Gli appetiti non conoscono limiti
12 Novembre 2022
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Gli appetiti non conoscono limiti

Dopo la pandemia del Covid 19 dal 24 febbraio di quest’anno è sopraggiunta la guerra russo/ucraina, fomentata nel corso degli ultimi anni dagli Usa e dalla NATO ai danni della Federazione russa, che irresponsabilmente ha con il suo esercito invaso l’Ucraina. Sorvolo su una considerevole mole di problemi collegati a tale scelta putiniana profondamente scellerata, perché in questa circostanza cerco di focalizzare alcuni aspetti che tale conflitto allo stato attuale degli scontri presenta ed amplia a dismisura. Alla rabbia ed al profondo dolore per una tale contrapposizione conflittuale cruenta, dolorosa, di cui le responsabilità prossime sono indubbiamente dell’ autarca russo Putin non predisposto a contrastare in altro modo le provocazioni espansionistiche verso il continente euro/asiatico degli USA che si avvalgono della primazia della loro spietata potenza finanziaria, vorace, oltremodo aggressiva, alla rabbia, dicevamo, si aggiunge l’amarezza, cruda, nel constatare che il Parlamento e il governo Draghi (dimissio- nari ed ora sostituiti dalla dx!)  hanno scelto la strada dell’invio di armi all’Ucraina invece di applicare la Costituzione, che all’art. 11 vieta al nostro Paese di fare ricorso alla guerra, se non per difendere il territorio metropolitano da attacchi che ne invalidino la sicurezza e la libertà. Inoltre, il nostro Paese non ha cooptato risoluzioni diplomatiche che potessero vedere l’ONU (ed in subordine l’UE) protagonista di iniziative di pace fra la Federazione russa e l‘aggredita Ucraina.

Solo guerra e odio sono stati fomentati da entrambi i fronti e tali scelte hanno acuito la distanza ora abissale tra un ceto politico (quello di casa nostra!) politicamente inidoneo, e cosa ben più grave infeudato alla finanza internazionale (USA, in primis), e la gran parte della società civile, che non ha condiviso la decisione parlamentare e governativa di sostituire al dialogo l’invio di armi agli ucraini. La stoltezza, la rissosità, lo sfrenato desiderio di assoluta primazia ancora una volta accompagnano l’agire politico ed amministrativo. Purtroppo, tali comportamenti sono all’ordine del giorno nel nostro Paese e, più in generale, nella UE – l’arroganza olandese sul versante della quotazione dei combustibili; l’ambiguità tedesca a proposito delle sanzioni alla Russia; la politica, a prescindere dall’ attuale conflitto armato russo/ucraino, pervicacemente antirussa di Polonia e Finlandia, tra le altre, senza dimenticare l’ossequioso atteggiamento del nostro paese nei confronti dell’ amministrazione statunitense – tali espressioni comportamentali sono la manifestazione della sudditanza dell’Europa nei confronti degli USA e del suo esercito, la “NATO”… Ma la NATO non doveva sciogliersi alla sparizione del Patto di Varsavia, costola militare ed ideologica della ex URSS? Così non è stato!

Ma su quale concetto – politico, ideologico, culturale – poggia la supposta primazia dell’Occidente e del Nord del mondo – americanizzati – nei confronti di tutti gli altri paesi? In verità, purtroppo, di ragioni ne vengono presunte tante; ne scelgo una sola ed è il concetto di “modernità” in base al quale l’ Occidente e il Nord del mondo pretendono di essere gli unici leader del pianeta che siano stati capaci di raggiungere un particolare stile di vita, al quale ovviamente  non intendono per nessuna ragione rinunciare. Ma cosa è la “modernità”, come può essere definita? La “modernità” viene ritenuta l’epoca – tra il XVIII e il XIX secolo – nella quale ha avuto inizio il processo di industrializzazione, grazie, in particolare, all’utilizzazione prima del carbone e poi del petrolio, e l’opinione diffusa è che tale processo di innovazione industriale, cui ha fatto seguito l’innovazione tecnologica, sia nato e si sia affermato in Europa e negli Stati Uniti d’America. Da qui, l’altera immodestia del mondo occidentale e di quello del nord del mondo di essere gli alfieri della civiltà e i portatori di valori, quali la democrazia, la libertà, uno status sociale soddisfacente per ampi settori della popolazione, esclusivo patrimonio dell’Occidente e che altri (l’EuroAsia; l’India, la Cina) non possederebbero, autoescludendosi da qualsiasi tensione a “domi- nare” a “guidare”, a “civilizzare” gli altri popoli e le altre nazioni.

Ma è proprio così che va posta la questione della “modernità”? Da numerose ricerche (ne cito una, per esempio, La grande cecità di Amitav Ghosh) e dagli studi storiografici sappiamo che molte innovazioni – a partire dal Cinquecento all’Ottocento – si sono registrate anche nel continente euroasiatico, diffondendosi non solo verso l’Oriente indo/cinese, ma altresì in direzione dei paesi europei. Trattati scientifici, di botanica, di matematica, di innovazioni tecnologico/militari, di filosofia si sono diffusi ampiamente circolando tra l’EuroAsia (Russia; India; Cina) e l’Europa e, di conseguenza, anche verso il continente americano. Di qui, è assodato ormai da secoli che la “modernità” sia un fenomeno globale, che si è manifestata quasi nello stesso tempo in molte, diverse, parti del mondo. Ma tali considerazioni sono state messe in discussione dalla supponente convinzione dell’Occidente americanizzato (USA e UE) di essere l’unico depositario della “modernità” con i suoi valori liberali. Ma sono stati l’India e la Cina i primi produttori di carbone e di petrolio al mondo; se poi queste risorse  (a causa di motivazioni che per esigenza di brevità potremmo delineare in altra occasione) siano state commerciate molto tempo dopo rispetto alla commercializzazione europea delle stesse, questo appare un altro problema.

Allora la battaglia culturale riguarda oggi anche questo versante, nel quale appare necessariamente fondamentale sottolineare con forza che la “modernità” non è un valore, se così possiamo definirlo, solo occidentale, ma globale, mondiale. Infatti, ad essa hanno contribuito civiltà e popoli diversi, il cui obiettivo è stato – ed è – comune, ossia quello di elevare la qualità della vita di tutta la popolazione mondiale, nel tentativo di superare gli steccati ideologici e economico/finanziari al fine di conseguire la cosiddetta “pace universale”, la kantiana Pax perpetua, che a tutte le culture dovrebbe interessare, se vogliamo salvare il nostro Pianeta dalla catastrofe climatica che si sta profilando all’orizzonte ormai prossimo.☺

 

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