La vita è bella
6 Gennaio 2015 Share

La vita è bella

Il 2015 sarà l’anno degli anniversari. La fine della Seconda guerra mondiale, la sconfitta del nazismo, la morte di Hitler e Mussolini. Ma primo, nell’ordine, il 27 gennaio 2015, Giorno della Memoria: settant’anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz.

Quello che accadde verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945 è Primo Levi, testimone d’eccezione della Shoah, a narrarlo in presa diretta, all’inizio del romanzo La tregua: “La prima pattuglia russa giunse in vista del campo […]. Fummo Charles ed io i primi a scorgerla […]. Erano quattro giovani soldati a cavallo […]. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi”.

Tra i deportati che persero la vita ad Auschwitz (circa un milione, secondo la stima dello storico Raul Hilberg), anche Etty Hillesum, autrice di un altro classico della letteratura sulla Shoah, il Diario.

Ebrea di Amsterdam – come la più giovane e più celebre Anna Frank, che, ad appena qualche chilometro di distanza, scrive nascosta in una soffitta -, la Hillesum annota minuziosamente tutto ciò che accade, tra il 9 marzo 1941 e il 13 ottobre 1942, non tanto in Olanda – nonostante la guerra e l’oppressione nazista -, quanto piuttosto nel suo animo. In contrasto con la disumanità che la circonda, e sullo sfondo delle misure sempre più repressive adottate contro gli ebrei, Etty intraprende, lungo le pagine del suo diario, un vero e proprio viaggio interiore, destinato a culminare più volte in un toccante dialogo con Dio: “Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. […] M’immagino che certe persone preghino con gli occhi rivolti al cielo: esse cercano Dio fuori di sé. Ce ne sono altre che chinano il capo nascondendolo fra le mani, credo che cerchino Dio dentro di sé”; “Io riposo in me stessa. E quella parte di me, la parte più profonda e la più ricca in cui riposo è ciò che io chiamo «Dio»”; “Siamo rimasti soli Dio e io. Non c’è nessun altro che mi possa aiutare”.

Per non sottrarsi al destino del popolo ebraico, la Hillesum, di sua spontanea volontà, nell’agosto 1942, si reca nel campo di smistamento di Westerbork, nel nord-est dell’Olanda, facendo talvolta la spola, nonostante le precarie condizioni di salute, per portare lettere ad Amsterdam e riportare medicinali al campo. Il 7 settembre 1943, dopo aver nuovamente rifiutato l’aiuto degli amici che la invitano a nascondersi, viene caricata insieme ai genitori e al fratello su un treno per Auschwitz, dove muore il 30 novembre 1943, all’età di ventinove anni.

Con il suo Diario sperava di lasciare una traccia di sé: “Dovrei impugnare questa sottile penna stilografica come se fosse un martello e le mie parole dovrebbero essere come tante martellate, per raccontare il nostro destino e un pezzo di storia com’è ora e non è mai stata in passato […]. Dovrà pur sopravvivere qualcuno che lo possa fare. Anch’io vorrei essere in futuro una piccola cronista”.  Ma la traccia più profonda che Etty ha lasciato di sé va al di là della semplice denuncia, ed è nell’invito a portare luce nella vita altrui – come lei stessa, del resto, faceva nel campo, secondo il racconto dei sopravvissuti: “Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. […] Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile”.

Filomena Giannotti

 

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