qualunque seme in qualunque posizione venga deposto sotterra finisce per spingere tutto ciò che lo sovrasta pur di vedere la luce. Il malato, nel letto del dolore, si intristisce ulteriormente al calar del giorno perché trova infinitamente lunga e insopportabile la notte, mentre gli amanti, sul giaciglio del piacere, ansimano per lo scorrere vorticoso del tempo. Per tutti però, anche se per opposti motivi, il riferimento è la luce del sole.
La piacevole lettura della tua ultima composizione, “La luce nel cuore”, mi ha suscitato emozioni ed evocazioni benché, come ben sai, tardo e completamente refrattario alla bellezza estetica della poesia. La sempre attuale ammonizione latina sutor, ne ultra crepidam (calzolaio, non oltre le scarpe), mi impedisce di inerpicarmi per gli affascinanti viottoli della disquisizione poetica, che pur amerei percorrere, ma mi consente di discorrere con te in una piacevole passeggiata che ci ritrova fianco a fianco per le strade del mondo.
Se il buio dice solitudine, monologo, anche titanismo oltre ogni ragionevole rassegnazione, per parlare di luce, come ben hai intuito ed espresso in questa sacra rappresentazione, non si può essere soli. Ed ecco Francesco, frate Leone e il coro danzare la vita in un meraviglioso intreccio.
Contro ogni tentazione narcisistica emerge che la luce è come la verità, è come l’amore, incontenibile, mai abbastanza, sempre sinfonica. Mettersi insieme diviene una necessità, entrare in relazione, riscoprire che è il tu, ad iniziare da quello che il credente scrive con la lettera maiuscola, a fondare l’esistenza di ogni io.
Non è necessario che tu ci dica che ogni persona ha diritto di esistere e quindi non possono darsi umani clandestini; che siamo tutti uguali e dunque non può esserci chi si pone al di sopra delle leggi; che tutti dobbiamo avere delle opportunità e nessuno può essere considerato esubero; che una chiesa gerarchica e piramidale deve fare spazio a una comunità popolo di Dio in cammino; che chiunque tenti di comprare l’amore non ne ottiene che disprezzo. Il poeta non ha bisogno di indicare l’elefante con il dito; è l’anelito a un mondo altro che deve restituirci, e tu questo lo hai fatto con maestria.
Caro fratel Gaetano è sempre un piacere passeggiare con te nel giardino fiorito della vita, consapevoli che ne siamo i custodi, non i proprietari, che possiamo usufruirne, non disporne, con l’unico mandato di aprirci all’amore per ogni altro, come i primi ospiti quando si scoprirono maschio e femmina, come gli amanti del Cantico dei Cantici che suggellarono “il mio diletto è per me e io per lui” (2,16), come la Maddalena che nel giardino della risurrezione scopre che l’amore ha sconfitto la morte. E Francesco non soleva ripetere “l’Amore non è amato”?
Se il seme preme la terra sovrastante finché non riesce a vedere la luce, noi dovremo forzare l’aurora di una nuova umanità a nascere.
È con simpatia che ti dico grazie per questa tua ultima fatica che ci spinge a gettarci senza remore e ipocrisie tra le braccia dell’amore.
Antonio Di Lalla
Minacciato amore,
sottile come un respiro,
possente
come le grandi acque,
fragile
da me custodito.
Amore,
corpo di Dio
e materia dell’uomo,
sostanza di luce,
chiarezza
di gioia e di vita.
Amore,
coppa versata,
sazia l’arsura
del giorno,
la notte t’avvolge.
Amore,
accerchiato
che a sua volta
t’assedia.
Amore
lampada che il buio
rischiara.
da La luce nel cuore
Caro fratel Gaetano,
qualunque seme in qualunque posizione venga deposto sotterra finisce per spingere tutto ciò che lo sovrasta pur di vedere la luce. Il malato, nel letto del dolore, si intristisce ulteriormente al calar del giorno perché trova infinitamente lunga e insopportabile la notte, mentre gli amanti, sul giaciglio del piacere, ansimano per lo scorrere vorticoso del tempo. Per tutti però, anche se per opposti motivi, il riferimento è la luce del sole.
La piacevole lettura della tua ultima composizione, “La luce nel cuore”, mi ha suscitato emozioni ed evocazioni benché, come ben sai, tardo e completamente refrattario alla bellezza estetica della poesia. La sempre attuale ammonizione latina sutor, ne ultra crepidam (calzolaio, non oltre le scarpe), mi impedisce di inerpicarmi per gli affascinanti viottoli della disquisizione poetica, che pur amerei percorrere, ma mi consente di discorrere con te in una piacevole passeggiata che ci ritrova fianco a fianco per le strade del mondo.
Se il buio dice solitudine, monologo, anche titanismo oltre ogni ragionevole rassegnazione, per parlare di luce, come ben hai intuito ed espresso in questa sacra rappresentazione, non si può essere soli. Ed ecco Francesco, frate Leone e il coro danzare la vita in un meraviglioso intreccio.
Contro ogni tentazione narcisistica emerge che la luce è come la verità, è come l’amore, incontenibile, mai abbastanza, sempre sinfonica. Mettersi insieme diviene una necessità, entrare in relazione, riscoprire che è il tu, ad iniziare da quello che il credente scrive con la lettera maiuscola, a fondare l’esistenza di ogni io.
Non è necessario che tu ci dica che ogni persona ha diritto di esistere e quindi non possono darsi umani clandestini; che siamo tutti uguali e dunque non può esserci chi si pone al di sopra delle leggi; che tutti dobbiamo avere delle opportunità e nessuno può essere considerato esubero; che una chiesa gerarchica e piramidale deve fare spazio a una comunità popolo di Dio in cammino; che chiunque tenti di comprare l’amore non ne ottiene che disprezzo. Il poeta non ha bisogno di indicare l’elefante con il dito; è l’anelito a un mondo altro che deve restituirci, e tu questo lo hai fatto con maestria.
Caro fratel Gaetano è sempre un piacere passeggiare con te nel giardino fiorito della vita, consapevoli che ne siamo i custodi, non i proprietari, che possiamo usufruirne, non disporne, con l’unico mandato di aprirci all’amore per ogni altro, come i primi ospiti quando si scoprirono maschio e femmina, come gli amanti del Cantico dei Cantici che suggellarono “il mio diletto è per me e io per lui” (2,16), come la Maddalena che nel giardino della risurrezione scopre che l’amore ha sconfitto la morte. E Francesco non soleva ripetere “l’Amore non è amato”?
Se il seme preme la terra sovrastante finché non riesce a vedere la luce, noi dovremo forzare l’aurora di una nuova umanità a nascere.
È con simpatia che ti dico grazie per questa tua ultima fatica che ci spinge a gettarci senza remore e ipocrisie tra le braccia dell’amore.
qualunque seme in qualunque posizione venga deposto sotterra finisce per spingere tutto ciò che lo sovrasta pur di vedere la luce. Il malato, nel letto del dolore, si intristisce ulteriormente al calar del giorno perché trova infinitamente lunga e insopportabile la notte, mentre gli amanti, sul giaciglio del piacere, ansimano per lo scorrere vorticoso del tempo. Per tutti però, anche se per opposti motivi, il riferimento è la luce del sole.
La piacevole lettura della tua ultima composizione, “La luce nel cuore”, mi ha suscitato emozioni ed evocazioni benché, come ben sai, tardo e completamente refrattario alla bellezza estetica della poesia. La sempre attuale ammonizione latina sutor, ne ultra crepidam (calzolaio, non oltre le scarpe), mi impedisce di inerpicarmi per gli affascinanti viottoli della disquisizione poetica, che pur amerei percorrere, ma mi consente di discorrere con te in una piacevole passeggiata che ci ritrova fianco a fianco per le strade del mondo.
Se il buio dice solitudine, monologo, anche titanismo oltre ogni ragionevole rassegnazione, per parlare di luce, come ben hai intuito ed espresso in questa sacra rappresentazione, non si può essere soli. Ed ecco Francesco, frate Leone e il coro danzare la vita in un meraviglioso intreccio.
Contro ogni tentazione narcisistica emerge che la luce è come la verità, è come l’amore, incontenibile, mai abbastanza, sempre sinfonica. Mettersi insieme diviene una necessità, entrare in relazione, riscoprire che è il tu, ad iniziare da quello che il credente scrive con la lettera maiuscola, a fondare l’esistenza di ogni io.
Non è necessario che tu ci dica che ogni persona ha diritto di esistere e quindi non possono darsi umani clandestini; che siamo tutti uguali e dunque non può esserci chi si pone al di sopra delle leggi; che tutti dobbiamo avere delle opportunità e nessuno può essere considerato esubero; che una chiesa gerarchica e piramidale deve fare spazio a una comunità popolo di Dio in cammino; che chiunque tenti di comprare l’amore non ne ottiene che disprezzo. Il poeta non ha bisogno di indicare l’elefante con il dito; è l’anelito a un mondo altro che deve restituirci, e tu questo lo hai fatto con maestria.
Caro fratel Gaetano è sempre un piacere passeggiare con te nel giardino fiorito della vita, consapevoli che ne siamo i custodi, non i proprietari, che possiamo usufruirne, non disporne, con l’unico mandato di aprirci all’amore per ogni altro, come i primi ospiti quando si scoprirono maschio e femmina, come gli amanti del Cantico dei Cantici che suggellarono “il mio diletto è per me e io per lui” (2,16), come la Maddalena che nel giardino della risurrezione scopre che l’amore ha sconfitto la morte. E Francesco non soleva ripetere “l’Amore non è amato”?
Se il seme preme la terra sovrastante finché non riesce a vedere la luce, noi dovremo forzare l’aurora di una nuova umanità a nascere.
È con simpatia che ti dico grazie per questa tua ultima fatica che ci spinge a gettarci senza remore e ipocrisie tra le braccia dell’amore.
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