il muro dell’ipocrisia
22 Febbraio 2010 Share

il muro dell’ipocrisia

Nel numero di novembre abbiamo scritto del “muro di Berlino” e del significato che esso ha avuto in Occidente e in Oriente: entusiasmi alle stelle, celebrazioni per la riconquistata libertà dai ceppi oppressivi dell’ex colosso sovietico. Il muro si è sbriciolato sotto i colpi dei picconi.

L’amarezza e l’incredulità per tanta scellerata superficialità ed impunita infingardaggine politica l’abbiamo espressa: et tantum sufficit.

Ma il mondo è divenuto migliore? Noi siamo convinti di no, anche perché il vincitore – il capitalismo che ha generato il neoliberismo globalizzato – non fa nulla per non celare il suo vero volto, simile ad una bestia ringhiosa ed aggressiva.

Jean Giono, come pure gran parte degli intellettuali del Novecento, attribuiva a questa manifestazione di aggressività del capitalismo lo strumento della guerra fra le nazioni e quello del conflitto antagonistico all’interno dei singoli stati che il ceto maggiorente e finanziario ha messo in pratica nei confronti dei deboli, dei non abbienti e di quanti sono ancora legati alla visione di un mondo agricolo che le vicende legate all’economia dei processi transgenici sta radicalmente modificando. Oggi il “muro” che separa le persone, le nazioni, il mondo in genere è raffigurato dall’avarizia, grande peccato capitale in senso biblico, qui intesa, però, come manifestazione di una aggressiva cultura accumulatrice, che tende a eliminare lentamente i diritti dei lavoratori, riducendoli a schiavi. 

Giorni fa – 11 novembre – un altro “muro” è stato eretto nell’Italia meridionale, nelle campagne di Eboli: a San Nicola Varco, nella Piana del Sele la giustizia, il rispetto dell’attività lavorativa delle persone, anche migranti, il senso dell’accoglienza di chi – immigrato – non è ancora in regola con la legge ma che dà un contributo sostanziale all’accrescimento del PIL del nostro paese, sembrano tutti scomparsi per dare posto ad una rozzezza comportamentale che né dalle istituzioni giudiziarie, né dai corpi delle forze dell’ordine, né dai gruppi politici che amministrano i comuni, le province, le regioni  ci saremmo aspettati.

Diverse centinaia di migranti – lavoratori, costretti a vivere in un habitat irriguardoso per un essere umano ed in condizioni igieniche disperate, sono state fatte evacuare dal cosiddetto “ghetto” di San Nicola Varco di Eboli dalle forze dell’ordine e sono state costrette a cercarsi un altro “buco” per abitazione – che vergogna per noi! -, senza che nessuno abbia tentato di regolarizzare la presenza di poche decine di irregolari che sono stati lì trovati e nel contempo dare una sistemazione dignitosa a tutti (quindi, alla stragrande maggioranza di regolari!), mediante un processo di accoglienza istituzionale che dovrebbe costituire il punto di partenza per una politica concreta dell’accoglienza e dell’integrazione del migrante nel paese che lo ospita e che gli dà il lavoro.

Invece, nulla di tutto questo e giù “botte da orbi”…

È proprio qui, in questo interstizio sociale che bisognerebbe intervenire, attraverso un sempre più consapevole senso civico che si accompagni alla nostra attività quotidiana. Ci muoviamo all’interno di una società nella quale la disponibilità per gli altri viene meno, in quanto aggredita da un senso di  frustrazione legato alla crisi economica attuale e alla smisurata dimensione  e presenza nella società di quell’egoismo di classe, che ci spinge a dire che gli stranieri, gli immigrati, tutti i poveri in genere sono una “specie” pericolosa in quanto contribuiscono ad accrescere con la loro presenza la precarietà dell’esistenza che ad essi non si può certo attribuire.

La crisi dell’economia oggi fa vedere nemici dappertutto, anche là dove non ci sono, o anche là dove invece interagiscono con noi dei soggetti – i migranti – necessari per molti settori della nostra attività produttiva. Noi, invece, creiamo quel muro di diffidenza, di avversione che non solo non ci fa onore ma che costruisce e promuove una ostilità che sfocia in illegittimi, irrazionali ed anticostituzionali atti di oppressione e di persecuzione.

Se vogliamo trovare un senso oggettivo alle ragioni della “legalità”, al perché si debba applicare il sano principio dell’osservanza delle leggi lo troviamo sicuramente nel diffondersi abnorme di questi comportamenti e atteggiamenti ostili ed irrazionali.

Non deve apparire soltanto un atteggiamento intellettuale il ricorso al rispetto delle norme sancite dalla Carta Costituzionale; tale richiamo alla Costituzione è necessariamente naturale là dove una comunità, grande o piccola che sia, intenda perseguire il fine della convivenza civile e rispettosa di tutte le diversità.

È la scuola che ha il compito di educare al senso del rispetto delle culture degli altri; è l’università che deve esprimere sensibilità ed attenzione verso i temi di una visione eticamente costruttiva e sana della società e puntare solidamente su un nuovo processo di alfabetizzazione civile.

Dal mondo accademico dobbiamo anche immaginare che parta un percorso di rinnovato senso civile, di compartecipazione collettiva alle dinamiche sociali, culturali, economiche tali da costruire un nuovo sentimento di cittadinanza partecipata. Infatti, ingenera sempre un senso di disgusto e di repulsione constatare che i più nella politica utilizzino forme di nepotismo sfacciato, strumenti di privilegio classista che vanno a vantaggio del più disonesto, in quanto più ricco. Fa sempre senso cogliere il grande disagio che percorre trasversalmente tutti i settori della società al vedere che vengono premiati i truffatori, i colletti bianchi, letteralmente collusi con la illegalità mafiosa e perno delle strategie selvaggiamente aggressive della legalità.

La legalità deve essere una forma mentis naturalmente tesa al bene comune, alla realizzazione di quei progetti nei quali il benessere sociale, economico, civile appartenga a tutti indistintamente.

Noi di LIBERA Molise stiamo facendo un percorso di formazione in questa direzione, convinti che sia necessario essere disponibili, umili e consapevoli di non avere verità in tasca. La società oggi ha bisogno dell’esempio silente di quanti credono realizzabile una nuova stagione della cultura civile, attenta alle sofferenze e ai bisogni più elementari.

Quando si parla di legalità, non dobbiamo dimenticare che il perno di tutti i problemi è la mancanza del lavoro e  tale sofferenza induce al ricatto o alla soggezione dolorosa, come pure altro elemento centrale che determina squassi sociali e civili  è tutto quello che ruota attorno al Welfare state, che viene proditoriamente aggredito e annullato, e che attiene alla concezione solidaristica della società.

Si deve riaffermare l’unicità fondamentale di quella situazione storica nella quale chi ha di più lo mette a disposizione della collettività (assenza di diseguaglianze sociali; tassazione equamente distribuita sulla base del censo effettivo; una concezione dello Stato che tuteli chi ha problemi di qualsiasi natura; una visione multietnica e multiculturale della società che non infici il valore delle tradizioni e delle culture ad esse collegate; etc.). C’è in effetti tanto da fare, pur in presenza di una ringhiosa e tracotante subcultura postmoderna che tanto comodo fa a quanti detengono malamente il potere e il controllo delle istituzioni. Non ci spaventiamo di dare un nuovo inizio alle nostre storie, che saranno tanto più proficue quanto più esse si confonderanno nell’agire naturale di tutti.  ☺

bar.novelli@micso.net

eoc

eoc