Ma i voti servono?
18 Febbraio 2020
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Ma i voti servono?

“Lo dico senza paura: se uno studente studia solo per prendere un bel voto, vuol dire che abbiamo sbagliato tutto… Ci sono esperienze, progetti, sperimentazioni di scuole che ci dicono che, sostituendo i voti con sistemi valutativi non numerici, i risultati complessivi migliorano, e si abbassano i fattori di stress e di ansia da prestazione…”. Su ilLibraio.it, una coraggiosa riflessione, destinata certamente a far discutere, di Enrico Galiano, insegnante e scrittore molto popolare anche sui social, ha attirato la mia attenzione su un tema che da anni mi interessa e mi tormenta: l’attuale sistema di valutazione scolastica.

Mi permetto di riportare integralmente l’intervento, in questo numero della rubrica, perché non ci sono parole migliori per sollevare il problema con semplicità e concretezza. E per iniziare, volendo, a rimettere in discussione un meccanismo arrugginito che fa acqua da tutte le parti, oltre che danni. Eccolo. Buona lettura.

Qualche giorno fa sono stato ospite di una scuola, in Umbria. Mentre ero in macchina con una maestra che mi stava portando lì, si parlava di voti. E lei a un certo punto mi fa: “Da noi alle medie i professori hanno ridotto il voto minimo da 4 a 2”.

Mi giro, la guardo. Pensavo a uno scherzo. L’accento umbro del resto è sempre un po’ giocoso. Così le chiedo: “Come, scusa?”

“Sì, si son fatti la proposta in collegio docenti, e poi se la sono votata. Adesso se vogliono possono mettere 2 nei compiti e nelle interrogazioni”.

No, non stava scherzando. Scuole medie. Età: dagli 11 ai 14. E possono ritrovarsi un 2 bello grande in rosso in fondo al compito di matematica, all’esecuzione di un brano musicale, a un commento a una poesia.

Ora: fate finta di avere 11 anni. Di venire da una famiglia dove nessuno ha studiato. Di non avere libri in casa e di essere cresciuto con l’idea che al massimo nella vita farete l’operaio. E al primo compito delle medie vi ritrovate davanti a un 2. E poi rispondete: vi impegnerete di più per migliorare, oppure si insinuerà in voi l’idea di essere degli incapaci in quella materia?

Non so se l’avete mai visto, ma c’è quel bellissimo video in cui Daniel Pennac parla della sua esperienza di insegnante. E dice: “Frequentando le aule scolastiche, mi sono reso conto che uno dei problemi fondamentali della scuola è la paura”. Quanta ragione ha il vecchio Pennac, che da bambino era un pessimo studente e che poi in classe c’è stato per trent’ anni da insegnante.

Paura di non farcela. Paura di non essere abbastanza. Di non valere niente. Quante volte ci troviamo di fronte a ragazzi ormai rassegnati all’idea di non essere capaci di scrivere, o di fare i calcoli, o di parlare inglese? Tante, troppe.

E quante volte, invece, siamo noi insegnanti i primi a renderci conto che l’intelligenza c’è, che quel ragazzo, se solo ci credesse un po’ di più, potrebbe scrivere bene, potrebbe fare i calcoli senza problemi o parlare inglese benissimo? Tante, troppe.

L’Italia ha un tasso di abbandono scolastico altissimo; l’ansia sta diventando endemica fra i nostri ragazzi; i risultati nei test di italiano e matematica ci fanno stare male: e pensiamo di cambiare questa situazione a colpi di 2?

Non sto dicendo che i voti siano il male assoluto. Né che togliendo quelli, poi come per magia tutto si aggiusti. Ma non possiamo far finta di non vedere che attualmente portano più danni che benefici. Che sono un ottimo incentivo a migliorare per chi è già bravo, ma un perfetto scoraggiante per chiunque abbia solo bisogno di un po’ di fiducia e di autostima. Che spesso diventano l’unico motivo per cui studiare (prendo un bel voto, così i miei mi lasciano fare cose e/o stanno tranquilli e non mi mettono ansia).

Lo dico senza paura: se uno studente studia solo per prendere un bel voto, vuol dire che abbiamo sbagliato tutto. E vista la frequenza con cui i ragazzi mi dicono di studiare solo per il voto, direi che stiamo sbagliando tanto.

Ci sono esperienze, progetti, sperimentazioni di scuole che ci dicono che, sostituendo i voti con sistemi valutativi non numerici, i risultati complessivi migliorano, e si abbassano i fattori di stress e di ansia da prestazione.

Perché non proviamo pensare a un’altra strada, a togliere il nostro sguardo sempre fisso sul risultato e a spostarlo, piuttosto, sul processo: sul viaggio, più che sulla meta? Perché non ce la facciamo davvero tutti, quella domanda: ma i voti servono davvero?☺

Enrico Galiano (insegnante, scrittore, videomaker e blogger) è nato a Pordenone nel 1977. Insegnante in una scuola di periferia, ha creato la webserie “Cose da prof”, che ha superato i venti milioni di visualizzazioni su Facebook. Ha dato il via al movimento dei #poeteppisti, flashmob di studenti che imbrattano le città di poesie.

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