Una nuova politica. Come promuovere i diritti delle persone con disabilità
6 Ottobre 2017
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Una nuova politica. Come promuovere i diritti delle persone con disabilità

Sogno di un Molise trainato dalle donne

La mia decisione di sottoscrivere il manifesto politico “Molise Domani” è stata motivata, oltre che dalla condivisione degli obiettivi circa l’esigenza di dare una scossa al dibattito civico molisano, dalla rara circostanza che le autrici sono tutte donne. La donna infatti – senza nulla togliere al contributo maschile – ha la capacità di rivestire contemporaneamente più ruoli (madre, moglie, lavoratrice) e di essere il perno sui cui ruota una famiglia, ma soprattutto, per quel che riguarda l’universo delle politiche sociali, è colei che nella stragrande maggioranza dei casi riveste il ruolo di caregiver familiare, ossia di colei che vive quella stra-ordinaria esperienza, fatta di tenacia, determinazione, dedizione e amore, che è la cura di un familiare con disabilità o con una patologia invalidante.

La Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità

Per fare politica è essenziale sapere dove si vuole andare e che tipo di società si vuole costruire. Senza sapere quale è il fine a cui tendere non ha senso percorrere alcuna strada. Per quel che concerne il mondo delle diverse abilità, la via da percorrere è stata tracciata dalla Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità firmata il 13 dicembre 2006, ratificata anche dall’Italia. La grande rivoluzione della Convenzione Onu è stata quella di aver spostato l’attenzione dal disabile alla persona con disabilità. La differenza tra le due espressioni non è meramente linguistica, ma concettuale. L’individuo non viene connotato in base alla sua diversa abilità (il disabile), ma questa diviene un attributo, un valore aggiunto della persona (persona con disabilità). Spostare l’attenzione sulla “persona” equivale a trasformarla da oggetto di assistenza a soggetto titolare di diritti, e quindi l’individuo con disabilità non viene più visto come un problema da risolvere ma come una risorsa da valorizzare, in un contesto di uguaglianza con tutti gli altri cittadini.

Quando si parla di uguaglianza, il faro non può che essere l’art. 3 della Costituzione, che obbliga le istituzioni a rimuovere gli ostacoli che minano la piena realizzazione della persona. È quindi evidente che quando ci si accosta alle politiche sociali per le persone con disabilità si deve essere consapevoli di dover intraprendere una battaglia per i diritti civili, che troppo spesso vengono compressi o subordinati ad esigenze economiche. Mi riferisco ad esempio al diritto alla libera circolazione, al diritto allo studio, al diritto di autodeterminazione delle scelte di vita inerenti la propria persona.

Piani per l’abbattimento delle barriere architettoniche (PEBA)

Concretamente, come può attuarsi tutto questo? Innanzitutto, un semplice passo potrebbe essere quello di attuare finalmente i PEBA, ossia i piani per l’abbattimento delle barriere architettoniche, che da trent’anni sono obbligatori per tutti i comuni di Italia, ma che quasi nessuno ha mai predisposto. Si tratta di strumenti di programmazione urbanistica che hanno il compito di fotografare la situazione dell’accessibilità delle strade urbane agli utenti con limitazioni fisiche e sensoriali, individuando le situazioni di criticità al fine di programmare nel tempo gli interventi. Nella pratica questo si traduce nel rendere le città ed i paesi accessibili a tutti, il che significa garantire a tutti i cittadini la libertà di movimento in totale autonomia. Stessa cosa per il trasporto urbano, occorre prevedere strumenti che possano consentire la fruibilità del servizio pubblico a tutti.

Parchi e spiagge accessibili

Un ulteriore esempio di città pensata per tutti è quella che preveda un parco inclusivo, con giochi fruibili per tutti i bambini. Non basta però, perché questo accada, piazzare in un giardino un’altalena o una giostra per bambini con disabilità. Il bambino deve essere messo in condizione di arrivare da solo alla giostra, attraverso una pavimentazione adatta, altrimenti non si alimenta la sua autonomia ma la sua frustrazione! Stessa cosa per gli accessi al mare: non basta prevedere una passerella per scendere in spiaggia, occorre dare gli strumenti per accedere in autonomia al bagnasciuga ed all’acqua. Non si può pensare che una persona con disabilità debba essere messa in condizione di andare al mare solo per guardarlo da lontano!!! Ha diritto a fruirne come tutti.

Il diritto ad una “vita indipendente”

Una società aperta a tutti è quella che valorizza la cd. “vita indipendente”, ossia la possibilità di munire di un assistente la persona con disabilità per darle piena autonomia per andare a lavorare o/e svolgere attività ricreative, in pratica tutto ciò che è espressione della libertà di autodeterminazione. Ancora, una società giusta per tutti è quella che pensa al cd. “dopo di noi”, anche e soprattutto potenziando la possibilità che la persona con disabilità, che ha perso i familiari, rimanga comunque a casa propria, senza venire sradicato dal proprio contesto sociale e dagli affetti restanti. Una società equa è quella che riconosce il ruolo dei caregiver familiari, i quali devono essere messi in condizione di vivere dignitosamente e non come vittime sacrificali di uno Stato inerte.

I diritti non possono essere subordinati alle esigenze di bilancio

Questi passaggi non sono più rinviabili. La Corte Costituzionale con una storica sentenza ha dichiarato nel dicembre 2016 che i diritti insopprimibili delle persone con disabilità non possono essere subordinati ad esigenze di bilancio. Questo impone di ripensare anche ai costi della politica. Non sarebbe il caso di ragionare per costruire una nuova economia del sociale, basata sul valore del servizio e non sul prodotto☺


Nel video, l’autrice individua gli obiettivi che la politica dovrebbe porsi per rispettare i diritti delle persone con disabilità

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