Note sparse
Ci soffermiamo ancora una volta sul tema, profondamente dirimente, ahimè! della guerra o della pace, allo scopo di ribadire una visione della storia, della vita e della società, che sia rivolta fondamentalmente ad alimentare il profondo rispetto delle idee di ciascuno, senza pregiudizi o incongrue espressioni di superiorità etnico/culturale. Tale riguardo sicuramente alimenta una prospettiva, e perché non? anche ideologica, in grado di guardare al futuro, potendo in questo modo, specialmente oggi in tempi di guerra, cercare di evitare la catastrofe climatico/ambientale, prossima ventura, che distruggerà il nostro Pianeta, provocando in questo modo l’estinzione di tutte le specie viventi. Di qui, dobbiamo immaginare un presente diverso da come esso appare oggi e che sia capace di alimentare un confronto civile, pur se spinoso e acerbo, con culture ed esperienze discordanti dalle nostre e così veramente rinunciare al dileggio aggressivo e distruttivo dell’ avversario, così come oggi verifichiamo nella realtà quotidiana, sui giornali, sulle TV pubbliche e private. Infatti, è davvero insopportabile il clima di incultura e di villania insolente nei confronti di quanti non condividono punti di vista contrapposti rispetto alla vulgata alla quale assistiamo. E di quale vulgata parliamo? Di quella delle guerre, della pace, dei migranti: tematiche che il più delle volte mettono in sordina altri problemi, che pur hanno un enorme rilievo ed un impatto concretamente visibile sulle persone.
Infatti, si parla non abbastanza della mancanza di lavoro; dell’assistenza sanitaria che latita completamente e che viene garantita prevalentemente al ceto abbiente o a quello medio/alto borghese; della pressione tributaria abnorme che va a privilegiare ancora una volta i ricchi, come pure dell’inefficiente controllo dell’evasione fiscale o dell’ inadeguato contrasto alla corruzione.
Allora, alla luce di questa veloce, e, ce ne rendiamo conto, anche parziale analisi dello status quo in cui versano la morale, l’etica, e di conseguenza il grido, che i non abbienti rivolgono al Potere, ci rendiamo conto che la strada verso un responsabile impegno civile/sociale/culturale/politico più ampio e anche più proficuo è davvero lunga, impervia, difficilmente praticabile oggi. Da un lato, dunque, la consapevolezza di una parte cospicua della società di non essere presa in considerazione dall’establishment – e in buona sostanza la possiamo indicare in quella, ampia e molto nutrita, che non va a votare più da almeno 20 anni a questa parte. Da un altro, ci sono spezzoni di società che si rifanno ad una visione della società in chiave dichiaratamente anticapitalistica, che, però, oggi appare poco praticabile. Ma questo scenario complessivo rimane su binati morti, irrealizzabile per l’impossibilità dei movimenti antiliberisti e anticapitalistici di condividere un minimo di programma compartecipato da tutti. Pertanto, questo abbiamo di fronte: una società completamente soggetta al diktat liberista, che ottunde le coscienze. Dunque, anch’essi sono in un certo qual modo responsabili della propria emarginazione e della impraticabilità di rappresentare quanti – i non abbienti, i migranti, l’universo femminile, il lavoro, la scuola, la sanità – auspicano una società più giusta, solidale, che abbia come DNA la lotta e l’eliminazione delle gravissime diseguaglianze alle quali assistiamo ogni giorno di più.
Nello stesso tempo, però, riconosciamo quanto sia difficile mettere in pratica questa prospettiva, questa visione della storia e della vita degli individui, perché a disarticolarla ci pensano il mercato e la sua filosofia aziendalistica e quindi iperschiavista, come pure la irrazionalità pervicace di Stati che prediligono i conflitti. I danni e le distruzioni sono sotto gli occhi di tutti noi, a partire dai conflitti armati pericolosissimi in atto in molte regioni del nostro Pianeta ed arrivare, poi, all’applicazione, a danno delle popolazioni, di regole che impone la finanza internazionale, ormai padrona assoluta degli ex Stati nazionali e della vita delle rispettive popolazioni. La pandemia sembra proprio che non ci abbia insegnato nulla, vista la regressione di civiltà che stiamo vivendo anche in considerazione del conflitto russo/ucraino e di tutti gli altri conflitti armati su cui i media tacciono colpevolmente. La pandemia del Covid 19, infatti, ha messo in risalto l’assoluta necessità di porre rimedio al dissesto sanitario nazionale che, fin dalle prime avvisaglie della diffusione del Covid 19, ha mostrato tutte le sue criticità, le sue carenze strutturali che si possono riassumere in pochissime battute: incremento abnorme ed irresponsabile della sanità privata; penalizzazione (leggi “privatizza- zione” assurda) della sanità pubblica; modesta ed inefficace presenza sul territorio della medicina territoriale, liste di attesa abnormi, carenza assoluta di personale medico e paramedico… La stessa osservazione la possiamo fare per il settore dell’istruzione, primaria, secondaria e universitaria, che i governi, che si sono succeduti in questi anni, hanno colpevolmente reso inefficiente e soggetto agli interessi della grande e piccola industria. L’ alternanza “scuola/lavoro” lo sta chiaramente dimostrando, sia perché destabilizza la “scuola”, che ha il compito costituzionale di “formare” il cittadino, forgiandolo con lo studio e la cultura; e sia perché la cosiddetta “formazione professionale”, che possiamo indicare con la parola “competenze”, attiene alla stagione successiva al conseguimento del diploma di scuola superiore.
A partire dalla fine degli anni Settanta e l’inizio di quelli Ottanta del secolo scorso (brrr!!!), ci sono state le “150 ore”, che ai lavoratori, che le chiedevano, davano l’opportunità di conseguire un diploma di scuola media o di scuola superiore. La classe operaia – ossia l’universo del lavoro dipendente – voleva capire il mondo e chiedeva di possedere gli strumenti, ossia la cultura, per poterlo fare. Ma l’alternanza “scuola/lavoro” a quale attitudine, a quale inclinazione predispone lo studente? C’è da chiederselo e fare le barricate anche su questo. Ma chissà chi le farà!☺
