Pace, non più guerra
Anche quest’anno vivremo un Natale accompagnato da botti micidiali, propri di guerre che sembrano a noi lontane, ma che ci appartengono più di quanto appare. Giorni particolari, tutti segnati, al pari di quelli del Covid, da lutti e pianti, e, in più, da ferite e menomazioni, distruzioni di vasti territori. I luoghi che raccontano la storia; la cultura; le tradizioni; il sorgere e il calare del sole; le falci di luna e la luna piena; il cielo strapieno di stelle lucenti e spente; la natura con la sua biodiversità; l’identità di chi li vive questi luoghi con gli altri, non importa se parenti, amici o solo paesani. Giorni insanguinati che alimentano la paura e limitano la speranza, anche quando il Dio dell’amore e della pace ci dona la gioia della nascita nel suo significato di presenza e vicinanza, proprio là dove si contano i morti e i feriti a migliaia, la gran parte donne e bambini. Non lontana è la guerra in Ucraina, una terra e un popolo altrettanto martoriati, da pari criminali che la guerra la dichiarano o la alimentano con le armi e le bombe, che, oggi, nel tempo del dio denaro, è il più grande degli affari per chi le armi le produce, le promuove e le vende. L’idea che mi son fatta è che stanno svuotando i silos per riempirli di nuove armi, quelle prodotte dall’intelligenza artificiale. Pazzi scatenati e, come sopra scrivevo, criminali.
Erano questi i pensieri che più hanno accompagnato la mia presenza in Cattedrale; in piazza; davanti al monumento che riporta i nomi dei caduti in guerra, e nel cimitero nella cappella che raccoglie le lapidi di vittime – parlando dell’ultima guerra – di una dittatura, quella fascista. La mia presenza alla celebrazione della giornata del 4 Novembre, Festa dell’Unità nazionale e delle Forze armate, che a me, quale uomo di pace orfano di guerra, piace nominare Forze dell’ordine, fondamentali per l’affermazione e il rispetto dei valori riportati nella Carta Costituzionale italiana, opera di quanti hanno lottato e posto resistenza al nazifascismo e liberato l’Italia dalla dittatura fascista.
Una giornata celebrata dalla Sezione di Larino dell’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, organizzata come ogni anno da Giuseppe (Peppino) Silvano, il figlio di Gennaro, che, tanti anni fa, ha aperto la Sezione e creato un piccolo museo.
La ripetizione di un rituale: ritrovo in piazza Vittorio Emanuele, corteo, celebrazione della santa messa alla presenza del sindaco e dei rappresentati in Consiglio comunale, delle Forze dell’ordine, dell’ Associazioni e Istituti scolastici e di scolaresche, con gli alunni che davanti al monumento ai caduti di tutte le guerre, hanno letto testi contro la guerra, la repressione, la non libertà e lettere di condannati a morte. La non libertà! Infatti che libertà è quella che vieta il dissenso, come pure quella che vede un territorio opzionato da società, affamate di denaro, che lo vogliono cancellare con una nuova colata di pali/pale eoliche e di pannelli solari. Le cosiddette fonti di energie pulite o rinnovabili, che, però, rubano la sola energia vitale, quella sprigionata dal terreno con la produzione di cibo. La follia di un sistema che produce disastri con i fossili, facendo impazzire il clima, e tutto e solo per ringraziare il dio denaro, predatore assoluto, con i suoi adepti e il sistema neoliberista, della terra, Distruttore di valori, a partire dal tempo e, cioè, della storia e della cultura, la bellezza dei paesaggi espressi dalla natura e la sua biodiversità.
Del territorio e del suo valore di bene comune ha parlato, nel corso di un’interessante omelia, don Lino Antonetti, il giovane parroco della Cattedrale di Larino, che non ancora ha avuto la possibilità di sentire suonare a distesa (è s’devàllùne) la grande campana che, con i suoi rintocchi, raggiunge, partendo dal Biferno e la sua preziosa pianura le colline olivetate di “Gentile di Larino”, “salegna” e “san Pardo”. In pratica ogni angolo del territorio per annunciare la Festa.
Se è vero, com’è vero, che il buongiorno si vede dal mattino, il neoparroco, così giovane, è già il buon pastore di una comunità che da tempo ne ha bisogno per ritornare – facendo tesoro e non sperperando il suo bene comune, il territorio – ad essere, come un tempo, il punto di riferimento dell’agroalimentare molisano e di un Molise che, se resta tale, ha tutto per diventare un punto di riferimento nazionale. Pace, non più guerra.☺
