Bisogno di ammirazione
21 Luglio 2019
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Bisogno di ammirazione

“I maestri del pensiero contemporaneo sono accomunati dalla convinzione che il soggetto abbia rotto il patto di appartenenza alla comunità e alla legge, e cerchi autonomamente il successo, l’affermazione del proprio sé, anche superando il limite”. Sono parole dello psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet, dal saggio L’insostenibile bisogno di ammirazione, che ritraggono mirabilmente il nostro tempo, ed anche il linguaggio che utilizziamo per raccontarlo.

Nelle competizioni sportive gli atleti sono classificati in base alle prestazioni che nel corso degli allenamenti hanno effettuato e secondo il giudizio che a seguito di dura preparazione sono riusciti a conquistare. In una gara, ad esempio una corsa oppure una maratona, la posizione di colui/colei che ha guadagnato il miglior tempo (o mostrato le migliori doti) è quella che in inglese è denominata front runner [pronuncia: front ranner]. La locuzione è composta dal termine front (comprensibile anche in italiano) che può tradurre “davanti, in postazione iniziale”, e dal sostantivo runner, derivato dal verbo run [pronuncia: ran] che significa “correre”.

Il front runner è quindi l’atleta che più probabilmente riuscirà a vincere la gara, il favorito, quello che con probabilità darà lustro alla propria nazione o compagine sportiva. E per estensione, in altri ambiti, la persona su cui puntare nel caso di elezione o incarico di prestigio. Già dal mondo classico lo sport ha rappresentato un fenomeno sociale rilevante, ma è nell’epoca della società di massa che viene reso oggetto di spettacolo, diventando una presenza costante nella vita delle persone. Di conseguenza anche la comunicazione verbale ne è influenzata. Metafore prese in prestito dal gergo sportivo vengono spesso utilizzate non solo nel linguaggio comune ma anche in quello più “elevato” della comunicazione ufficiale, basti come esempio soffermarsi sulle espressioni “fare squadra” o “gioco di squadra”. Mutuando le locuzioni dal linguaggio degli sport collettivi, anche se in un ambito del tutto differente, si vuole porre in evidenza che le persone chiamate a svolgere un compito amministrativo o politico debbano comportarsi come i singoli sportivi impegnati nella competizione insieme ad altri atleti: riconoscere la propria posizione o ruolo, si direbbe, ed impegnarsi non tanto per emergere individualmente bensì per raggiungere, insieme ad altri, un obiettivo prefissato.

Pensando alla politica contemporanea, alla situazione italiana, pare emergano pochi ma tenaci front runner e si stia dimenticando la definizione di squadra. La ricerca del successo, che poi si traduce nell’effimera gratificazione derivante dall’ ammirazione dei sostenitori o delle lodi di certa stampa, sembra animare coloro che dovrebbero avere a cuore il bene comune, adoperarsi per la collettività, per il benessere di tutti.

Qualche tempo fa Vittorino Andreoli, anch’egli noto psichiatra, esprimeva il proprio sconforto: “Viviamo in una società dominata dalle frustrazioni. La sensazione prevalente è quella di trovarsi in un ambiente in cui ci si sente esclusi, ci si sente insicuri, si ha paura. Si accumula così la frustrazione, che poi diventa rabbia. E la rabbia a cosa porta? Porta alla voglia di spaccare tutto. Il nostro tempo non è violento, è distruttivo”.

Certamente gli ideali che lo sport esprime non avrebbero nulla a che fare con la distruttività che Andreoli paventa in una società che egli stesso definisce ispirata al principio dell’“avere senza dare”! Ma front runner sembra tradurre effettivamente il bisogno di emergere, di affermarsi e – ahimè – prevaricare. E tutto ciò che ne consegue sul piano delle azioni e delle decisioni politiche si allontana enormemente dal fondamento della civiltà che è poi la relazione. Limitarsi ad inondare i social media di messaggi e frasi ad effetto, piuttosto che adoperarsi per firmare provvedimenti, studiare soluzioni serie ed impegnative ai tanti problemi che affliggono la nazione, è l’atteggiamento di chi in maniera egoistica e solitaria vuole procedere nella sua corsa verso la meta della notorietà a tutti i costi, del plauso, del successo.

Viviamo un tempo in cui, ci ricorda sempre Pietropolli Charmet, “non è ciò che si sa fare, non è la bravura che deve suscitare ammirazione, ma è la straordinaria persona che recita quella parte che ha bisogno di applausi: essere bravi è un’altra faccenda”. ☺

 

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