Pensieri post referendum
Sconfitta messa in conto, annunciata, voluta; ma non per questo meno bruciante. Abbiamo sperato contro ogni consapevolezza che il grande rilievo sociale dei quesiti inducesse al voto; ma anche la totale mancanza di informazione mediatica non può giustificare un’astensione così alta.
Certo, l’esperienza di campagna referendaria condivisa che abbiamo vissuto lascia comunque un senso di vicinanza e di accordo foriero forse di un barlume di unità tra le voci così disperse della sinistra vera; ed è stato bello, senza se e senza ma, stare di nuovo nelle strade e nelle piazze: perché dove altro dovrebbe stare, poi, una sinistra degna di questo nome? Ma è necessario ora cercare di assimilare i perché della sconfitta, se vogliamo ripartire; e ripartire bisogna, in questo mondo impazzito dove la guerra è diventata l’opzione più normale e “uomini” privi di senno decidono i destini del mondo.
Come scrive Italo Di Sabato in suo lucidissimo articolo, lo strumento referendario è ormai diventato un’arma spuntata; e anche se fa male pensare che quello che ho sempre visto come uno dei regali più straordinari della nostra straordinaria Costituzione (Ricordate? “La sovranità appartiene al popolo…”) sia diventato totalmente inefficace, bisogna ammettere che esso funziona solo se ha come contrappeso un Parlamento forte e un Governo disposto ad assecondare l’ espressione libera della volontà popolare. Come dimostrano i due referendum forse più significativi in cui il quorum si raggiunse, acqua pubblica e nucleare, tutti e due vanificati da governi e parlamenti decisi ad ignorare la voce possente che allora il popolo italiano seppe far sentire.
Resta poi il dato di fatto più bruciante: gli italiani considerano ormai loro diritto non andare a votare, che si tratti di elezioni politiche, amministrative o referendarie. E se a noi attivisti appassionati risulta del tutto incomprensibile il solo pensiero di rinunciare a un diritto conquistato tardi e con tante sofferenze (specie per noi donne!), è anche vero che dobbiamo sforzarci di superare quell’effetto alone che, convinti come siamo di essere nel giusto, ci fa pensare che basti solo informare e parlare per convincere tutti a pensarla come noi.
L’allergia al voto nasce senza dubbio dall’oscena legge elettorale che destra e centrosinistra si sono trovati d’accordo nel non voler toccare, cambiando gli eletti (cioè scelti) in nominati, ed elargendo premi di maggioranza immorali; e dunque ci troviamo davanti ad un obiettivo apparentemente impossibile: costringere un Parlamento ormai svuotato di dignità e poteri a modificare la legge elettorale. E in secondo luogo, eliminare il quorum, trasformatosi in trappola mortale.
Ammetto di vedere su questi punti una strada troppo in salita, nello scenario attuale. Ma dobbiamo ripartire dai 13 milioni di ‘sì’, dal tentativo innegabile di unione tra partiti e movimenti che questa campagna ha visto: dalla timida volontà di guardare al fine comune mettendo da parte la genetica coazione all’autoestinzione della sinistra italiana. E dalla consapevolezza che non possiamo stare fermi e zitti, ognuno nel suo striminzito orticello di consensi, a guardare il dilagare di fascismi, autoritarismi e sfruttamento che costituiscono ormai la base politica di chi governa oggi.
Senza dimenticare però l’altro dato inquietante che i referendum ci consegnano: quel 30 e più per cento di ‘no’ al quesito sulla cittadinanza. Che avevamo percepito parlando con la gente, che abbiamo scoperto persino negli stranieri ormai divenuti italiani di fatto e di diritto.
È evidente che la metamorfosi razzista prende piede anche a sinistra, che questi anni di bugie colossali e zotica propaganda contro le “invasioni” del sacro suolo italico hanno scavato fossati, complici l’ impoverimento del lavoro, l’incertezza del futuro, la frustrazione del non vedersi più rappresentati da una sinistra priva di ogni passione e forza.
Eppure proprio questo era il filo rosso che legava i 5 referendum: restituire diritti al lavoro significava anche venire incontro al bisogno di manodopera che il mondo produttivo lamenta e al nostro declino demografico: significava garantire a tanti stranieri (con un percorso abbreviato per la cittadinanza e con un lavoro dignitoso e tutelato) il senso di appartenenza necessario a sentirsi parte attiva di una comunità.
Una dolorosa analisi sugli errori e sugli scivoloni di una sinistra che tale non è più è indispensabile; per poi ripartire tutti insieme, partiti e movimenti, tra mille inciampi ma con la certezza che non abbiamo altra strada se non quella comune, che le scelte ora devono essere radicali e ad una voce sola, che seguire la destra sulle sue strade perverse ci porta alla distruzione di noi stessi e del mondo.
In fondo le luci guida sono sempre le stesse: diritti, lavoro, pace, casa, ambiente. Come chiedevano a Francesco i leader dei movimenti popolari del mondo nell’incontro internazionale a Roma un po’ di anni fa: tierra, techo, travajo. Y sobretodo paz.☺
