce è chiaro: pur di garantire appoggi al suo traballante esecutivo, il presidente è pronto a fare concessioni ai settori più retrogradi della società afgana. Taliban compresi. A Kabul, circa 200 donne afghane sono scese in piazza per protestare contro la nuova legge sul diritto di famiglia, firmata il mese scorso dal presidente Hamid Karzai. Una legge che, secondo le associazioni che si occupano di diritti umani, legalizza di fatto lo stupro tra le mura domestiche e vieta alle donne di cercare lavoro, istruirsi o farsi visitare da un medico, senza aver prima il permesso del coniuge.
Obiettivo della protesta, l'imponente moschea Khatam al Nabi, dove era in corso un seminario tenuto da Mohammad Asif Mohseni, il religioso sciita che è stato uno dei principali promotori della nuova legge. Mentre le donne lanciavano slogan contro la decisione del governo di Karzai, si sono fatti avanti altri manifestanti, che avevano organizzato una controprotesta al grido di «Allah Akbar» (Dio è grande). Fra questi, anche diverse donne, che accusavano le altre di fare il gioco dei paesi occidentali che vorrebbero imporre all'Afghanistan i loro valori culturali. Vi sono stati tafferugli e, secondo fonti di polizia, le donne che protestavano contro la nuova legge sarebbero state prese a sassate.
Alla notizia della firma del provvedimento di Karzai, forte contrarietà è stata espressa da molti esponenti dei governi occidentali che pure sostengono il presidente afghano.
Anche in Afghanistan, numerose erano state le proteste come quelle della parlamentare Humairi Namati, che aveva accusato il presidente di aver firmato un provvedimento «peggiore di quelli dei Taleban». I tanti che si sono opposti alla nuova legge hanno accusato Karzai di averla approvata solo per assicurarsi i voti dei settori più conservatori della popolazione, come la minoranza hazara, in vista delle elezioni presidenziali che si terranno in Afghanistan ad agosto. Urge una «rete» di donne musulmane «rappresentative» che intervenga per difendere i diritti delle donne afghane – ha detto l'euro-parlamentare del Pd Patrizia Toia, che ha formalizzato la proposta in un'interrogazione parlamentare alla commissione Ue. L'euro-parlamentare, assieme ad altre deputate, intende «promuovere un'iniziativa per istituire una rete che raccolga tutte le donne musulmane più rappresentative, perché si impegnino pubblicamente a favore delle donne afghane, anche attraverso azioni presso il governo del paese».
Mi piace finire con i versi di una donna afghana scritti nell’8 marzo 1999: Zieba Shorish-Shamley: “Dedicato alle mie sorelle afgane e tutte le altre donne nel mondo la cui vita è stata stritolata dalla Guerra”.
Io devo parlare della mia storia impressionante, loro mi tengono al buio, in una cella terrificante,
mi è negata la luce del sole, sia che ci sia l’estate, la brezza del vento.
Loro dicono che così devo vivere, che questi sono i miei costumi e la mia cultura:
le mie finestre sono dipinte di nero, è stata strappata via la mia possibilità di scelta:
tutta di me, della mia vita è stato velato, la mia identità è stata strangolata…
Non ho nessuno con cui parlare, il dolore è grande e mi tormenta.
Non vedo le stagioni: né inverno, estate o autunno.
Non ho finestre per guardar fuori, mi hanno circondata con quattro mura.
Oh parlami della foresta, del mormorio di una corsa primaverile, su un prato, quando gli uccelli cantano.
Parlami della musica, della melodia delle canzoni… parlami della luce del sole, del suo calore, parlami della pioggia, dei bambini con aquilone.
Loro ci rubarono come ladri, nessuno castigò i loro Cannoni di peccato,
rumore continuo di Tuono di battaglia…
Noi sconfiggeremo il Potere, con unità e pazienza.
Noi libereremo la nostra terra. Noi sconfiggeremo gli invasori, il mondo sarà testimone.☺
La voce della dottoressa Selay Ghaffar da Kabul suona piena di rabbia: «Da oggi le donne afgane possono essere stuprate. A patto che a farlo sia il marito. Questo dice la legge che è stata firmata dal presidente Karzai. Ma noi non lo permetteremo. È contrario ai principi sanciti nella Costituzione. È contrario ai principi dei trattati internazionali sottoscritti dall´Afghanistan. È contrario a tutto quello in cui crediamo». I peggiori incubi che qualche settimana fa le donne afgane raccontavano nelle vie di Kabul sono diventati realtà ieri e chi, come Selay, ha combattuto tutta la vita contro abusi e discriminazioni, in queste ore non può ancora crederci. Il presidente afgano Hamid Karzai ha firmato nei giorni scorsi – ma la notizia è trapelata solo ieri, quando è stata pubblicata dalla stampa locale prima e da quella internazionale poi – una legge che autorizza gli uomini afgani appartenenti alla minoranza sciita ad avere rapporti sessuali con le proprie mogli anche quando non sono consenzienti. Il testo prevede inoltre che le donne non possano uscire di casa da sole, e possano recarsi dal medico o cercare un lavoro solo con l´autorizzazione di un parente maschio. «È peggio che durante il regime dei Taliban», ha tuonato la senatrice Humaira Namati, una delle poche che si sono battute per fermare il provvedimento. La legge in questione è il codice che regolamenta il diritto della famiglia per la minoranza sciita afgana. Bloccata per ben due volte nei mesi scorsi dall´opposizione della società civile e dai politici progressisti, la legge è stata ripresentata a febbraio e approvata in tempi record dal Parlamento afgano. Il presidente Karzai l´ha firmata prima di partire per la conferenza internazionale dell´Aja: la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale è l´ultimo passo che manca perché diventi effettiva. Ormai, stimano gli esperti, è questione di giorni: o di settimane al massimo.
«Non riesco quasi a crederci. È uno shock. Non solo per le donne sciite, ma per tutte noi afgane. Questo è un precedente che dice quanto il nostro governo sia pronto a dimenticarsi dei diritti umani fondamentali pur di raccogliere consensi politici», prosegue Selay, una delle prime laureate dell´Afghanistan post-Taliban e oggi direttrice di Hawca, associazione che si batte per i diritti femminili.
Il testo sancisce che le donne sciite non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il marito, che non sono autorizzate a uscire di casa o a cercare un lavoro senza il consenso di un uomo. Che non possono cantare o suonare in pubblico. Che le ragazze possono essere sposate a 16 anni e che esclusivamente al padre – e in seconda battuta al nonno – è affidata la custodia e l´educazione dei figli. È opinione diffusa fra gli osservatori di cose afgane che Karzai l´abbia firmato per conquistare il voto degli sciiti alle presidenziali di agosto. Ma il segnale che ne esce è chiaro: pur di garantire appoggi al suo traballante esecutivo, il presidente è pronto a fare concessioni ai settori più retrogradi della società afgana. Taliban compresi. A Kabul, circa 200 donne afghane sono scese in piazza per protestare contro la nuova legge sul diritto di famiglia, firmata il mese scorso dal presidente Hamid Karzai. Una legge che, secondo le associazioni che si occupano di diritti umani, legalizza di fatto lo stupro tra le mura domestiche e vieta alle donne di cercare lavoro, istruirsi o farsi visitare da un medico, senza aver prima il permesso del coniuge.
Obiettivo della protesta, l'imponente moschea Khatam al Nabi, dove era in corso un seminario tenuto da Mohammad Asif Mohseni, il religioso sciita che è stato uno dei principali promotori della nuova legge. Mentre le donne lanciavano slogan contro la decisione del governo di Karzai, si sono fatti avanti altri manifestanti, che avevano organizzato una controprotesta al grido di «Allah Akbar» (Dio è grande). Fra questi, anche diverse donne, che accusavano le altre di fare il gioco dei paesi occidentali che vorrebbero imporre all'Afghanistan i loro valori culturali. Vi sono stati tafferugli e, secondo fonti di polizia, le donne che protestavano contro la nuova legge sarebbero state prese a sassate.
Alla notizia della firma del provvedimento di Karzai, forte contrarietà è stata espressa da molti esponenti dei governi occidentali che pure sostengono il presidente afghano.
Anche in Afghanistan, numerose erano state le proteste come quelle della parlamentare Humairi Namati, che aveva accusato il presidente di aver firmato un provvedimento «peggiore di quelli dei Taleban». I tanti che si sono opposti alla nuova legge hanno accusato Karzai di averla approvata solo per assicurarsi i voti dei settori più conservatori della popolazione, come la minoranza hazara, in vista delle elezioni presidenziali che si terranno in Afghanistan ad agosto. Urge una «rete» di donne musulmane «rappresentative» che intervenga per difendere i diritti delle donne afghane – ha detto l'euro-parlamentare del Pd Patrizia Toia, che ha formalizzato la proposta in un'interrogazione parlamentare alla commissione Ue. L'euro-parlamentare, assieme ad altre deputate, intende «promuovere un'iniziativa per istituire una rete che raccolga tutte le donne musulmane più rappresentative, perché si impegnino pubblicamente a favore delle donne afghane, anche attraverso azioni presso il governo del paese».
Mi piace finire con i versi di una donna afghana scritti nell’8 marzo 1999: Zieba Shorish-Shamley: “Dedicato alle mie sorelle afgane e tutte le altre donne nel mondo la cui vita è stata stritolata dalla Guerra”.
Io devo parlare della mia storia impressionante, loro mi tengono al buio, in una cella terrificante,
mi è negata la luce del sole, sia che ci sia l’estate, la brezza del vento.
Loro dicono che così devo vivere, che questi sono i miei costumi e la mia cultura:
le mie finestre sono dipinte di nero, è stata strappata via la mia possibilità di scelta:
tutta di me, della mia vita è stato velato, la mia identità è stata strangolata…
Non ho nessuno con cui parlare, il dolore è grande e mi tormenta.
Non vedo le stagioni: né inverno, estate o autunno.
Non ho finestre per guardar fuori, mi hanno circondata con quattro mura.
Oh parlami della foresta, del mormorio di una corsa primaverile, su un prato, quando gli uccelli cantano.
Parlami della musica, della melodia delle canzoni… parlami della luce del sole, del suo calore, parlami della pioggia, dei bambini con aquilone.
Loro ci rubarono come ladri, nessuno castigò i loro Cannoni di peccato,
rumore continuo di Tuono di battaglia…
Noi sconfiggeremo il Potere, con unità e pazienza.
Noi libereremo la nostra terra. Noi sconfiggeremo gli invasori, il mondo sarà testimone.☺
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