istruzione di massa
21 Marzo 2010 Share

istruzione di massa

 

Si racconta nei libri sulla scuola pubblica, che i primi programmi scolastici furono proposti dal Ministro Terenzio Mamiani nel 1860… Il ministro di allora istituì un quadro scolastico ‘specchio’ di quello proposto ed imposto da “Gelmi” e dai suoi colleghi nel governo della Repubblica: fondamentale la Religione, naturalmente quella cattolica; istruzione, sottomessa alla morale, naturalmente cristiana e cattolica; l’educa- zione civica (materia cardine!), doveva sempre essere collegata all’educazione morale, religiosa e civile; lo scopo pratico della scuola, quello, diciamolo così, meno nobile, veniva affidato allo studio dell’aritmetica, ovvero al far di conto; oggi, ci si è aggiunto un po’ di Inglese, un po’ di Informatica, un po’ di Impresa e, visti le proteste, il mercato ed i sondaggi, un po’ di attività motoria. Ma chi fa scuola in Italia? Tutti e nessuno e, soprattutto, “non ce la fa più” la scuola statale che, ormai, avvitata a tappo sul senso comune dell’educare, non svolge coerentemente la funzione costituzionalmente attribuitale (art. 3, 9, 33 e 34).

La Costituzione ci fece “stato di cultura” e “repubblica”. Lo “stato di cultura” ci ha ridotti a soldatini del potere. Il potere delle “parti”, di ogni ideologia, chiamati a governare la Repubblica, ci fece, ci fa e vorrebbe farci ri-diventare “fumo nei camini e bivacchi per segnali di fumo”. Dappertutto nascono, e sono nati, scuole e maestri, unici o meno, non importa. Il problema è che “tutti” si autoreferenziano ‘scuole e maestri’, comprese le istituzioni che fanno sondaggi e statistiche, con molta disattenzione (o forse, interesse) del decisore pubblico, che, da tempo, appare intento a cercare la collocazione della scuola statale sui banconi dei supermercati, del libero mercato e del fai da te. Chissà, forse, una crisi drammatica dell’Educativo, come per le Banche, farebbe rinascere in “Gelmi, Tremonti e soci”, la convinzione di un intervento necessario dello Stato, almeno per garantire regole certe di Diritto e di Governo anche nel mercato della Conoscenza! Nel ragionare ed argomentare di scuola statale, sembra che “tutti” dimentichino le regole del gioco: la scuola statale è un servizio al cittadino codificato dallo stato di cultura costituzionalmente garantito. E pare opportuno ricordare che, se ‘cultura ed istruzione’ sono il servizio, esso non può essere asservito a logiche religiose, civili, di condotta ed ideologiche. Ogni processo di formazione comprende il ‘formare, l’informare  e un rischio educativo’: il primo è funzionale al secondo e non il contrario; mentre il terzo, include entrambi. Per formare, tra l’altro, è necessario il concorso di tutte le agenzie (famiglia, religioni, associazioni, territorio, mass media etc.) non ultima la scuola, ma questa non è certo né unica, né esclusiva. Per informare invece, è fondamentale la scuola statale. Entrambe le fasi, avendo come soggetto le persone e non le cose, includono un “rischio educativo”.

Il ragionamento, non più sotteso, di “Gelmi & company”, tra una contraddizione ed un Decreto Legislativo, appare chiaro: l’istruzione di massa costa ed essendo legittimo il timore del pericolo di un’istruzione non abbastanza sottomessa, facciamo allora ri-diventare la scuola “badante” educativa. Il processo educativo, ‘nel suo insieme di formare ed informare’ è sempre forza liberatrice, ma tale processo ha due obblighi. Il primo: la comunità educante deve elaborare strategie scientifiche, verificabili e confrontabili, dei processi di apprendimento per “rendere effettivo il diritto” all’istruzione e per rispondere alla mission, caratterizzante ogni processo scientifico, che è quello di far crescere “fiori dal letame”; il secondo: il decisore pubblico deve investire nella Scuola per dotarla delle risorse necessarie e per “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” funzionali a sostenere le persone ed i “topos” (luoghi/strutture/attrezzature) del processo educativo, che è la mission dello Stato Repubblicano. La scuola senz’altro costa, come costa educare alla cittadinanza attiva, non meno delle banche, del ponte sullo stretto di Messina, dei piani per le case o dei milioni di € inseriti nei bilanci dei vari Ministeri per finanziare progetti educativi, di formazione, di prevenzione, di sostegno ecc… funzionali non certo alla scuola statale!

La mia esperienza, ferma al semaforo rosso in cui si trova la scuola italiana e l’educativo, mi ha convinto che ‘quanto contrattualmente e legislativamente già previsto, ma non realizzato’, costituisce una responsabilità, un ritardo, una omissione ed una colpa della politica e dei politici. ☺

polsmile@tin.it

 

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