Lino Di Stefano, ogni anno, con puntuale scadenza, dà alle stampe un volume, in generale, di non grandi dimensioni su svariati argomenti. Questa volta, quasi per un’esigenza di relax, ha messo da parte i temi ponderosi della cultura per tornare nella sua Casacalenda, l’antica Kalena, a rivivere la propria infanzia tra cose, persone e tradizioni ormai deteriorate o scomparse, cancellate dal passaggio del tempo che tutto travolge col suo rullo compressore(Lino Di Stefano: Poesie Kalenesi, Edizioni Eva, euro 8). Nella mente del cittadino che si è allontanato dalla sua terra ponendo altrove la propria dimora, riaffiora tutto un mondo com’era fatto, di case, di chiese, di monumenti, di vita semplice, ritmata dallo scandire dei rintocchi delle campane che oggi si perdono tra i confusi rumori di un’assordante civiltà.
Lo sguardo deluso si posa con malinconica tristezza su tutto, ma in particolare sul cimitero che è ancora lì quasi simbolo di tanti ricordi. Cara al cuore dell’Autore torna al rimpianto la chiesa di campagna, meta delle gite in compagnia di ragazzi amici. C’è tra le altre la casa avita da cui era possibile scorgere, in lontananza, il mare che inghiottiva i sogni dell’infanzia nell’immensa distesa delle acque. Il senso intimo delle cose porta l’Autore a posare lo sguardo su ogni particolare del passato che ritorna intero come in un quadro di insieme su cui scivola la ripresa fotostatica in una sequenza ricca di immagini. La vecchia dimora giace nel fondo dei ricordi come un caro crogiuolo di sentimenti carichi di nostalgia verso una casa che non è più dell’Autore. Nella memoria c’è anche la Via Nova, ossia la strada nazionale, su cui, a distanza di qualche ora, passava la prima Balilla del paese o qualche camioncino carico di merce di ogni genere. C’è ancora Piazza Mercato che un tempo era gremita di gente e che ora si rianima un tantino solo la domenica nel mese di agosto all’uscita dalla Messa: “Il tempo – dice l’Autore – ha lavorato in gran segreto assicurando alla spianata tanta tristezza e solo lo squallore”. Il Cigno, che era un rigagnolo di acque pure in cui giovani e ragazzi si andavano a bagnare illudendo il non saziato anelito a tuffarsi nella profonda, infinita distesa del mare, ora pullula appena gettando giù qualche flutto limaccioso. Tra tante cose e situazioni riemerse non poteva mancare il Palazzo De Gennaro, soffuso di mestizia, in cui risuona il pianto per il misterioso assassinio di Domenico De Gennaro trucidato sulla spiaggia di Termoli. Tra ricordi e ruderi si erge ancora la torre dell’orologio che batte le ore. Maestosa e solenne, sfida il tempo restando se stessa, mentre intorno tutto passa e si sgretola.
Il ricordo si posa su tanti particolari comuni a tutti i paesi della Regione, ormai spopolati, patetiche alcove ristrutturate e splendenti di rinnovato mobilio, mentre sempre più si essicca l’acqua del fonte battesimale così che il lettore si ritrova in situazioni e scenari in cui si è mosso anche lui quand’era bambino.
Completano la raccolta alcuni componimenti in latino con cui Di Stefano ha voluto esprimere quel quid giacente nella profondità dell’animo, in ascolto di chi “ditta dentro” il rapporto con la natura nell’infanzia e l’essenza delle cose. ☺
Elvira Tirone Santilli
Lino Di Stefano, ogni anno, con puntuale scadenza, dà alle stampe un volume, in generale, di non grandi dimensioni su svariati argomenti. Questa volta, quasi per un’esigenza di relax, ha messo da parte i temi ponderosi della cultura per tornare nella sua Casacalenda, l’antica Kalena, a rivivere la propria infanzia tra cose, persone e tradizioni ormai deteriorate o scomparse, cancellate dal passaggio del tempo che tutto travolge col suo rullo compressore(Lino Di Stefano: Poesie Kalenesi, Edizioni Eva, euro 8). Nella mente del cittadino che si è allontanato dalla sua terra ponendo altrove la propria dimora, riaffiora tutto un mondo com’era fatto, di case, di chiese, di monumenti, di vita semplice, ritmata dallo scandire dei rintocchi delle campane che oggi si perdono tra i confusi rumori di un’assordante civiltà.
Lo sguardo deluso si posa con malinconica tristezza su tutto, ma in particolare sul cimitero che è ancora lì quasi simbolo di tanti ricordi. Cara al cuore dell’Autore torna al rimpianto la chiesa di campagna, meta delle gite in compagnia di ragazzi amici. C’è tra le altre la casa avita da cui era possibile scorgere, in lontananza, il mare che inghiottiva i sogni dell’infanzia nell’immensa distesa delle acque. Il senso intimo delle cose porta l’Autore a posare lo sguardo su ogni particolare del passato che ritorna intero come in un quadro di insieme su cui scivola la ripresa fotostatica in una sequenza ricca di immagini. La vecchia dimora giace nel fondo dei ricordi come un caro crogiuolo di sentimenti carichi di nostalgia verso una casa che non è più dell’Autore. Nella memoria c’è anche la Via Nova, ossia la strada nazionale, su cui, a distanza di qualche ora, passava la prima Balilla del paese o qualche camioncino carico di merce di ogni genere. C’è ancora Piazza Mercato che un tempo era gremita di gente e che ora si rianima un tantino solo la domenica nel mese di agosto all’uscita dalla Messa: “Il tempo – dice l’Autore – ha lavorato in gran segreto assicurando alla spianata tanta tristezza e solo lo squallore”. Il Cigno, che era un rigagnolo di acque pure in cui giovani e ragazzi si andavano a bagnare illudendo il non saziato anelito a tuffarsi nella profonda, infinita distesa del mare, ora pullula appena gettando giù qualche flutto limaccioso. Tra tante cose e situazioni riemerse non poteva mancare il Palazzo De Gennaro, soffuso di mestizia, in cui risuona il pianto per il misterioso assassinio di Domenico De Gennaro trucidato sulla spiaggia di Termoli. Tra ricordi e ruderi si erge ancora la torre dell’orologio che batte le ore. Maestosa e solenne, sfida il tempo restando se stessa, mentre intorno tutto passa e si sgretola.
Il ricordo si posa su tanti particolari comuni a tutti i paesi della Regione, ormai spopolati, patetiche alcove ristrutturate e splendenti di rinnovato mobilio, mentre sempre più si essicca l’acqua del fonte battesimale così che il lettore si ritrova in situazioni e scenari in cui si è mosso anche lui quand’era bambino.
Completano la raccolta alcuni componimenti in latino con cui Di Stefano ha voluto esprimere quel quid giacente nella profondità dell’animo, in ascolto di chi “ditta dentro” il rapporto con la natura nell’infanzia e l’essenza delle cose. ☺
Lino Di Stefano, ogni anno, con puntuale scadenza, dà alle stampe un volume, in generale, di non grandi dimensioni su svariati argomenti. Questa volta, quasi per un’esigenza di relax, ha messo da parte i temi ponderosi della cultura per tornare nella sua Casacalenda, l’antica Kalena, a rivivere la propria infanzia tra cose, persone e tradizioni ormai deteriorate o scomparse, cancellate dal passaggio del tempo che tutto travolge col suo rullo compressore(Lino Di Stefano: Poesie Kalenesi, Edizioni Eva, euro 8). Nella mente del cittadino che si è allontanato dalla sua terra ponendo altrove la propria dimora, riaffiora tutto un mondo com’era fatto, di case, di chiese, di monumenti, di vita semplice, ritmata dallo scandire dei rintocchi delle campane che oggi si perdono tra i confusi rumori di un’assordante civiltà.
Lo sguardo deluso si posa con malinconica tristezza su tutto, ma in particolare sul cimitero che è ancora lì quasi simbolo di tanti ricordi. Cara al cuore dell’Autore torna al rimpianto la chiesa di campagna, meta delle gite in compagnia di ragazzi amici. C’è tra le altre la casa avita da cui era possibile scorgere, in lontananza, il mare che inghiottiva i sogni dell’infanzia nell’immensa distesa delle acque. Il senso intimo delle cose porta l’Autore a posare lo sguardo su ogni particolare del passato che ritorna intero come in un quadro di insieme su cui scivola la ripresa fotostatica in una sequenza ricca di immagini. La vecchia dimora giace nel fondo dei ricordi come un caro crogiuolo di sentimenti carichi di nostalgia verso una casa che non è più dell’Autore. Nella memoria c’è anche la Via Nova, ossia la strada nazionale, su cui, a distanza di qualche ora, passava la prima Balilla del paese o qualche camioncino carico di merce di ogni genere. C’è ancora Piazza Mercato che un tempo era gremita di gente e che ora si rianima un tantino solo la domenica nel mese di agosto all’uscita dalla Messa: “Il tempo – dice l’Autore – ha lavorato in gran segreto assicurando alla spianata tanta tristezza e solo lo squallore”. Il Cigno, che era un rigagnolo di acque pure in cui giovani e ragazzi si andavano a bagnare illudendo il non saziato anelito a tuffarsi nella profonda, infinita distesa del mare, ora pullula appena gettando giù qualche flutto limaccioso. Tra tante cose e situazioni riemerse non poteva mancare il Palazzo De Gennaro, soffuso di mestizia, in cui risuona il pianto per il misterioso assassinio di Domenico De Gennaro trucidato sulla spiaggia di Termoli. Tra ricordi e ruderi si erge ancora la torre dell’orologio che batte le ore. Maestosa e solenne, sfida il tempo restando se stessa, mentre intorno tutto passa e si sgretola.
Il ricordo si posa su tanti particolari comuni a tutti i paesi della Regione, ormai spopolati, patetiche alcove ristrutturate e splendenti di rinnovato mobilio, mentre sempre più si essicca l’acqua del fonte battesimale così che il lettore si ritrova in situazioni e scenari in cui si è mosso anche lui quand’era bambino.
Completano la raccolta alcuni componimenti in latino con cui Di Stefano ha voluto esprimere quel quid giacente nella profondità dell’animo, in ascolto di chi “ditta dentro” il rapporto con la natura nell’infanzia e l’essenza delle cose. ☺
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