oasi di comunità
20 Febbraio 2010 Share

oasi di comunità

Da tempo sono stati etichettati “comuni polvere” quei piccoli borghi dispersi, frantumati da una congerie di processi che ne hanno ridotto il numero dei residenti e desertificato il territorio al punto che ciascuno rischia di ritrovarsi in una condizione di difficile sopravvivenza.

In Molise da anni si è fatto carico di questa emergenza la voce profetica della Caritas di Trivento attraverso la Scuola di Formazione Sociale e Politica intitolata a Paolo Borsellino. Voce, come altre, rimasta inascoltata per lungo tempo. Ciò malgrado, si colgono oggi segnali concreti di ripresa che provengono dall’interno di alcune realtà colpite da questo male.

Prendiamo esempio da un mondo che non è sognato ma che va assumendo il volto e l’identità concreta della ripresa di slancio e innovazione, senza ricorrere a politiche di vecchio modello assistenzialistico ma puntando sulle risorse proprie, attraverso il coinvolgimento di tutte le energie di ogni fascia di età e con la volontà di intraprendere che sono presenti anche in questa nostra terra.

Un esempio concreto che si riscontra in diverse regioni d’Italia. Proviamo ad osservare che cosa sta accadendo in queste realtà che possiamo finalmente identificare come “oasi di comunità”.

Qualche anno addietro un attento osservatore come Ilvo Diamanti coglieva, nel quadro della realtà politica segnata da una crisi palese e preoccupante, segnali di cambiamento che provenivano dagli organismi di terzo settore e che contagiavano anche una fascia diffusa di popolazione. Da una indagine riportata nel 2006 egli ricavava dati concreti che ponevano in rilievo una società con forte tasso di partecipazione e che lo portavano ad asserire che “dalla fine degli anni ’90 in poi, non c’è chi non vede che assistiamo a una mobilitazione collettiva, sia pure in forme diverse”. Ne davano riscontro una serie di dati attestanti che il 50% di italiani fanno donazioni, il 60/70% si prodigano in azione caritativa  e soprattutto il 25/30%  fanno mobilitazione di quartiere nelle città.

Passi in avanti si son fatti ed è in questa nuova stagione che possiamo cogliere novità che palesano la volontà di andare oltre la rassegnazione, la stagnazione che dilaga nei territori frantumati. Sono questi i percorsi di rilancio del senso di comunità e, con esso, dello sviluppo in molteplici territori di area subalpina, dell’Appennino centrale ed anche nel meridione.

Parliamo della Val Calastra, in Basilicata.

È da circa un anno che se ne parla su riviste attente alle dinamiche, alle strategie e alle proposte concrete che provengono dal mondo del terzo settore e dal variegato mondo della cittadinanza attiva che si mobilita per dare testimonianze concrete di impegno e di volontà di cambiamento sul territorio. Oggi quattro comuni, Calvello, Laurenzana, Anzi e Labriola, hanno fatto rete e attivato un itinerario strategico di sviluppo, a partire dalla stesura del bilancio sociale.

Si tratta di uno strumento che da qualche tempo è entrato a far parte delle strategie da assumere per l’avvio di percorsi di promozione dello sviluppo che partono dal basso e puntano in alto. Frutto di una volontà ferma di procedere oltre logiche di campanile e schemi consueti, e spesso improduttivi, perché basati su alleanze rigidamente centrate sull’appartenenza al medesimo gruppo partitico, per fondare l’azione su una politica aperta al dialogo e alla interlocuzione volta all’interesse comune.

I piccoli centri della Basilicata in questo si sono decisamente mossi su un terreno di  confronto e di concertazione che è andato avanti, rompendo con schemi e modelli che hanno da sempre impedito la collaborazione anche nel piccolo progetto di intesa. Andare oltre l’autoreferenzialità significa anche rimuovere stereotipi che continuano nel tempo a ostacolare ogni forma di collaborazione anche nelle piccole cose. Per dirla con uno dei sindaci di quei borghi: ”Eravamo vicini, ma non ci conoscevamo abbastanza; abbiamo pensato di frequentarci di più per apprezzarci meglio”.

Ed ecco spuntare progetti condivisi che riguardano la filiera agroalimentare, la valorizzazione del patrimonio turistico, l’innovazione nei servizi sociali e l’esplorazione di opportunità lavorative per le giovani generazioni. In una parola il territorio si valorizza a partire dalle risorse umane che vi risiedono e che si rendono disponibili ad un cambiamento di cultura che punta su obiettivi comuni che possono anche fare della diversità un fattore di reciproco arricchimento e non un impedimento alla concertazione diretta a realizzare obiettivi condivisi dall’intera popolazione. 

Molto ha giovato alla loro crescita il confronto portato avanti con big player, come l’ENI, e con partner di altri territori che si sono prestati a promuovere ed alimentare rapporti centrati su esperienze concrete che incoraggiano l’intraprendenza e forniscono modelli per far fronte a problemi e difficoltà che possono incrociare quanti osano andare oltre la stagnazione.

Il Molise ha necessità di uscire dalle nicchie di una tradizione che merita la riscoperta di un passato virtuoso ma anche l’apertura a nuovi orizzonti di crescita, creando al proprio interno una cultura del dialogo costruttivo e la volontà di attivare percorsi di partenariato con altri territori che hanno aperto le strade per un futuro che dia risalto alle risorse materiali ed umane, anche di valore, che sono parte viva riscontrabile nella storia di questa terra e che per lo più scontano i limiti che sono frutto di una carenza di sforzo rivolto alla promozione del senso di comunità.

Non più fuga di talenti, non più ristagno di risorse che tanti visitatori e turisti occasionali apprezzano e che emigrati molisani rimpiangono. Si può avviare una stagione nuova e le idee possono e debbono tradursi in proposte e progetti. 

È questo l’obiettivo concreto che si propone la Fondazione Molise Comunità. ☺

 le.leone@tiscali.it

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