Insulti per apparire
13 Dicembre 2024
laFonteTV (3870 articles)
Share

Insulti per apparire

Qualche anno fa suscitò enorme curiosità l’identificazione dell’autrice di alcuni romanzi di successo – da cui sono state tratte altrettanto famose serie televisive tuttora in programmazione – che ha scelto Elena Ferrante come nom de plume con cui firmare le sue pubblicazioni, ed ha continuato a tenere celata la propria identità. Un giornalista, all’appassionata ricerca della soluzione all’ enigma, sosteneva tra le altre cose il fatto che ci troviamo a vivere in “una civiltà come la nostra, in cui si esiste solo se si appare” (C. Tagliaferri, M. Murgia, Morgana. Il corpo della madre).
Se non appari non esisti! L’ affermazione, dal valore alquanto discutibile, sembra rispecchiare appieno il nostro tempo. C’è, infatti, un aspetto della vita di ciascuno/a di cui la maggior parte delle persone è alla ricerca quasi spasmodica: la visibilità, vale a dire riuscire a mostrarsi, a far parlare di sé, a guadagnarsi un attimo o un rigo di popolarità per azioni, dichiarazioni, partecipazione ad eventi di poca o molta importanza. In senso generale non si tratta di qualcosa di negativo o da condannare totalmente, ma spesso se ne avverte una percezione distorta, ed è quello che cercherò di spiegare.
La società delle immagini, predominante a tutti i livelli, contribuisce ad alimentare ulteriormente il bisogno di visibilità. Ci sono persone che preferiscono mostrare sé stesse a volte per il semplice piacere di essere ‘sulla bocca di tutti’ oppure ritagliarsi una prima pagina su quotidiani e riviste, magari anche un breve trafiletto, tanto per appagare il proprio ego, desideroso anzi bisognoso di notorietà.
Spesso i tentativi per rendersi visibili sfociano in atti singolari o situazioni bizzarre – di cui non intendo qui scrivere – ma il terreno più fertile nel quale l’ansia di apparire trova nutrimento è quello della comunicazione verbale, in cui l’audacia e la sfrontatezza si traducono in affermazioni di valore approssimativo e grossolano. Uno degli espedienti per ottenere visibilità è, oggi, il dissing, l’azione di “insultare e umiliare apertamente qualcuno” soprattutto attraverso una strofa, rima o brano rap. Negli ultimi decenni dissing è stata una pratica che gli artisti del genere musicale rap hanno utilizzato per dialogare, attraverso i propri testi, con altri musicisti, soprattutto al fine di effettuare osservazioni o avanzare critiche, via via sempre più pesanti fino ai veri e propri insulti!
Non è una novità: la letteratura, anche quella antica, classica, è piena di esempi di componimenti che contengono critiche, anche feroci, nei confronti di persone – sia che rivestissero cariche pubbliche sia semplici conoscenti dell’autore – e tale pratica, accettata e condivisa, aveva lo scopo di ristabilire chiarezza nei rapporti o denunciare un comportamento riprovevole e renderlo noto ai più. Il dialogo sincero tra persone che, pur manifestando divergenze di opinione, espongono i propri punti di vista è l’espressione più alta di convivenza civile e di democrazia. Il conflitto non è sempre qualcosa da temere: quando esso si verifica la soluzione per tentare di risolverlo non sono l’arroganza o la violenza, bensì la comunicazione efficace che non nasconde la verità e non si affida al pregiudizio.
Tornando al termine dissing c’è da osservare che sul piano linguistico il nostro vocabolario lo sta accogliendo adattando il verbo inglese dis con l’aggiunta, all’infinito, della desinenza italiana -are della prima coniugazione, con raddoppiamento della -s per inseguire la pronuncia inglese che vuole dis con la -i breve. A partire dagli anni Duemila questo neologismo dissare si riscontrava soltanto nel gergo della musica rap italiana, mutuato dal lessico angloamericano, ed è stato veicolato – rispetto all’inglese – col solo significato ristretto di ‘insultare causticamente qualcuno o qualcosa attraverso il testo di una canzone’, in particolare del genere hip hop.
Rispetto agli inizi dissare sta assumendo altri significati, quali quello di ‘denigrare e screditare qualcosa o qualcuno’ e non più esclusivamente attraverso il testo di una canzone: il dissing ha preso piede anche in altri ambiti quali il mondo dello spettacolo e della tv oppure i social network. Si è giunti così all’abitudine di esprimere pareri e/o giudizi, sollevare polemiche, criticare aspramente una o più persone servendosi dei media o della Rete. E al contempo aspettarsi repliche, spiegazioni, giustificazioni, ed innescare così un dibattito acceso privo di contenuto costruttivo o edificante. E lo ha spiegato sinteticamente Andrea Scanzi qualche mese fa: “C’è stato un tempo in cui anche la litigata era foriera di ispirazione e capolavori. Ora invece si chiama dissing, e partorisce solo schifezze. Condoglianze”.
Se apparire, per il semplice gusto di rendersi visibile, conduce ad una pratica così opinabile, meglio l’anonimato ostinato di Elena Ferrante, che ai tentativi di scoprire la sua identità ha opposto la sua missione di scrittrice ‘reale’ anche se non in scena. Ed ha sostenuto con fierezza: “La finzione letteraria mi pare fatta apposta per dire sempre la verità”.☺

laFonteTV

laFonteTV